Contronatura

"A che punto è la notte?" chiese Angela osservando con ansia la finestra.
Le risposi senza guardare. Non ne avevo bisogno, i miei sensi acutissimi avvertivano bene come fossimo ancora lontani dalla violenza del primo sole del mattino.
L'attirai a me e la strinsi forte, cercando di fare estrema attenzione al suo fragile corpo umano. La tenda della finestra era spalancata e lasciava fluire un tiepido pallore di luce lunare che inebriava di richiami notturni il mio corpo nudo. Anche Angela lo era. Lo eravamo tutti e due, distesi sul letto dopo avere fatto l'amore.
"Così non può continuare…" disse ancora.
"Shhhhh…" le sussurrai posando un dito sulle sue labbra. "Non dirlo più. Non dire più niente."
La nostra era una relazione abominevole, contro natura. Io ero un vampiro, e lei una donna, ma non le avevo mai sottratto una goccia di sangue, il mio solo peccato era quello di amarla.
Sentii il suo corpo scuotersi in un fremito improvviso e il suo volto porgersi verso di me, gli occhi luminosi come non mai.
"Succhia il mio sangue e fanne corpo." disse in un impeto, "E quando saremo uguali uno all'altro, della stessa medesima natura, allora nulla potrà più separarci."
La osservai a lungo prima di rispondere. Il tempo necessario a capire quanto fosse sincera, e quanto le sue parole dettate dal cuore.
"Non posso farlo." dissi scuotendo la testa e abbassando gli occhi. "Non potrei mai condannarti a diventare una creatura oscena quale io sono. Il male, io sono il male fatto carne putrida, al quale non è neppure concesso mostrarsi alla luce del giorno, pena il rogo…"

Angela mi accarezzò il viso. "Sai come si dice… fino a che morte non vi separi, nel bene e nel male." la sua voce era dolce e divenne un sospiro languido mentre ripeteva:"Nel bene e nel male…"
"Io sono un non morto." replicai seccamente, "Una creatura ripugnante che si nutre di sangue umano, condannata ad una notturna eternità! Non puoi chiedermi di condividere un simile orrore."
Le mie parole si interruppero di colpo nel vedere Angela prendersi i capelli con una mano, scoprire il collo e offrirlo palpitante alla mia bocca.
Un sussulto violento attraversò il mio corpo e le narici mi si dilatarono. Ebbi paura. Ero sempre riuscito a controllarmi e a non farle del male, ma lei mi stava provocando oltremisura.
Mi voltai dall'altra parte timoroso della mia debolezza. Ciò nonostante riuscivo distintamente a sentire il pulsare accelerato del sangue che scorreva nelle sue carotidi, avvertivo la fragranza della sua pelle, appena sotto la quale fluiva quel nettare rubizzo e profumato di donna.
"Fallo adesso…" invocò Angela con la stessa voce di quando implorava che la penetrassi.
Scattai all'improvviso. I canini serrati sulla sua gola a succhiare, consapevole solo della violenta erezione che, fra le mie gambe, era sorta spontanea.
Poi mi persi completamente in lei. La mente sconvolta dal sapore acre del suo fluido vitale che fluiva nel mio corpo placandone la millenaria fame. E rimasi così, immemore del tempo che passava, in un oblio indefinito sospeso fra estasi e piacere e nel quale nulla sembrava avere più alcuna importanza.

 

Il gallo cantò. Il suono che aveva incarnato, nella sua forma più pura, l'orrore del disfacimento e della consunzione per noi vampiri, nei secoli dei secoli. Fra poco sarebbe sorto il sole. Per gli uomini l'astro della vita, per noi vampiri l'annuncio di un aldilà privo d'inferno o di paradiso, semplicemente un nulla. Il mio corpo si scosse, uscì dal torpore dato dalla sazietà e si rianimò.
Angela adesso era solo una gelida immobilità senza più vita. Mi ero lasciato trasportare dalla voracità fino a dimenticare ogni parvenza di sentimento. L'avevo svuotata, prosciugata e disseccata senza ritegno, senza riuscire più a fermarmi nel momento in cui avrei dovuto.
L'avevo perduta per sempre.
Un ringhio d'animale proruppe dalla mia gola, rimbalzò echeggiando fra le colline ancora in ombra per poi perdersi nella brezza che annunciava il mattino.
Mancava poco. Avvertivo il fremito del sole appena sotto l'orizzonte. M'inarcai e divenni la creatura volante che mi consentiva di librarmi nell'aria e superare enormi distanze.
Allora volai. Volai sotto la luna ormai diafana, quella luna che osservava tutto, indifferente a tutto.

Giuseppe Agnoletti