Michele non poteva saperlo

Michele soffiava dentro le canne, inutilmente: usciva solo il puzzo di cipolle crude mangiate a pranzo. Scagliò le launeddas lontano, e rimasero appese ai lentischi. Gheee, Ghoooh, Uhuuuu! Michele bestemmiava ed imprecava a quel modo. La parola gli era mancata già dal grembo materno, ed altre cose gli erano mancate poi dopo, ma in compenso sentiva perfettamente. Si avviò claudicante che sembrava un gambero storpio. Ci ripensò e tornò indietro. Riprese le "launeddas" e se le mise in spalla. Sedette all'ombra dei pini d'Aleppo e le guardava con l'occhio sano. Nell'altro ci avevano messo una biglia di vetro dello stesso colore. Ispezionò minuziosamente le canne, da sotto e da sopra, riprovò a soffiare e sentì solo un debole sibilo dall'altra parte. Meglio di niente pensò.
Ma qualcosa si stava muovendo.
Una folata di aria lo investì sulle spalle. L'aria calma ed afosa stagnava sopra la macchia in un tremolio costante. Poteva trattarsi di un colpo di vento anomalo, come succedeva alle onde del mare.
Intanto le pecore avevano guadagnato un bel tratto di strada. Le raggiunse con una corsa zoppa ma piuttosto veloce. Ci teneva che Thaddeus suonasse le launeddas, e gli dispiaceva se avesse mancato alla promessa, più delle botte che riceveva da Antonio Manca.
Sarebbe arrivato prima dell'alba, a cavallo di una Mayer Strietzel, a doppio portabagagli. Crangl, crangl, crangl! Il campanello lo sentiva alla svolta dei pini d'Aleppo, e prorompeva in espressioni gutturali di gioia: Gahhh, aghahh, Ihhi.ohhh, uhi.
Il sole lambiva la Roccia del Falco e, dalla sua ombra, Michele, capiva le ore: era in ritardo. Per Antonio Manca non esistevano scuse, e peggio ancora se aveva bevuto.
Incitò il gregge fendendo l'aria con una canna. Alle botte si era abituato e non reagiva, e questo faceva incazzare il padrone.
Non si accorse che mancava una pecora.
Giunse al vecchio nuraghe e mugugnò di soddisfazione: aveva recuperato il tempo perduto. L'ombra non aveva ancora superato la Roccia del Falco.
Thaddeus sarebbe arrivato all'indomani, e con lui si sentiva al sicuro, da Antonio Manca e dalle sue botte. Pregustava già la baldoria e ci scappava, quasi sempre, una buona scopata con Giovanna, una troia che girava il Sinis a bordo una vespa 50. Con Thaddeus sarebbero andati a San Giovanni. Ogni volta si coricavano dentro le tombe romane, fingendosi morti, e poi pisciavano il tophet, ove gli antichi fenici sacrificavano giovani vergini, e bambini innocenti, offerti al Dio Crudele.

 

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In quel periodo il Sinis era un via vai di turisti che occupavano le coste, da Mari Ermis a Mistras. Michele non sopportava le musiche dell'agriturismo "L'Oasi", ove si tenevano feste per ogni occasione e per tutto l'anno. E gli sembrava che lo schernissero quando vi passava davanti col gregge.
Odiava quelle porche in costume distese sul bagnasciuga che avrebbe voluto scopare una per una. Odiava una infinità di cose del mondo, così come Antonio il padrone, ed una pecora che gli stava da tempo sul cazzo per il suo modo di fare.
Quella che mancava dal gregge.
A differenza delle altre, sempre ligie e obbedienti, quella diventava riottosa e recalcitrante ai comandi e, s'intratteneva, testarda, a brucare in mezzo alla macchia.
Guardò la Roccia del Falco e si accorse che aveva recuperato il tempo perduto. Giunse all'ovile ed iniziò la mungitura. A quell'ora del mattino non c'era ancora un gran caldo.
I colpi arrivarono, duri, dolorosi e senza preavviso, si abbattevano su di lui a distanza ravvicinata senza dargli il tempo di ripararsi in qualche modo con le braccia e le mani. Colpirono il viso, la testa, le spalle, le gambe fino a che un tremendo dolore alle palle lo fece svenire.
Quando rinvenne sentì l'alito avvinazzato di Antonio Manca, sopra di lui ad una spanna dal viso, sorrideva sadicamente. Istintivamente si rattrappì su se stesso a guisa di una lumaca nel guscio.
<<Una pecora eh? Chi me la paga brutto storpio, figlio schifoso di una cagna e di un maiale. Svegliati presto, siamo all'inizio del pasto, ti sazierai ragazzo fino a vomitare tutta la merda dell'intestino, anche quella non ancora pronta a cagare, parola mia.>> Levò in alto il bastone pronto a colpire: non importava dove sarebbe calato.
Michele aspettava e quei secondi gli sembravano i più lunghi della sua vita e si teneva le braccia avvolte alla testa.
Crangl, crangl, crangl! Thaddeus! Era alla svolta dei pini D'Aleppo.
Il colpo lo prese tra il collo e la spalla. Antonio Manca non udiva il campanello.
Gahhh, aghahh, Ihhi.ohhh, uh. C'era Thaddeus. Michele gioiva di contentezza.
Un secondo fendente lo raggiunse alla spina dorsale. Michele non sentiva più nulla. Solo il trillo del campanello. E Thaddeus arrivò.
L'uomo risollevò il bastone e lo senti bloccato a mezz'aria.
Thaddeus era arrivato in anticipo e teneva ferma la clava. Michele vide Antonio Manca rotolare nello strame come una palla da bocce.
Gahhh, aghahh, Ihhi.ohhh, uh! Michele rideva.
Il ragazzo si era cagato, e puzzava come un cane in putrefazione. Il Tedesco lo sovrastava dall'alto. Rassicurante.
<<Tranquillo Maichele, amico mio, tranquillo, ora io difendere te.>> Il ritardato si alzò e iniziò a girargli intorno, pazzo di gioia.
Antonio Manca, disteso sul liquame da stalla, sputava gli escrementi che gli avevano riempito la bocca.
<<Io arrivato in anticipo, oggi festa e scopata.>> Disse Thaddeus. Michele guaì di soddisfazione e lo afferrò ad una gamba in segno di gratitudine e riconoscenza.
Finirono la mungitura insieme, ma a Michele gli premeva mostrare le launeddas all'amico e si rammaricava di non riuscire a suonarle.

 

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Due ragazze in costume osservavano sorprese la carcassa della pecora distesa sopra le stoppie, coperta di mosche e tafani. Non si notavano segni di ferite, tumefazioni o altro che facesse pensare ad una morte violenta. Solo il muso andava colorandosi in viola, così pure le orecchie e nei tratti privi di lana. Gli occhi nella fissità della morte sembravano vetrificati, e la pancia gli si era gonfiata tendendo la pelle come un tamburo.
<<Che puzza, andiamo via.>> Disse una delle due ragazze, turandosi il naso con una mano.
<<Non se ne può più - continuò l'altra con un gesto di nausea - di vedere animali morti, spiagge sporche di alghe, rifiuti ad ogni angolo di strada, ed ogni sorta di porcherie. Non bastano le zanzare di notte, i tafani e le vespe di giorno che poi ti becchi la multa per divieto di sosta su una mulattiera, ove il cartello è più bianco del sale, e se devi pisciare lo fai dietro una macchia di rosmarino, e ti trovi con le scarpe piene di merda, che altri l'hanno fatta prima di te. E paghiamo le tasse per dei servizi alla "fai da te". E rischi la denuncia per atti osceni in luogo pubblico.>> L'amica rise di gusto. Sapeva che era nel pieno ciclo mestruale e non gli dava un importanza particolare.
<<Senti Maria, lo diciamo a quei ragazzi della forestale, non ci costa nulla e avremo fatto il nostro bravo dovere di cittadine che hanno a cuore le sorti di questo angolo puzzolente del Sinis. Che ne dici?>>
<<Dico che mi sono rotta le palle di stare qui a cagare dietro le palme e lavarmi un giorno sì e venti no.>> E si avviò dietro all'amica che rideva della sua incazzatura.
Raggiunsero la postazione della Forestale, che si trovava a ridosso del Camping "Le Dune", e furono notate subitamente dal brigadiere.
<<Provvediamo immediatamente.>> Assicurò il graduato. "Gran bei paraurti". Mormorò osservando i seni ed i glutei straripanti, che ballavano un samba delizioso dentro i costumi.

 

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<<Ghuei, Gooh, Sghaaa!>> Esclamava Michele nel tentativo di far intendere a Thaddeus che le launeddas non funzionavano. Il tedesco aveva capito e prese a soffiare dentro le canne. Il sole riverberava sul mare milioni di pezzi d'argento. Le pecore ruminavano distese all'ombra dei cannicci. Antonio Manca russava ubriaco e puzzava più di una latrina in cui ci avessero defecato tremila soldati. L'uscio e la finestrella aperti garantivano un certo ricambio dell'aria.
Nell'agriturismo "L'Oasi" si preparava un pranzo di matrimonio per oltre trecento invitati e l'orchestrina aveva aperto le danze. Thaddeus continuava a soffiare dentro le canne: solo un leggero sibilo. Le pecore si alzarono in piedi una per una ed iniziarono a belare, prima piano poi sempre più forte.
Lo sciame calò su Antonio Manca come una coperta venefica, l'uomo emise un debole grido. La nuvola si sollevò nuovamente sorvolando la macchia di cisti, lentischi e rosmarini.
Michele e Thaddeus continuavano, ignari, a soffiare inutilmente dentro le canne delle launeddas.

 

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Il brigadiere Kerki con l'appuntato Falaci ed il Dr. Brisenti dell'Unità Sanitaria Locale n. 5 esaminavano la pecora morta, segnalata dalle due ragazze che si crogiolavano al sole di Mari Ermis.
<<Assurdo, incredibile ma vero.>> Esplicò il veterinario rivoltando l'animale ed esaminandolo attentamente con una lente d'ingrandimento. I due agenti si guardavano chiedendosi cosa significava.
<<Migliaia e migliaia di api, unite alle vespe, alle mosche, ai tafani e poi si sono aggregate anche formiche e ragni. Vedete?>> Ed indicò ai forestali piccoli pungiglioni ancora infissi dentro la bocca che era il punto più palese e vulnerabile. Ancora non capivano e volevano sapere. <<Il fatto è che la causa - continuò il Dr. Brisenti - del decesso non ha riscontri nel passato, non si è mai appurato che tanti insetti potessero riunirsi così tutti assieme, capite?>>.
<<Credo di sì.>> Affermò il brigadiere. L'appuntato annuì consenziente.
<<Ma perché, per quale causa?>>. Si chiese il dottore. Un lontano brusio fece voltare il brigadiere Kerki.

 

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Il disappunto di Michele si traduceva in una interminabile sfilza di Ghee, ghaai, Ghoooh. Il Tedesco soffiava testardamente dentro le launeddas: ne usciva solo un sibilo un po' più forte degli altri.
Ma usciva tutto l'odio che Michele aveva trattenuto in quegli anni e si tramutava in ultrasuoni, incontrollati. Ma questo non poteva saperlo, ne' lui e ne' Thaddeus.

 

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Il brigadiere Kerki ebbe un brivido strano dentro le ossa, e tendeva l'orecchio al brusio. Il veterinario prelevava lembi di pelle per esaminarli in laboratorio. Il rumore crebbe più forte ed il brigadiere ebbe paura. Volle gridare qualcosa ma la voce gli morì strozzata in gola. Si voltarono, e furono avvolti da un grigio lenzuolo. In breve erano simili a dei favi pieni di miele che a corpi di esseri umani.

 

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Nell'agriturismo l'orchestrina suonava "Romagna Mia" di Raoul Casadei e ballavano tutti, dai bambini alle signore attempate. Gli sposi ricevevano ancora i baci e gli abbracci di buon augurio e ridevano felici e contenti.
Poco distante, una donna su una sedia a rotelle applaudiva divertita ai ballerini. Un giovanotto, un po' alticcio, le prese le mani e la fece girare, allegramente, sulla sedia. Pianse di gioia ed altri si unirono a festeggiare l'invalida.
Il caldo aumentava d'intensità ed era il momento migliore per prendersi un bagno. Più tardi, dopo il pantagruelico pasto, per onorare gli sposi (?), gli invitati al matrimonio si sarebbero aggiunti alle migliaia di persone che avevano invaso le spiagge.
Non ne avrebbero avuto il tempo, loro, come Antonio Manca, il Dr. Brisenti, il brigadiere Kerki e l'appuntato Falaci, sarebbero morti. La nuvola grigia, in un brusio tremendo, calava sopra l'agriturismo.

 

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<<Ghaahh, Ghohhouu, Iheeehh>> Gridava di soddisfazione Michele sentendo, finalmente, la dolce melodia uscire dalle launeddas.
Lo sciame, dopo l'agriturismo, avrebbe raggiunto il camping "Le Dune", e dopo le spiagge di Mare Ermis. Ma tutto ciò Michele non poteva saperlo.

Giovannino Serra