L'uomo non è di legno

Alla fine avevo iniziato a desiderarla, ci ero cascato, ero precipitato in pieno in un pozzo di antimateria. Vittima del trucco più antico del mondo: farsi desiderare. Avevo sognato di accarezzarle i capelli, di sfiorare rispettosamente quei lineamenti così belli, di baciarla lievemente, di idolatrarla, di fissarla senza mai stancarmi, di rapirla da quell’anelito vitale che la rendeva così unica, così esclusiva, così meravigliosamente singolarità all’interno della maestosa bellezza del cosmo: alla fine mi ero innamorato. Come un idiota. Come uno sprovveduto adolescente immaturo. Ed era bello lasciarsi trasportare da quel tripudio onirico ad occhi aperti ogni volta che la incrociavo, pensando che sarebbe stato molto cinematografico poterla avere tra le proprie braccia anche soltanto per un attimo e poter dire di essere stato veramente felice, fino a sentire i propri occhi lacrimare, trattenendo un pianto di felicità, pensando a quanta sconvolgente bellezza, potevi avere tra le mani. Ah Steff, fonte inesauribile di ispirazione letteraria, quali libri mai scritti, quante poesie mai lette, quante ballate potenziali potevi chiedere ai tuoi disperati amanti?
Sapevo che quella dipendenza non poteva essere considerata una malattia, sapevo che era importante conoscere quanto poco apparteniamo allo “spirito” e quanto molto invece apparteniamo alla “materia”: l’uomo non è di legno.
L’Amore Eterno! Il giurarsi bontà o fedeltà o complicità o unione per tutti i secoli dei secoli fino a dover ricongiungere tutti gli infiniti cerchi della fusione anche per le innumerevoli vite che incalzavano sospinte dal divenire, dalla necessità interiore, dai brutali intrighi perpetrati dai giochi beffardi impregnati di causa ed effetto! Ah come erano complicate e convulse le nebbie del Tempo! Da sempre rimango meravigliato e mi stupisco di come questi stravaganti cerchi nascono magicamente per sfiorarsi, per sperimentarsi, per legarsi e chiudersi infine in indissolubili legami sincronici, dopo aver vagato e brancolato nel buio popolato da forze arcane. L’amore! La passione! Quale dannazione peggiore per un uomo che deve tristemente avere a che fare con Steff, la mia Steff, la meravigliosa Steff, lo spirito affine più bello e accattivante che esisteva tra tutte le forme di vita conosciute, comprese innumerevoli razze aliene! Ah l’amore! Quale sentimento coinvolgente, quale strazio, quale peccati dolorosi nutriva nel cuore dei piccoli umani, del mio piccolo cuore… ah l’amore. Così simile alle raffigurazioni ottocentesche del Turner post illuminista che dipingeva marosi innominabili a picco su rupi infernali, dove il piccolo uomo sulla sommità del creato sospinto da una brezza demoniaca, era in bilico tra l’inferno e il paradiso, appeso in modo impercettibile alla morte o alla vita. Questo era il punto. Così bella. Ma quali crepacci oscuri la Steff dolce e intelligente e assertiva e flessibile e trasparente e lineare e moralmente inattaccabile poteva nascondere?

Quali notti scoscese a picco su infiniti soli raggianti? Perché era così infinitamente deliziosa anche se di fatto potevano anche non esserci riscontri oggettivi? Perché percepivo in lei oceani di bellezza sconfinati, perché sentivo così tanta verità, affidabilità, stima appena sotto la pelle, perché vedevo in lei orizzonti cristallini ammiccanti di colori e di vita? Perché avevo desiderato, cercato, agognato quello sfiorare, quel progettare mondi, quel disegnare arabeschi nel destino dei suoi delicati capelli, quel voler sentire la dolcezza delle sue gote, quel voler percepire quella meravigliosa e ineffabile essenza che mi rendeva partecipe del grande mistero dell‘universo, quel voler bere assetato in quell’umile recipiente fino a inebriarmi e cadere in estasi ai suoi piedi, drogato, distrutto, umiliato, brutalizzato da così tanta devastante purezza.
Dov’era dunque l’inganno? L’intreccio letale?
Steff, Steff, la mia Steff!
Poi era successo. Non che l’avessi cercato, conoscevo i miei limiti. L’avevo soltanto desiderato senza pensare mai che quei sogni di adolescente inesperto avrebbero potuto anche avverarsi. Steff mi aveva invitato a cena, Steff mi aveva accompagnato a casa, Steff aveva espresso la volontà di voler vedere il mio appartamento da single, Steff la dea aveva infine concesso al piccolo umano di realizzare tutti i suoi sogni impossibili di bambino meravigliato e sconvolto da così tanta imponderabile bellezza. E così mi ero ritrovato realmente a sfiorarla, a baciarla lievemente, a nutrirmi del nettare che distillava la sua anima, piangendo di felicità, saltando come un'ape impazzita dal calice delle sue gote, agli atri più reconditi del suo protrarsi verso di me, sospirando in delirio per quei fiori che via via trovavo lungo il cammino di una magica e irripetibile esplorazione. Ero stato scaraventato all’inferno, in un vortice opalescente dove tutto – carezze, effusioni, baci, pensieri, insicurezze, dubbi e paure – , contribuiva a farmi collassare verso dimensioni sconosciute e insospettabili, aree di dannazione in cui il mio essere veniva risucchiato da un sentimento pieno e globale e coinvolgente che prometteva stima e considerazione e Amore Eterno fino alla notte dei tempi. Poi mentre tutta la magia di quel momento si consumava in un carosello multicolore di fuochi di artificio, poi mentre tutte le pennellate di Turner trovarono un nuovo assetto statico, poi mentre infinite melodiose voci gridavano estasiate ringraziando il Grande Artista per quel momento di felicità impalpabile e transitorio, accadde. Fu allora che incominciai a capire il mistero di tutto ciò che mi circondava, penetrando davvero dentro ai risvolti atomici della materia effimera. Fu allora, mentre i nostri corpi sudati scivolavano esausti, spossati, appagati, che la mia navigazione in acque impervie giunse al suo lungimirante e inaspettato epilogo, che acquisii la consapevolezza necessaria per rispondere a quella lancinante domanda: dove sono i tuoi crepacci oscuri Steff? Nel tuo idealismo che ti porta vivere a sentire a percepire le cose proiettandoti in una sorta di ingenua utopia con questo tuo bisogno di cambiare in meglio il mondo per estirpare politiche devianti, guerre e pestilenze dell’anima? Dov’è il tuo abisso Steff? Quale è la botola che nessuno vede e che soltanto io cerco per rubare in te l’essenza del vivere?
Un ghigno beffardo irruppe stridulo e ancestrale dalla bocca di Stefy, la mia Stefy, una voce trionfante simile al tuono di mille cascate, mentre gli occhi belli di lei diventavano tenui e sbiaditi e irreali, mentre le sue guance così dolci si consumavano nella febbre del tempo, mentre subitaneamente tutti i suoi organi vitali diventavano brace sommersa dalle ceneri dell’inutilità, mentre il suo sguardo così accattivante diventava di colpo letale e dannato e popolato da eoni primigeni, quando divinità la cui volontà era del tutto estranea al bene, plasmavano mondi lanciandoli casualmente in aria nel grande panno da biliardo biblico.
Di colpo capii che cosa significava amare, volere bene, vivere e morire. Di colpo capii il terrore. Mentre interi secoli attraversavano i miei pensieri sotto forma di nubi che correvano a una velocità vertiginosa, mentre la storia, gli infiniti errori umani si moltiplicavano all’infinito formando una melodia generale dissonante e sconnessa, mentre tutto ruotava vorticosamente senza un perché e senza una risposta, soltanto allora, capii il principio di inconsistenza dei corpi solidi, l’impermanenza, la filosofia dominante della precarietà, la forza espressiva di quel vento romantico che nei quadri di Turner cambiava tutta la prospettiva ogni volta che si ritornava a osservare la stessa inquadratura. Stefy dal volto cianotico e scarnificato era diventava polvere, una maschera grottesca senza Dio e mi stava portando via ghignando ancora in modo blasfemo.

Enrico Faraoni