La cantina

Io e mio cugino Michael siamo molto legati, ma non ci siamo mai sentiti così uniti come in quel caldo giorno di luglio del 1979.
Io avevo undici anni e lui tredici, eravamo in vacanza a Southgordon, una cittadina situata nel sud dell'Inghilterra, non molto distante dalla costa del Canale della Manica. Alloggiavamo presso la casa di un nostro vecchio zio, che era stato premiato con la medaglia d'oro per meriti militari compiuti durante la seconda guerra mondiale.
Lui e la zia possedevano una casa piuttosto grande, con numerose stanze e un ampio giardino, e quell'anno ci avevano invitati a trascorrere alcuni giorni da loro durante le vacanze estive.
Noi avevamo accettato la proposta di buon grado, entusiasti all'idea di passare qualche giorno insieme e, soprattutto, senza genitori.
Nonostante fosse estate, gli zii, che possedevano un negozio di alimentari, erano assai impegnati con il lavoro e così noi avevamo la possibilità di bighellonare e cercare qualche divertimento in giro senza esser troppo controllati. Le uniche preoccupazioni della zia erano che ci potessimo cacciare in qualche guaio, così ci ripeteva sempre di essere prudenti, dal momento che la responsabilità su di noi era sua.
Southgordon si trovava ai piedi di una collina, sulla quale erano state costruite alcune case, per la maggior parte delle famiglie più abbienti, e sulla cui sommità sorgeva una piccola chiesetta.
Fu il 24 luglio, durante un pomeriggio di caldo umido e afoso, clima piuttosto insolito per il luogo, che mio cugino Michael mi fece la sua proposta, mentre stavamo giocando a carte:
"Ehi Bobby, perché non ce ne andiamo un po' in collina? Io sto morendo di caldo!"
"In collina? - feci io - E a fare che?"
"Beh - rispose - siamo qui da alcuni giorni ma quella zona non l'abbiamo ancora esplorata! Potremmo andarci, non è lontano… Allora che ne dici?"
"Certo, non sarebbe male, ho voglia di andare un po' in bicicletta, e poi lassù è più fresco… Ma non lo so, forse sarebbe meglio parlarne prima con la zia."
"Sì, bravo, e se poi ci dice di no, che facciamo? Non ho voglia di passare il pomeriggio a giocare a carte! Dai Bobby, andiamoci ora, e saremo di ritorno prima degli zii. Sarà divertente…!"
Mi convinse, e inforcate le biciclette, ci dirigemmo verso la strada che portava alla collina.
Dopo alcune miglia la strada cominciò a salire, e si fece più stretta. Numerosi alberi ai lati della strada facevano ombra, lasciando intravedere il sole solo a tratti.

La nostra intenzione era di proseguire fino in cima, dove sull'altura sorgeva la piccola chiesetta visibile anche dalla casa degli zii, ma a circa metà percorso decidemmo di fermarci un momento per riposare. Michael scelse come al solito la maniera più strana per scendere dalla bicicletta, e intraprese una piccola evoluzione cercando di tenersi in equilibrio con una sola gamba, mentre l'altra poggiava sul tubo. Ma non tutto andò come previsto. Il piede destro, invece di reggere il suo peso, gli scivolò via dal pedale, e mio cugino cadde a terra rovinosamente.
Mi precipitai su di lui, preoccupato, ma vidi subito che non si era ferito in modo grave, a parte qualche sbucciatura sulle mani e sul ginocchio destro. Dopo averlo aiutato a rialzarsi, ci chiedemmo se vi fosse nei dintorni una fontana, o qualcosa di simile per lavare via la terra dalle ferite ed evitare così possibili infezioni.
Fu allora che vedemmo la casa.
Era in fondo ad un sentiero che si apriva alla nostra sinistra, tra gli alberi. Si trattava di una costruzione che sembrava risalire a inizio secolo, su due piani, e con un giardino nel quale si intravedevano fiori e piante variopinte. Ci avvicinammo, sicuri che chiunque vi abitasse non avrebbe negato un po'd'acqua a un ragazzino ferito. Giunti presso il pesante cancello in ferro dell'abitazione, ci accorgemmo che una signora era affacciata ad una delle finestre del primo piano, ma sembrava non vederci. Accanto all'ingresso, una cassetta per la posta, sulla quale era attaccato un cartellino con sopra scritto:
GEORGE MESLEY - CLARA BURTON
"Cercate qualcosa, ragazzi?"
La voce improvvisa ci fece sussultare, ma quando vedemmo sbucare da dietro una grossa pianta un signore di mezza età, di corporatura piuttosto magra, con un cappello in testa e una vanga in mano, tirammo un sospiro di sollievo. La signora alla finestra, intanto, era sparita. Abbozzammo un saluto, poi Michael disse:
"Lei è il signor Mesley? Salve, noi non volevamo disturbarla, ma vede, io e mio cugino stavamo salendo in bicicletta sulla strada che porta alla chiesetta, ma io sono caduto e mi sono leggermente ferito. Non avreste un po' d'acqua per pulirmi, per favore?"
"Oh ma certo ragazzi, entrate! Sì, sono il signor Mesley, e sapete che vi dico? Che di giovanotti gentili a questo mondo non ce ne sono più, e quando se ne incontra qualcuno è un piacere poter fare qualcosa. Ora chiamo mia moglie." Poi, rivolto verso la casa: "Clara! Clara! - esclamò - Scendi un momento! C'è un ragazzo che ha bisogno d'aiuto!".
Dopo qualche minuto apparve la signora Mesley, e notammo che era la persona che avevamo visto affacciata ad una finestra. Mistero svelato, dunque.
La donna, di corporatura piuttosto robusta, capelli rossi e occhi verdi, aveva addosso un grembiule, e intuimmo che il nostro arrivo aveva interrotto a metà qualche faccenda casalinga. Non appena vide le ferite sporche di terra di Michael, ci invitò gentilmente ad entrare in casa. Mi accomodai così nel piccolo salotto alla sinistra dell'atrio e notai che la stanza in cui mi trovavo era arredata in maniera semplice, ma graziosa e ordinata. Pensai che la moglie del signor Mesley doveva tenere parecchio all'ordine e alla pulizia, a giudicare da come si presentavano i mobili e gli arredi, senza un granello di polvere. Mentre ero immerso nelle mie congetture, mio cugino tornò con la signora, che intanto gli aveva fasciato il ginocchio e bendato la mano destra.
Ringraziammo la donna per l'aiuto prestatoci e ci dirigemmo verso la porta d'ingresso, intenzionati ad uscire, ma lei insistette perché ci fermassimo ancora un momento, giusto il tempo per bere qualcosa di fresco, vista la giornata davvero calda. Accettammo, e così la signora ci disse di accomodarci in salotto, mentre lei sarebbe andata a prendere del thè freddo.
Stavo convenendo con Michael a proposito di quanto fossero stati gentili i signori Mesley, quando a un certo punto fece segno di zittirmi.
"Non lo senti? - mi disse - Cosa diavolo è?"
Non udivo nulla. Poi, prestando meglio ascolto, percepii una sorta di lamento. Era davvero molto strano e aveva un qualcosa di decisamente pauroso. Ci alzammo, e in un attimo fummo nell'atrio. Per un attimo il suono cessò, ma poi riprese, ancora più forte. Sembrava provenire da dietro una minuscola porta alla destra delle scale, che forse dava accesso ad un ripostiglio.
"Sì, ora lo sento anch'io. - dissi - Non so cosa sia, sembra qualcuno che sta male."
Michael si diresse verso la porta, intenzionato ad aprirla. Feci per fermarlo, ma lui aveva già girato la maniglia. Cercò a tentoni nel buio un interruttore, finalmente la sua mano toccò qualcosa, e luce fu. Una lampadina fioca illuminava alcuni scalini, in fondo ai quali c'era una stanzetta, in cui da una parte erano accatastati vecchi mobili, materassi logori e cianfrusaglie, dall'altra vi era uno scaffale contenente bottiglie di vino in posizione orizzontale. Non era un ripostiglio, ma bensì la cantina.
Non appena fummo scesi nella stanza, notammo due occhi scintillare nella semi-oscurità. Proprio ai piedi del mobile che stavamo osservando c'era un grosso gatto, dal pelo scuro con striature di color bianco e grigio. Ricordo che in quel luogo l'aria era pesante e un fastidioso odore acre pervadeva le mie narici. Benché non fosse un ambiente piacevole a causa della forte umidità, lì sotto non faceva caldo, e anzi pensai che quello potesse essere un fresco rifugio per combattere l'afa estiva.
Ad un tratto, di nuovo quel suono, che ci fece atterrire di paura.
Poi capimmo.
Quel lamento terrificante non era nient'altro che il miagolio dell'animale.
Ne fummo sollevati, e decidemmo di tornare nell'atrio per chiedere alla signora Mesley se per caso lei e suo marito avessero smarrito il loro gatto.
Arrivato in cima alle scale, girai la maniglia, ma la porta non si aprì. Pensai che la porta, di piccole dimensioni ma di legno assai robusto, noce forse, potesse essersi bloccata, magari per l'umidità dell'ambiente. Riprovai, e fece lo stesso Michael, più e più volte, ma ogni mio tentativo fu vano. Iniziammo allora a bussare alla porta, sicuri che la signora Mesley, udendo i colpi, sarebbe venuta immediatamente ad aprirci.
La donna, invece, non arrivava.
Perché non ci sentiva, nonostante stessimo battendo contro la porta con tutte le nostre forze?
Pensai che col fracasso che stavamo facendo sarebbe potuto accorrere perfino il marito, che stava lavorando in giardino.
Ma anche lui sembrava non sentire. Passò un'ora, forse due. Non avevamo smesso un momento di picchiare contro la porta. Avevamo perfino provato a sfondarla con delle spallate, ma naturalmente si era rivelata troppo robusta per due ragazzini.
Ricordo solamente che ad un certo punto la vista mi si annebbiò di colpo.
Improvvisamente il buio. Svenni.
Mi risvegliai nella mia stanza, a casa dello zio. Mi faceva male la testa e sentivo un fastidioso bruciore alle mani. Sbattei le palpebre a fatica, mi volsi e vidi la zia venire verso di me, con lo sguardo colmo di sollievo.
"Bobby! Oh Bobby, grazie al cielo!" Mi abbracciò forte, poi mi disse con voce preoccupata: "Ora mi devi spiegare cosa diavolo ci facevate tu e Michael nella cantina della casa dei signori Mesley, proprio in quella cantina! Vi avevo raccomandato di non cacciarvi nei guai… Dovete ringraziare il signor Neddelson, il postino, che ha sentito del trambusto provenire da laggiù ed è accorso."
"Zia, è successo che Michael si è ferito cadendo dalla bicicletta, così i signori Mesley sono stati così gentili da farci entrare in casa loro e…"
"Non dire sciocchezze, Bobby, - mi interruppe la zia - non si scherza su queste cose. Il signor Mesley e sua moglie sono morti dodici anni fa. Fu una disgrazia… Trovarono i loro cadaveri nella cantina della casa, l'uno accanto all'altro, i corpi senza vita e ormai in avanzato stato di decomposizione. Non è mai stato chiarito con precisione cosa sia successo. Si dice che una notte, poiché faceva molto caldo, un caldo soffocante per cui non si riusciva quasi a respirare, i due decisero forse di andare a dormire in cantina. Poveri signori Mesley, li conoscevo bene sai? Avevano un gatto dal pelo scuro, con curiose striature bianche e grigie. Fu fedele fino all'ultimo. Anche lui fu ritrovato in cantina, mentre vegliava i suoi padroni morti da tempo…"

Carlo Banchio