Non so chi sono e perché lo faccio

Quell'uomo continuava ad evitarmi, non capivo perché continuasse a sfuggirmi…
Dovevo prenderlo, dovevo sapere, dovevo…
All'angolo del bar dove era fermo, riuscivo a vederlo indistintamente. Nonostante la folla in strada continuasse a trafficare ininterrottamente, io potevo vederlo. Fra un passante ed un altro io riuscivo a scorgerlo. Non potevo essere visto. Lui non mi avrebbe visto, così tra la folla e il caos della città, non avrebbe potuto vedermi. Io ero sempre fermo, ero sempre in attesa di una sua mossa. Lui con il suo cappello e il bastone continuava a rimanere immobile lungo l'angolo di strada. Dovevo, volevo, ma non potevo… Avrei dovuto aspettare che l'uomo si distraesse, che l'uomo si allontanasse da sguardi indiscreti, lontano da tutto e da tutti.
Ad un certo punto la svolta, il benevolo imprevisto. L'uomo si diresse a passo svelto in un vicolo di strada alle sue spalle. Era come se in attesa di qualcosa, quel qualcosa lo avesse scosso e fatto correre via. Potevo essere io? Mi aveva visto? No! Non era possibile che mi vedesse, non avrebbe potuto, e poi non si era neanche voltato. Perché scappava, da cosa se non da me? Proseguii lentamente in direzione del vicolo. L'uomo sostava a metà della stradina. La strada era ricoperta di carte e svariati rifiuti. Un grosso gatto rovistava nel contenitore dell'immondizia noncurante dell'anziano signore a pochi passi.
Io ero ancora sotto la luce cocente del sole, ma bastarono un paio di passi in direzione del vicolo che il sole di poco prima se n'andò, lasciandomi alla fredda ombra degli alti edifici. Una brezza gelida mi fece rabbrividire. Quel posto buio sembrava, e a pensarci bene lo era, in contrasto con il mondo esteriore. Era un freddo e fetido angolo di mondo, un posto dove nemmeno un topo sarebbe andato a morire. L'uomo con bastone ed impermeabile sembrò accorgersi della mia presenza, continuò a camminare in direzione opposta alla mia, i suoi passi divennero più veloci, poi sparì dietro un angolo di muro. Il gatto che rovistava nel bidone fuggì via appena mi trovai in prossimità. Si trattava di un vicolo cieco, ma l'uomo nonostante il grosso muro che impediva di proseguire, era scomparso! Come poteva essere? Continuando a camminare mi accorsi, che una porta di ferro socchiusa era alla fine del percorso, l'uomo doveva per forza di cose essere entrato nell'edificio. Aprii la porta, un rumore assordante come di unghie su una lavagna mi fece trasalire, per poco non svenni dallo spavento. Era stato come se una grossa belva sanguinante, fosse appostata nell'ombra dietro la porta. Aperto il pesante pannello metallico, aveva ruggito, aveva sbraitato come uno dei più inimmaginabili orrori che il buio possa celare.

Appoggiato all'arrugginita porta metallica, prendevo fiato, il cuore batteva così forte che potei persino ascoltarlo. Guardai all'interno dell'angusto infisso, ma niente, non riuscivo a vedere. L'ombra del vicolo non aiutava di certo nell'impresa. Decisi di entrare, quell'uomo doveva essere lì. Appena vi misi piede un odore di muffa mi avvolse, la puzza era talmente antica e forte che la potei sentire sui vestiti anche una volta uscito da quel posto. Il posto era completamente buio e la poca luce proveniva da grosse finestre con grate di ferro. Quasi tutti i vetri erano spaccati. Le grate metalliche le avevo viste nel vicolo di poco prima, le finestre affacciavano senza dubbio in quell'angolo di tenebre. Il buio nell'ombra mi venne ironicamente di pensare. Il buio pesto dello scantinato nell'ombra umida del vicolo. Un ombra se pur scura e pesante riusciva ad illuminare debolmente la cantina. Si trattava di una sorta di deposito abbandonato. L'ambiente era scarto. Per terra vi era talmente tanta immondizia da non poter scorgere il colore del pavimento… ammesso che ci fosse un pavimento. La piccola stanza era vuota, cercai di fare attenzione a dove mettevo i piedi perché scorsi un paio di siringhe fra le amenità che ricoprivano il pavimento. Un rumore, uno strepito metallico destò la mia attenzione. Il frastuono proveniva da una cavità concava che poco prima avevo scambiato per una finestra. Si trattava invece di una sorta di piccolo caminetto, dal quale proveniva una fioca luce. Mi abbassai per guardarci all'interno, con mio stupore, una scala metallica era al suo interno. Ficcai poi la testa in quella che una volta era una cappa. Con sorpresa notai che la scala sarebbe arrivata fino al tetto, o comunque in una camera illuminata. La luce proveniva dall'apertura superiore. Inizia a salire. Il passaggio era davvero angusto, mentre salivo con la schiena strusciavo la parete. La scala a pioli, non è che fosse rassicurante, ad ogni passo tremava e gridava, gridava e sibilava nella sua lingua… quella del ferro vecchio. Ero quasi alla sommità, la mia curiosità sarebbe stata appagata appena avrei messo la testa fuori da quelle tenebre. Arrivai finalmente in cima. Era il tetto del palazzo. Notai che un piccolo coperchio metallico era stato spostato. L'uomo che continuavo a seguire era passato sicuramente di lì. Una volta in piedi notai che ero ricoperto di fuliggine, ero nero. Le mani avevano assunto un colorito al di fuori del normale. Erano sporchissime di ruggine. Poi lo vidi, era lui, n'ero sicuro. La folta barba, l'impermeabile lungo, il cappello e il bastone erano i suoi segni d'identificazione… era lui! Mi osservava con occhi sgranati, sembrava aver visto un fantasma. In effetti potevo essere scambiato tranquillamente per l'uomo nero. Ero sudicio e puzzolente sotto i cocenti raggi del sole, mi sentivo come un sorcio appena fuoriuscito da una fogna. L'uomo continuava ad osservarmi, poi si voltò ed iniziò a correre verso il basso cornicione. Capii subito che si sarebbe buttato. Voleva uccidersi, voleva morire.
"Si fermi!" gli urlai con il poco fiato che avevo in gola.
L'uomo sembrò quasi non ascoltare la mia voce e si buttò. Corsi veloce, più veloce di quanto potevo verso il precipizio, e lì sull'orlo del cornicione lo vidi in strada inerme sull'asfalto. Seguirono grida e lamenti di una folla che gradatamente e con una velocità impressionante si ammassava intorno all'uomo. Poi lo sguardo di molti mi raggiunse, mi ritirai indietro, non volevo essere visto.
Il tempo di voltarmi che l'uomo con folta barba e occhi sgranati era alle mie spalle. Tenni a lungo il suo sguardo, uno sguardo di terrore, paura e tenebre, misto a malinconia, disperazione e smarrimento. Una sola sua spinta mi avrebbe condotto a miglior vita. L'abisso alle mie spalle non avrebbe dato scampo… Ma come poteva essermi di fronte se qualche istante prima era sull'asfalto?
Lo sguardo dell'uomo si rasserenò.
"Sono pronto":
"Cosa…" balbettai.
"Adesso sono pronto per il lungo viaggio".
"Pronto? Viaggio?".
Non riuscivo a capire il senso di quelle mezze parole. Il caldo si faceva sempre più insopportabile, il sole coceva attirato dal nero della mia… Tunica.
Mi toccai il capo e mi accorsi che in testa avevo un cappuccio. Mi guardai le mani che erano sempre cosparse di ruggine. Non si trattava di un elemento estraneo, di sporco, era il colore delle mie mani! Ancora l'insopportabile puzza di morte sui vestiti, ma non si trattava di puzza… era il mio odore, un odore acre, l'odore dei morti… quello della morte.

Antonio Ferrara