Pazzia

Il caminetto era acceso. Mattheus era sulla sua solita poltrona con in mano un libro. Ros stava disegnando, distesa a terra. Maria, invece, leggeva un libro di ricette. La stanza era calda e silneziosa. Ogni tanto, qualche confortevole scoppiettio, veniva emesso dal caminetto e questo si univa al rumore della continua e copiosa pioggia che stava scendendo dalla mattina. L'orologio segnava le nove e tre minuti. Avevano finito di mangiare da un'ora circa e per Ros si avvicinava l'ora di andare a dormire. Era domenica e l'indomani mattina lei sarebbe dovuta andare a scuola, mentre suo padre sarebbe andato a lavorare.
Fu circa quando le lancette dell'orologio si spostarono sulle nove e cinque minuti che una specie di lampo attraversò la mente di Mattheus e lo cambiò.
Stava leggendo, quando qualcosa di strano si insinuò nella sua mente e ne prese le redini.
Sua figlia si alzò, posò la matita su una poltrona e correndo, con un sorriso malizioso sul volto e una mano sul ventre, si diresse verso le scale. Le salì velocemente, percorse il corridoio e raggiunse il bagno, nel quale si chiuse dentro. Aveva dieci anni e da quando aveva iniziato a ragionare, quella casa l'aveva messa più volte in suggestione. Non le piaceva. Nel profondo dell'anima, in verità, la odiava e la temeva.
Lo sguardo di Mattheus si illuminò di una strana luce. Maria non si accorse di niente: in silenzio continuava a leggere il suo libro di ricette alla ricerca di qualche piatto per il giorno dopo.
Mattheus posò il suo libro. Il respiro gli si fece affanoso. Iniziò lentamente a sudare. Il suo cuore prese a battere a mille. Il libro cadde sul tappeto, senza emettere un gran rumore. Sua moglie rimase inerte. Nella sua mente vibravano squillanti note stonate. Immagini senza senso venivano sbalzate per il suo cervello, voci di persone mai conosciute echeggiavano senza mai finire.
E poi c'erano i lamenti. Era come se dei bambini stessero per morire nella sua mente, a sua insaputa.
Iniziò a volgere lo sguardo in più direzioni, quasi come a cercare qualcosa.

I suoi occhi si posarono su più oggetti: si soffermarono sull'orologio, sul fuoco, sul disegno di sua figlia. E tutto quello che vedeva era errato: le lancette dell'orologio stavano compiendo un moto circolare tutte assieme e in direzioni diverse. Il fuoco disegnava fiamme altissime e di un vivace rosso sangue (più volte qualche lingua di fuoco sembrò uscire dal proprio spazio per tentare di prendere Mattheus e lui tutte le volte si trovò pronto a sottrarsi). Ma la cosa peggiore, ciò che lo fece impazzire del tutto, fu quando osservò il disegno della figlia: invece di una bambina con il suo cagnolino, Mattheus vide un abominevole essere con gli occhi rossi, della stessa tonalità delle fiamme, che stava per divorare la ragazzina, che inerme si prostrava davanti a quell'essere. Poi c'era sangue ovunque, quasi come se quella bambina, in realtà, fosse l'ultima superstite di una terribile carneficina.
Si alzò.
Velocemente, traballando anche un pò a destra e a sinistra, si avvicinò alla cucina. Si appoggiò con entrambe le mani al bordo del lavandino e rigettò tutta la cena della sera.
In seguito, con il respiro ancora un pò affannato, si avvicinò alla soglia per osservare sua moglie.
Gli era sovvenuto un dubbio, mentre vomitava.
Un atroce dubbio.
Sua moglie continuava, imperterrita a leggere e a sfogliare le pagine del suo libro di ricette (era incredibile la sua concentrazione sui libri). La guardò e quello che vide non solo avvalorò il suo dubbio, ma lo lasciò peggio ancora del disegno della figlia.
Sua moglie gli appariva con un'orrenda faccia da mostro, dove sacche di pelle verdastra scivolavano lente, pustole con sfumature nere si contraevano ritmicamente e una strana sostanza le colava lenta sul volto. I suoi occhi erano della stessa intensità del rosso delle fiamme.
Si rifugiò nuovamente nella cucina. Stava sudando molto ed il suo respiro, adesso, procedeva a rantoli. Si guardò attorno.
Aveva molta paura.
Dopo una breve torsione della testa il suo sguardo cadde su un coltello per carne. La sua mente vide in quello l'unica via di fuga.
Si avvicinò e lo impugnò.
Con cautela, brandendo l'arma, fece qualche passo in direzione della porta.
Fu in quel momento che sua moglie chiuse, con un secco rumore, il libro di ricette che stava leggendo.
« Caro, ho trovato una ricetta... » mentre pronunciava quelle parole, depose a terra il libro con le mani, mentre con lo sguardo osservava la poltrona vuota, che doveva essere in realtà occupata da suo marito. Notò anche l'assenza della figlia.
« Dove sei Mattheus? » chiamò con voce soave.
Lui, intanto, si era bloccato. Era immobile con perle di sudore che gli scendevano sul volto. Era percorso continuamente da brividi. Tremava, ma continuava a brandire il coltello.
Lei voltò il proprio busto e lo vide. Immediatamente la sua espressione mutò: il sorriso che aveva all'inizio sul volto, le morì all'istante.
« Ma che cosa... » non ebbe più parole. Si trovò davanti un uomo che per un momento fece fatica a riconoscere. Quando identificò che era suo marito, ebbe un attimo di calma, che però svanì poco dopo, quando vide che la stava per aggredire con un coltello in mano.
Era però resa immobile dalla paura. Non poteva muoversi.
Lui fece qualche passo ancora e poi le fu addosso. Lei cercò di muoversi.
Gridò.
Le venne in mente solamente in quel momento di gridare. Ma perchè gridare? Avrebbe fatto fatica a sentirla sua figlia, ovunque fosse, figurarsi i vicini che erano a cento metri di distanza.
Provò, sempre urlando, a lottare, ma questa volta Matthues vibrò per tre volte il coltello su Maria.
Morì al secondo colpo, quello diretto al cuore. Il sangue sprizzò un pò ovunque. Maria agonizzò per qualche secondo, poi ricadde inerme. Mattheus continuò ripetutamente a colpire sua moglie. Il suo volto era madido di sangue e la sua camicia, anzichè bianca, era divenuta rossa.
Si calmò cinque minuti dopo.
Aveva il respiro affannoso, ma si sentiva meglio: aver potuto uccidere quell'abominevole mostro lo rendeva felice e più tranquillo.
Si lasciò andare sulla poltrona.
Cercò di calmarsi, poi sentì lo sciacquone del bagno e in quel momento fu nuovamente colto da un dubbio: un mostro può generare un altro mostro?
La paura, in risposta a quella domanda, gli attanagliò le viscere. Avrebbe voluto scappare, ma capì che doveva fare invece qualcosa. In futuro quell'essere avrebbe potuto generare altri mostri. Lui poteva essere il salvatore dell'umanità.
Impugnò il coltello sanguinante e lentamente si avvicinò alle scale. Iniziò a salire gradino per gradino, facendo ben attenzione a non farsi sentire.
Ipotizzò che in quel momento il mostro si stesse iniettando qualche strana sostanza, come magari faceva da molto tempo senza che lui nè nessun altro se ne fosse accorto. Perchè in verità erano astuti, sapevano camuffarsi molto bene.
Giunse al piano superiore.
Si trovò così faccia a faccia con il corridoio che lo separava dal bagno. Erano circa dodici metri da percorrere. Li attraversò in due minuti, lentamente. Accanto al bagno vi era una stanza degli ospiti e la sua mente vagliò due possibilità: o appostarsi in quella stanza, aspettando che uscisse, oppure entrare nel bagno.
Ma mentre stava per decidere, la prta del bagno si aprì e fischiettando un motivo straniero degli anni settanta, uscì Ros. Si stava scrollando le mani e minuscole goccioline d'acqua si disperdevano tutt'attorno.
Mattheus non la vide come un mostro, ma ipotizzò che forse si era camuffata, come faceva da chissà quanto.
Lo sguardo della ragazzina era rivolto verso il basso e quando avvertì la presenza di qualcuno nel corridoio, alzò la tersta. Quando vide suo padre in quelle condizioni, sentendone anche il maleodore misto fra escrementi, sangue e sudore, rimase impassibile. Avvertì solamente una specie di tuffo al cuore prima di accorgersi che la sua mente aveva già preventivato tutto: sapeva già che quella casa aveva qualcosa di sbagliato, sapeva che prima o poi qualcosa di malvagio sarebbe avvenuto, sapeva che sua madre era morta e sapeva anche che lei di lì a poco, avrebbe fatto la stessa fine.
Avvenne così che Mattheus Vorn, marito di Maria Vorn, assalì sua figlia Ros quando l'orologio sengava le nove e ventidue minuti.
Le inflisse lo stesso numero di coltellate rivolte alla moglie. Ros non si ribellò molto. Sapeva di essere ormai vittima di un meccanismo troppo grande per poterlo schivare. Un meccanismo di nome Destino.
Con l'ultima coltellata inflitta alla figlia, la casa cadde in un tenebroso silenzio. Nessun rumore sembrava poter esistere.
Si addormentò così, sul freddo pavimento accanto al corpo morto della figlia. E quando la mattina seguente avvertì i rumori che provenivano dalla strada, rimase un pò interdetto.
Era cosciente di quello che aveva fatto la sera precedente. Si sentiva la febbre, aveva un brutto raffreddore e una grottesca tosse. Tremava.
Si avvicinò alla finestra. Scostò le tende a fiori cucite da sua moglie, e guardò fuori. Un nodo gli attanagliò la gola; provò a deglutire, ma senza successo: vedeva la vita cittadina scorrere, con le macchine che correvano veloci e le persone che andavano tranquillamente a passeggio (nonni con i nipotini, madri che sospingevano carrozzine).
Ma non erano normali.
Erano esattamente come sua moglie.
Fu a quel punto che gli sovvenne il terzo dubbio. Fu quello decisivo, folgorante. Si allontanò dalla finestra. Guardò il corpo di sua figlia e poco dopo il suo sguardo ricadde sul luogo dal quale la sera prima, era uscita: il bagno.
La porta era stata lasciata leggermente aperta e potè osservare di scorcio lo specchio: vide per un attimo riflessi mille volti di esseri orrendi.
Fece qualche passo e poi aprì del tutto la porta. Entrò e si guardò allo specchio.
Capì in quel momento di essere pazzo, di essere lui di troppo. Infatti non aveva la pelle verde piena di pustole, non emetteva una strana spstanza; lui era di carnagione bianca e liscia. E sua figlia era un suo prodotto, come lui.
Capì che lui era il colonizzatore, non le sue vittime.
Ripetè l'atto di guardarsi attorno e questa volta i suoi occhi inciamparono in un rasoio.
Lo impugnò.
Lo avvicinò al collo.
E prima di tagliarsi la gola, recidendosi la giugulare, per morire tre minuti dopo, gli sovvenne alla mente un'ultima domanda:
Chi era lui?

Alessandro Pieralli