Lacrime di sangue

"In ogni lacrima c'è dentro un po' di lui e tu lascia che asciughi da sola".
Già, era proprio così. Le lacrime scorrevano sul volto di Diana e non accennavano ad arrestarsi. Le parole di quella canzone inviavano al suo cervello impulsi dolorosi, impulsi che andavano oltre il dolore fisico superficiale, impulsi che avevano radici molto più profonde. Un cuore lacerato. Due cuori lacerati. Due vite distrutte.
La consapevolezza che non avrebbe mai più potuto soffocare il suo istinto. Avrebbe voluto uccidersi, annientarsi. Ormai anche le punizioni corporali con cui affliggeva il suo splendido corpo non le causavano più alcun disagio o dolore. Le ferite sulla pelle si rimarginavano in fretta. Quelle nella sua anima non avrebbe potuto curarle mai più.

 

* * *

 

Una splendida ragazza bionda sedeva annoiata e accaldata a cavalcioni sul muretto che cintava il chiostro dell'antica università della piccola cittadina. Studiava, o almeno tentava di concentrarsi, facendo finta di non sentire i commenti volgari sulla sua avvenenza che un gruppo di compagni di corso le rivolgevano, neppure troppo a bassa voce, da dietro una colonna vicina.
C'erano giorni in cui malediva i suoi genitori per averla creata ad immagine e somiglianza della dea Afrodite. La sua bellezza era specchio della sua solitudine. Giunta all'età di ventidue anni, non aveva mai avuto un ragazzo, un fidanzato, non aveva mai fatto l'amore, non aveva mai dato un bacio vero. Non aveva mai avuto una vera amica, perché tutte le volte che aveva tentato di instaurare dei rapporti con altre ragazze, aveva sempre dovuto pagare lei il conto della loro invidia. La sua bellezza finiva sempre per essere termine di paragone e discriminante in ogni relazione in cui era coinvolta. Per quello che le interessava, poi. Era consapevole che tutti i ragazzi che incontrava si mostravano gentili, simpatici e servizievoli con lei perché il loro unico scopo era portarsela a letto. O almeno il suo pessimismo cosmico la induceva a pensarlo.
E lei soffriva, soffriva perché era nell'attesa dell'amore vero, di un uomo di cui potersi innamorare essendo sicura dei suoi sentimenti, di non essere considerata solo un oggetto sessuale, ma una persona da amare a prescindere dal suo aspetto fisico.
- Ehi bella ! - Una mano sgradevole le aveva chiuso il testo di filosofia che teneva in grembo e l'aveva distolta dai sui pensieri. Diana alzò lo sguardo e fissò con occhi di ghiaccio il suo interlocutore. Era uno dei ragazzi idioti di prima, che ora le era di fianco e faceva sfoggio di un sorriso perfetto stampato su un viso abbronzatissimo. Gli occhi verdi e un accenno di pizzetto completavano quello che era il volto di un tipo notevolmente interessante.
- Senti, non è che ti andrebbe di mollare per un po' questi dannati libri e di uscire con me stasera? - Era proprio il classico tipo che Diana detestava, rozzo e assolutamente privo di buone maniere, per quanto bello che fosse. La ragazza ripose il libro nel suo zaino, discese dal muretto e rispose gelida - No, grazie, non mi interessa - avviandosi poi lungo il colonnato. Il ragazzo strabuzzò gli occhi e rispose di rimando - Se te la tiri così tanto finirai che si rompe ! -
Diana stava raggiungendo con passo veloce il cancello d'uscita dell'università. Un sapore amarognolo si era impadronito della sua bocca e nella sua mente irritazione e tristezza navigavano come una zattera su un mare in tempesta. Una voce gentile le chiese di fermarsi. - Mi scusi signorina! -. La ragazza si girò e si trovò davanti un ragazzo dimesso, semplice, con occhiali tondi e barba incolta, che gli conferivano un aspetto vagamente intellettuale. Ciò che attirò Diana furono gli occhi azzurri del ragazzo, occhi bellissimi, leggermente velati di tristezza. - Volevo scusarmi per il comportamento dei miei coinquilini e soprattutto per quello di Max - fu la prima frase che proferì il ragazzo. - Purtroppo loro si comportano così con tutte le ragazze carine e… -.
- Non ho bisogno di ascoltare giustificazioni cretine - lo interruppe secca lei, ma si pentì un secondo dopo perché il ragazzo sembrava non avere nulla in comune con la maleducazione e la superficialità che lei detestava. Tentò di rimediare - Scusami, non ce l'ho con te. Io mi chiamo Diana, e tu? - - Io sono Bernardo - rispose lui con un filo di voce. Quasi senza accorgersi si incamminarono chiacchierando lungo il viale d'ingresso.
Iniziarono a frequentarsi assiduamente durante i corsi universitari e ben presto, come nella più scontata delle commedie rosa, scoprirono di avere parecchi punti di contatto. A cominciare dalla musica. Le note delle canzoni del loro cantante preferito accompagnavano i loro primi appuntamenti, le loro prime gite in macchina. I loro primi baci.
"Incomincia dalla sera, questa nuova storia grande…
che ha cambiato la mia vita proprio quando non pensavo, proprio quando non credevo…
"
Gli altoparlanti dell'autoradio diffondevano queste note e i due ragazzi potevano finalmente lasciar andare le loro emozioni. Emozioni senza freni. Diana finalmente era riuscita a superare il suo blocco psicologico e capì che per la prima volta nella sua vita si era innamorata.
"e danza così, danza sempre più forte, sul mio petto; continua così e muovi piano il tuo corpo sul mio petto… "
Fecero l'amore.
Diana piangeva, ma le sue lacrime erano un misto di gioia e sfogo per la tensione nervosa accumulata e Bernardo cercò di consolarla. Lei lo baciò e gli raccontò ancora di quanto avesse sofferto la solitudine, di quanto la sua bellezza l'avesse isolata, dono e maledizione allo stesso tempo. Giurarono di non lasciarsi mai. Era nato un sentimento splendido e fortissimo ed erano convinti che nulla avrebbe potuto spezzare questo incantesimo.
Nulla, tranne una fottuta bottiglia di whisky.

 

***

 

Bernardo era appena rincasato dopo essere uscito con Diana, come accadeva ormai quasi ogni sera. Appena aprì la porta si rese conto che c'era qualcosa di diverso dal solito. La sala era piena di gente, la musica rimbombava assordante, i bassi del megastereo di Max picchiavano con cattiveria e una nube di fumo si era addensata nella sua stanza da letto.
- Si può sapere cosa succede? - chiese Bernardo a Roberto, uno dei suoi coinquilini. - Che cazzo di domanda è? Non lo vedi? Max ha organizzato una festa ! - rispose lui - Ok, ma non mi potevate avvertire? Io domani mattina ho lezione presto e vorrei cercare di riposare. - - Ma beeeene! - Una voce maschile lo fece voltare di scatto. Era Max, i suoi occhi verdi erano opachi, i capelli scarmigliati e la voce stentorea e allo stesso tempo impastata gli fecero capire che aveva bevuto troppo. - Ma beeeene - ripeté il ragazzo. - Passi quasi tutto il tuo tempo fuori di casa, non esci più con noi, non rispetti più le regole di convivenza, i turni per lavare i piatti o la biancheria e ora vuoi anche decidere se posso dare una cazzo di festa oppure no? - - Lo sai che non è così - rispose Bernardo - Solo che mi sarebbe piaciuto saperlo prima, così mi sarei organizzato e avrei dormito altrove per non disturbarvi …- - Stai zitto terrone ! - gli intimò Max. - Ora che ti vedi con quella puttana non hai più tempo per noi che invece ti abbiamo accolto quando sei arrivato dal tuo paese di merda e sembravi un pesce fuor d'acqua -. Bernardo sentiva l'adrenalina e la rabbia che gli montavano nel corpo, ma cercò di restare calmo. Capiva che Max aveva una dannata voglia di litigare e che la cosa era amplificata del mille per mille a causa del whisky. Ma qual'era il vero motivo? Le scuse dei piatti non lavati o della biancheria sporca gli sembravano futili. Forse non gli andava giù che Diana gli avesse dato buca e che invece si fosse innamorata di lui, che esteticamente parlando non poteva reggere il confronto, ma quanto ad intelligenza e educazione…
Provò a parlargli ancora una volta ma Max gli si avvicinò per sussurrargli qualcosa all'orecchio. La puzza di alcool era insopportabile e Bernardo dovette voltarsi leggermente di lato. - Senti Bernardo, potremmo tornare buoni amici. Noi abbiamo sempre diviso tutto con te e se tu volessi convincere la tua troietta a uscire con me forse… - Non fece in tempo a finire la frase. Un uppercut micidiale lo mandò al tappeto. Bernardo, ansimante, fissava la sua mano dolente e l'amico steso per terra. Gli ospiti della festa si erano improvvisamente ammutoliti e qualcuno aveva spento la musica.
Gli istanti successivi furono vissuti dai presenti al rallentatore, quasi fossero le immagini di un film o di una partita di calcio che scorrevano alla moviola. Max si alzò barcollando e si avventò su Bernardo brandendo la bottiglia vuota. Che si infranse sul cranio del malcapitato. Il corpo del poveretto stramazzò al suolo, esanime; un fiotto di sangue gli usciva da un profondo taglio sopra la tempia destra.
Gli invitati pensarono bene di battersela il più velocemente possibile e Max rimase in piedi con uno sguardo assente, fissando il vuoto. - Dai, scappa! - gli disse Roberto. Ma non ottenne risposta.

 

***

 

Diana stava per andare a dormire, quando ebbe un angosciante presentimento. Una sensazione improvvisa di panico l'aveva attanagliata, il suo corpo tremava ed era in preda a sudori freddi, una tossetta isterica la scuoteva implacabilmente. Si vestì in fretta e furia e si diresse verso casa di Bernardo. Continuava a ripetersi che non era successo nulla e che ne avrebbero riso insieme ma quando vide Roberto che sgattaiolava fuori del portone e quando poi trovò la porta di casa aperta, fece l'agghiacciante scoperta. Max era ancora in piedi, attonito, con la bottiglia rotta e Bernardo a terra in un lago di sangue. - Ma che è successo ? - urlò lei - Bastardo, che cosa gli hai fatto? Che cosa gli hai fatto….- La voce le si spense in gola e singhiozzò per alcuni istanti
L'ambulanza portò di gran carriera il ragazzo all'ospedale, che fu sottoposto ad una lunghissima operazione al cranio.
Il primo bollettino medico risuonò alle orecchie di Diana come la scarica di una mitragliatrice.
-Coma profondo- disse un medico tarchiato dallo sguardo assonnato con il suo odioso timbro di voce asettico e professionale, privo di ogni emozione. - Difficilmente potrà risvegliarsi - aggiunse.
Il mondo intorno alla ragazza iniziò a roteare. La voce del medico assunse un timbro sempre più profondo e rallentato, quasi fosse un vecchio walkman con le pile scariche. Si rese conto che le tenebre stavano avvolgendo il corridoio che prima era luminoso e vide i visi delle persone accanto a lei che si innalzavano. Svenne.

 

***

 

Una luce abbagliante le fece aprire gli occhi. Si trovava nel corridoio dell'ospedale solo che tutto era deserto. I medici, le infermiere, i pazienti erano scomparsi e le tracce della frenetica attività che caratterizzava quel luogo sembravano essersi volatilizzate. Diana avanzò nel corridoio verso la fonte di quella luce insistente e si accorse che proveniva da una piccola porticina. La porta era di legno, scrostata come se non fosse stata più aperta da parecchi anni, in stridente contrasto con l'arredamento dell'ospedale, decisamente moderno e recente. Una targhetta di acciaio tutta ammaccata recava la scritta "camera mortuaria".
Il legno non oppose alcuna resistenza nel momento in cui Diana spinse sulla maniglia di ottone opaco e si aprì scricchiolando. La stanza appariva vuota, completamente spoglia; le pareti ingiallite e sporche non erano state più imbiancate da chissà quanto tempo. L'attenzione della ragazza si focalizzò su un quadro appeso ad una parete. Sul dipinto, che sembrava un moderno San Sebastiano, era raffigurato un giovane con un'espressione sofferente. Il suo corpo completamente nudo era trafitto da centinaia di pugnalate che avevano generato ferite dalle quali il sangue sgorgava copioso. Il giovane del dipinto era sorprendentemente simile a Max!
Il cuore di Diana pulsava e si contraeva, come se avesse un profondo attacco di extrasistole, ma lei era attratta e affascinata dall'espressione di sofferenza del dipinto. Allungò le sue mani e sembrò accarezzare le ferite sapientemente immortalate. L'eccitazione le faceva fremere il corpo. Sul suo viso iniziava a formarsi un'espressione distaccata e un lieve sorriso le increspò il volto. Guardò la firma sul dipinto. Cinque lettere rosse scritte col sangue: Diana.
Rise. La sua risata isterica era sempre più forte e incontrollabile. Rise fino alle lacrime.

 

***

 

Un dolore al braccio la fece svegliare di soprassalto e si ritrovò distesa sul lettino di un ambulatorio. Accanto a lei vide un infermiera che trafficava con una provetta e una siringa. Diana la esaminò accuratamente, dimostrava non più di quarant'anni, aveva i capelli corti castano scuro e il suo camice bianco nascondeva i chili di troppo.
La donna si girò verso di lei. - Le ho iniettato qualche cc di tranquillante, dormiva ma sembrava agitatissima. - Il tono di voce era gentile e dolce e Diana riuscì a sorriderle debolmente. Non aveva il coraggio di farle domande ma alla fine cedette. - Mi dica, la prego, è molto grave? - La donna sospirò. - Devo essere sincera con lei. Le possibilità che il ragazzo si riprenda sono remote -.
Diana crollò nuovamente sul lettino. Le lacrime iniziarono a solcarle il viso. Ma non erano lacrime di dolore. Erano lacrime di rabbia. Maledì la vita, Dio e il mondo intero. Perché la sua felicità era durata solo pochi giorni? Perché le veniva impedito finalmente di vivere la sua età come ogni altra ragazza? Perché?
Fece ritorno a casa ma trascorse una notte agitata. Numerosi incubi popolarono il suo sonno; le ritornò in mente Bernardo disteso nella pozza di sangue, l'espressione idiota di Max e il dipinto che aveva sognato. Che appariva e scompariva in continuazione. La sveglia suonò puntuale alle nove, come ogni mattina, ma Diana non voleva saperne di alzarsi. Finalmente, al quinto tentativo, il trillo ossessivo dell'odiato arnese fece sortire i suoi effetti. Si alzò, si recò in bagno e si guardo allo specchio. Aveva un aspetto terrificante, i suoi capelli biondi erano scarmigliati come non mai, le borse sotto gli occhi sembravano quelle di una persona che non dormiva da giorni e il trucco che non aveva avuto il tempo e la forza di togliersi prima di coricarsi le si era disegnato in faccia come una bizzarra maschera di carnevale. Solo che non la faceva ridere, anzi. Il suo aspetto penoso le aveva brutalmente ricordato la tragedia che si era abbattuta su di lei la sera prima.
Fece la doccia e si sistemò i capelli. Tornò in camera, aprì l'armadio e fece una veloce cernita dei vestiti presenti al suo interno. In pochi istanti le magliette e i jeans che era solita indossare erano volati dall'altro lato della stanza. Aveva optato per un vestito sexy super aderente e cortissimo, che aveva indossato solo una volta ad un veglione per l'ultimo dell'anno e il ricordo la disgustò ulteriormente. Si ricordò come in quell'occasione la festa finì prima di iniziare, quando sentì per caso il suo cavaliere che, sghignazzando con gli amici, illustrava le "caratteristiche fisiche" della sua nuova preda. Un sorriso amaro si disegnò sul suo volto. Le sembrava incredibile che tutti gli uomini che aveva incontrato finivano per dimostrarsi dei veri animali. Tutti tranne Bernardo.
Con un gesto meccanico, per lei usuale, accese la radio. … " Se è vero che ci sei … caccia via la solitudine … di quest'uomo che ha capito il suo limite nel mondo…"
Musica. Quella musica, quelle canzoni che conosceva fin troppo bene e che ora la avvolgevano beffarde.
Appoggiò il vestito sulla spalliera di una sedia e si diresse verso la cucina. Ormai era quasi mezzogiorno. Aprì il frigorifero controvoglia, la sensazione di appetito le era completamente aliena e un forte senso di nausea le attanagliava lo stomaco. Lo richiuse in fretta, prese una mela dal cestino di vimini appoggiato sopra l'elettrodomestico e la addentò. Rimase in contemplazione di una foto di Bernardo, entrando come in stato di trance e fu svegliata dal suo torpore alcune ore dopo dal telefono che squillava. Si alzò a rispondere, era l'ospedale. Una voce professionale di donna la informò come lei aveva espressamente chiesto, sulle condizioni del povero ragazzo. - Le devo comunicare che i medici non hanno riscontrato alcun miglioramento, le sue condizioni sono ancora stazionarie. - Diana pensò infastidita che sarebbe stata una voce perfetta per registrare i messaggi sulle segreterie telefoniche, ringraziò freddamente e riagganciò.
Guardò fuori della finestra e vide che era ormai buio. Le lancette dell'orologio la informarono che erano quasi le nove. Si stupì di come il tempo fosse scivolato via così veloce. Si recò in bagno, prese il suo beauty-case e ne estrasse alcuni cosmetici. Si truccò in modo evidentissimo, quasi eccessivo. Indossò il vestito, le scarpe e uscì.
Se voleva farsi notare, aveva scelto il look giusto. I capelli biondi lasciati sciolti valorizzavano il suo splendido viso. Il rossetto color carne conferiva alle labbra una perfezione che sembrava disegnata al computer, l'ampia scollatura provocante evidenziava il seno e l'abito corto le aderiva perfettamente sui fianchi. Le scarpe col tacco alto rendevano le sue gambe di una lunghezza infinita. Fermò un taxi e si fece portare in uno dei locali più famosi di un paese vicino, meta gettonatissima dai giovani di tutta la regione.
Come api all'assalto del miele, in pochi istanti i giovani presenti nel locale si avvicinarono a Diana.
Ma ben presto si trasformò lei da preda in cacciatrice. Puntò un ragazzo sulla trentina, capelli scuri corti tagliati a spazzola con le punte rese chiare dai colpi di sole. Indossava una maglietta nera aderente, che metteva in risalto un fisico forgiato da numerose sedute in palestra. Notò che era circondato da un gruppetto di ragazze, ma non ci badò molto. Con una sfrontatezza inusuale per lei, si sbarazzò ben presto della compagnia indesiderata e rimase sola con lui. Ordinarono una bottiglia di spumante e ben presto le bollicine tolsero a Diana ogni residua inibizione.
Si scatenarono in pista con una serie di balli provocanti, fino a che il ragazzo le sussurrò qualcosa all'orecchio. Un sorriso strano illuminò la faccia della ragazza. - Perché no Alessandro? - gli rispose. - Dai, andiamo ! - Parcheggiarono la macchina davanti al portone di ingresso del palazzo dove abitava il giovane. Salirono in casa. - Posso offrirti qualcosa? - disse lui. La ragazza si avvicinò, gli tolse la giacca e la maglietta e cominciò a baciarlo con passione. Si diressero verso la stanza da letto. Appoggiò la borsetta sul comodino e iniziò a spogliarsi. L'uomo rimase senza fiato nel vedere il suo fisico perfetto. Il vibrante amplesso si protrasse per parecchi minuti, poi l'uomo, esausto, si sdraiò accanto alla ragazza e socchiuse gli occhi. Diana con un rapido movimento aprì la borsetta ed estrasse un oggetto di argento. Lo fissò per alcuni secondi. Nell'argento erano intarsiate finemente due teste di drago che svettavano su due corpi avvinghiati fra loro. Si ricordò di averlo acquistato qualche mese prima alla fiera locale dell'artigianato. Premette col pollice una delle due teste e una lama saettò dal lato opposto a quello che la mano della ragazza impugnava. "Fermati!" Una voce implorante fece sobbalzare Diana. Si girò verso il ragazzo ma vide che stava sonnecchiando. Si dedicò nuovamente al suo progetto e si voltò lentamente mettendosi a sedere sul letto. Passò il coltello dalla sua mano sinistra a quella destra. "Non farlo!". Diana era sconvolta. Ora l'aveva sentita distintamente. Una voce familiare, conosciuta. La voce di Bernardo. Diana era assolutamente paralizzata dallo sgomento e si interrogò sull'origine di quell'implorazione. Ma l'odio represso che covava dentro di sé ebbe la meglio. Si scosse dalla posizione di stallo e si girò verso l'uomo con cui aveva fatto l'amore. - Maledetto, tu come tutti gli altri ! - La lama saettò e si conficcò nella gola del malcapitato che si svegliò con un movimento goffo e un urlo strozzato. Un fiume di sangue sgorgò dalla sua bocca mentre si dibatteva furiosamente per restare sdraiato sul letto. Un secondo fendente lo raggiunse squarciandogli l'addome. Il corpo dell'uomo si riversò sul pavimento con un ultimo, terribile rantolo. Diana raccolse il coltello e andò in bagno. Lavò le mani e il pugnale, diede un'ultima occhiata al corpo straziato, uscì dalla porta e si allontanò dall'edificio.

 

***

 

Il risveglio fu terribile. Diana si alzò barcollando dal letto e si appoggiò contro l'armadio per avere un sostegno. La testa pareva dovesse deflagrare da un momento all'altro, tanto feroce era il suo pulsare. E Diana quasi se lo augurava, pensando così che avrebbe finalmente finito di soffrire. Si preparò in fretta un caffè. Era disgustoso, aveva un sapore talmente amaro che la riportò immediatamente alla realtà. In un attimo un violentissimo senso di colpa per il delitto che aveva commesso, la devastò. Il corpo di Diana fu scosso da un tremito di nervosismo finché esplose in un pianto dirotto e disperato.
"Perché l'hai fatto, perché". Ancora la voce di Bernardo. La ragazza aprì la borsetta ed estrasse il pugnale. Nonostante l'avesse lavato, c'erano ancora tracce visibili di sangue incrostato. Il suo equilibrio psichico stava vacillando. "Perché Diana, perché…" . - Perdonami Bernardo - . Furono le uniche parole che Diana riuscì a proferire. Quasi fosse un automa prese il coltello e si incise le vene. Due taglietti piccoli che però fecero fuoriuscire un discreto quantitativo di sangue. - Ecco, sei troppo vigliacca anche per ammazzarti - constatò ad alta voce. I due tagli erano trasversali, non longitudinali il che avrebbe significato morte sicura e si rimarginarono progressivamente.
Si avvicinò allo stereo e prese una cassetta. Quella solita cassetta che malediva e rifuggiva, ma di cui al tempo stesso non poteva fare a meno.
"Mi hanno rubato la libertà, è a pochi metri la libertà… Sono innocente, è un equivoco fatemi uscire da qui … "
Le note penetravano nel cervello di Diana come una lama nel burro. - Mi hanno rubato la libertà - ripeté lei. - Mi hanno rubato Bernardo -. La rabbia le faceva tremare le mani, prese in mano il coltello e iniziò a infierire sui palmi delle mani, sulle braccia, sul seno e anche sulle gambe. Il sangue le scorreva su tutto il corpo come un fluido magico. Si sentiva più rilassata ora. Fece un bagno con l'acqua gelida e si lavò tutte le ferite.

 

***

 

Trascorse i giorni successivi in isolamento. Non usciva e non mangiava quasi niente. Fu sorpresa nel constatare di come si rimarginassero velocemente le ferite che si era inferta. Anche le cicatrici che ne erano derivate erano decisamente poco visibili. Intanto le notizie che venivano dall'ospedale non erano assolutamente incoraggianti. La lotta che aveva intrapreso il suo giovane amore era in una fase di stallo totale. Nessun peggioramento ma neppure nessuna prospettiva di miglioramento.
Cercò di fare un po' d'ordine nella sua camera, quasi come se tentasse di farlo nella sua vita. Aprì l'armadio e vide il vestito che aveva indossato quella maledetta notte. Si sedette sul letto, lo accarezzò e se lo passò tra le mani esaminandolo con cura. Era il vestito di un'assassina. Assassina! Assassina! Assassina! La sua mente ripeteva pulsando all'infinito quella parola e la fece ripiombare nell'angoscia dolorosa e penetrante che la attanagliava da quel maledetto giorno. Si sentiva male, anche respirare le causava violente fitte al petto. E all'anima. Sospirò. Si alzò e prese in mano la sua agenda e il telefono e compose un numero. - Pronto? - rispose una voce maschile. Era proprio quella che attendeva di sentire. - Ciao Roberto sono Diana. Ho assoluto bisogno di vederti questa sera stessa. - Roberto fu decisamente sorpreso dalla telefonata, comunque le disse che sarebbe passato a prenderla in macchina verso le nove.
Fu molto puntuale e anche lui rimase colpito dal look aggressivo e incredibilmente sexy della ragazza. - Ma come, pensavo tu fossi ancora sconvolta da ciò che è successo a Bernardo! Come mai sei voluta uscire con me questa sera? - Il volto di Roberto sembrò a Diana una grande lavagna con disegnato un punto interrogativo. Questo pensiero la fece quasi sorridere. - Bernardo appartiene al passato - rispose lei. - Ora andiamo a divertirci - Roberto era assolutamente ipnotizzato dal fascino misterioso di Diana. Guidava cercando di mantenere la concentrazione, ma la sua mente volava senza freni. Dopo un breve giro, la condusse in una zona appartata nei pressi di un vecchio edificio abbandonato, meta ormai usuale di coppiette alla ricerca di intimità. La macchina si fermò. Diana accese l'autoradio e cominciò a muovere le mani sinuosamente verso il corpo di Roberto…. "Ti prego non farlo!". La solita voce. Quella voce. Diana si arrestò ed ebbe un sussulto. - Tutto a posto? - Le domandò lui. - Tutto a posto - rispose lei. Gli slacciò i pantaloni e la camicia. Dopo un attimo di smarrimento il ragazzo decise che non c'era alcuna ragione per non cogliere quel delizioso frutto. L'automobile ondeggiava sulle sospensioni e in pochi minuti i vetri si appannarono per l'umidità prodotta dall'intensa attività fisica. Improvvisamente il movimento regolare si arrestò. Una mano insanguinata si appoggiò al finestrino scivolando lungo esso e lasciando dietro di sé una scia rossa. Diana spostò con fatica il corpo riverso di Roberto sul sedile del passeggero. Si sistemò il vestito, ripose il coltello dal manico d'argento nella borsetta, mise in moto e guidò fino ad arrivare nei pressi della casa del giovane. La stessa casa dove aveva vissuto fino a pochi giorni prima Bernardo. "No! Diana, no…". La ragazza si fermò. Guardandosi nello specchietto potè notare che una lacrima stava scivolando silenziosamente lungo la sua guancia. "Perché…"
Dopodichè, cercando di non attirare l'attenzione, scese dall'auto e sgattaiolò nelle piccole viette della cittadina.

 

***

 

L'ispettore Ferraro passeggiava nervoso nel suo ufficio massaggiandosi i capelli brizzolati. In quasi trent'anni di onorata carriera in quella piccola provincia del Nord Italia non gli era mai capitato di dover far fronte a due omicidi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Questa volta però le cose sembravano mettersi al meglio. Nell'auto del giovane Roberto Archi erano stati trovati alcuni capelli biondi, sicuramente appartenenti ad una ragazza giovane, che sarebbero stati molto utili all'identificazione dell'assassino, anche mediante l'esame del DNA. Il cerchio iniziava a chiudersi, anche se permanevano parecchi lati oscuri. Numerosi interrogatori relativi al primo omicidio, quello di Alessandro Repetti, avevano confermato che il giovane si era allontanato dal locale dove era stato visto l'ultima volta, in compagnia di una splendida ragazza bionda. Si trattava ora di identificare chi fosse e perchè l'avesse fatto.

 

***

 

Diana era rientrata a casa. Chiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò. Buttò per terra la borsetta che si aprì e lasciò intravedere il manico argentato del coltello. Lo fissò per alcuni minuti senza aprire bocca.
"Amore mio, ti prego, smettila. Non posso vederti ridotta così. Ti prego, ti prego non farlo mai più…" Il ritmo cardiaco di Diana si accentuò e divenne irregolare. Il suo corpo era scosso nuovamente dai brividi e da sudori freddi. Ed ecco che implacabili, dopo pochi secondi, violenti colpi di tosse. Tosse nervosa, da attacco di panico. I singulti erano sempre più opprimenti finchè non dovette correre in bagno a vomitare. E poi, irrefrenabile, una crisi di pianto. Si lasciò cadere per terra. Era consapevole che in qualche modo Bernardo cercava di fermarla, che comunicava con lei con la forza del pensiero. Ma dalla prima volta che aveva ucciso il ragazzo conosciuto al locale, l'odio per il genere maschile era cresciuto a dismisura. Si rendeva conto che non sarebbe potuta più tornare indietro, che avrebbe potuto continuare a uccidere all'infinito. Si sentiva come in un labirinto dal quale era impossibile uscirne vivi. Prese il coltello e nuove ferite si aprirono sul suo corpo. La mano di Diana disegnò dei lunghi tagli sul seno e sulla pancia. Dolore. Voleva provare dolore. Era convinta nel suo profondo che solo un forte dolore fisico avrebbe potuto anestetizzare il suo dolore intrinseco. Si avvicinò allo stereo e premette play.
"In ogni lacrima c'è dentro un po' di lui… e tu lascia che asciughi da sola…"

 

***

 

Fu svegliata da un rumore. Le venne in mente che era molto simile al bip della tastiera di un computer quando si schiacciano per errore troppi tasti insieme. Che idiozia, pensò.
Nella semioscurità della stanza, il suo sguardo cadde su un puntino luminoso sopra il comodino. La sua mente offuscata faceva fatica a focalizzare l'immagine dell'oggetto che dava origine a quella lucina. Era la segreteria telefonica e quella spia serviva ad indicare che erano presenti dei messaggi.
Premette con fatica il pulsante e ascoltò il messaggio. Veniva dall'ospedale. Il respiro di Diana si arrestò. Anche la voce della solita infermiera, quella voce così asettica, priva di ogni emozione era questa volta leggermente incrinata. "Volevamo comunicarle che il paziente è in leggero miglioramento". Provò gioia, una gioia irrefrenabile, finchè il suo sguardo non si posò sulle lenzuola macchiate di sangue. E ancora una volta il peso dei ricordi fu insostenibile per lei. Ormai nulla avrebbe potuto essere come prima. Aveva rovinato due vite. La sua e quella di Bernardo. Era un'assassina, presto o tardi la polizia l'avrebbe beccata. Con uno sforzo enorme scacciò questi pensieri. Doveva sbrigarsi, doveva andare all'ospedale.
Raggiunse l'imponente edificio in pochi minuti. Superò velocemente la portineria e giunta in fondo al corridoio prese l'ascensore. L'indicatore dei piani saliva velocemente. Durante questo breve tragitto, Diana pensò che era passata quasi una settimana da quando si era recata lì l'ultima volta. Una settimana da quando era diventata un'assassina. - Basta! - Si morse un labbro per costringersi a stare calma, visto che ormai era sull'orlo di una nuova crisi di panico e di pianto. Le porte dell'ascensore si aprirono e uscì veloce attraversandole e dirigendosi lungo un breve corridoio. Le stanze con i degenti si aprivano su entrambi i lati. Il reparto di rianimazione appariva come un collage di sentimenti, paure, dolori e sofferenze. Ogni malato lì ricoverato aveva una storia. Ogni giorno un parente o un amico uscivano da lì felici per ogni buona notizia oppure con lo sguardo triste e la morte nel cuore quando le speranze venivano spezzate dalla brusca realtà.
Arrivò al letto n° 26. L'infermiera di turno la pregò di indossare il camice verde e i guanti antisettici prima di entrare. Lo spettacolo era alquanto forte. Bernardo era intubato e respirava grazie all'ausilio di alcuni dispositivi medici e di una mascherina. I capelli rasati a zero e il volto distorto in una smorfia assente lo rendevano quasi irriconoscibile. L'aspetto del ragazzo la scosse profondamente. Chiese di parlare con un medico. Un dottore giovane, dall'aspetto bonario e gioviale la fece accomodare nel suo studio. - C'è stato un leggero miglioramento, il coma profondo ha raggiunto uno stadio più superficiale e attenuato. Ma… - Diana lo scrutò e domandò: - Quante speranze ci sono che si riprenda ? - - Molto poche mi creda - rispose l'uomo. - Innanzitutto non è ancora fuori pericolo, crisi cardiache o respiratorie di esito fatale sono sempre dietro l'angolo. Poi non sono ancora valutabili i danni cerebrali che ha riportato; potrebbe non essere più in grado di risvegliarsi -. La ragazza ringraziò mestamente il dottore e si avviò verso l'uscita. L'ascensore era occupato e decise di attenderlo. Si aprirono le porte e lo vide. Gli occhi verdi e la carnagione abbronzata rendevano il viso che la osservava inconfondibile. Max era in piedi davanti a Diana, che sentiva la rabbia e l'odio ribollire dentro di sé come un vortice marino. Cercò di mantenersi calma. Il ragazzo la guardò e le disse: - Come sta Bernardo? Hai sentito poi quello che è successo a Roberto ? - - Senti adesso ho fretta, non mi seccare - disse lei e si allontanò. Sentì un dolore al braccio sinistro e si accorse che la possente mano di Max lo stringeva per trattenerla. - Senti un po' cretina - l'apostrofò lui. - Non credere di potermi trattare così. Quello che è successo a quello stupido di Bernardo è solo colpa tua. Se non mi avessi dato buca, tutto ciò non sarebbe mai accaduto! - Diana lo fissò. L'odio che il suo sguardo trasudava era cessato. Un sorriso accattivante spiazzò Max. - Forse non hai tutti i torti - rispose lei. - Senti, potresti venire da me stasera, così avremmo modo di chiarirci - . La tela del ragno era tesa e il ragazzo ci era finito dentro senza possibilità di scampo. L'istinto stava per prevalere ancora una volta. - Puoi contarci - rispose lui. - E chissà che finalmente non possiamo restare un po' da soli…- - Chissà - aggiunse lei. E si allontanò.

 

***

 

Il dossier sui due casi di omicidio era diventato decisamente voluminoso e l'ispettore Ferraro ne stava analizzando gli ultimi dettagli. Gli indizi e le testimonianze raccolte all'ospedale avevano portato all'identificazione del presunto assassino. Aveva scoperto che Roberto Archi era coinquilino di un certo Bernardo Porretta che versava in stato di coma all'ospedale locale, in seguito ad un incidente domestico. Parlando con il personale medico, la ragazza di questo sfortunato giovane era stata descritta come bionda e molto attraente, una certa Diana Bruni, secondo gli inquirenti. Avevano analizzato il camice che la giovane aveva indossato in occasione di una visita al ragazzo sul quale erano stati rinvenuti alcuni capelli biondi. L'analisi del DNA aveva dato esito positivo. La ragazza era la stessa che era in macchina con Archi la sera del suo omicidio. Mancava il movente però. E poi mancavano i collegamenti fra i due omicidi, visto che le indagini avevano accertato che le due vittime non si conoscevano. Comunque era ormai tutto pronto. Stava per recarsi a casa di Porretta, a parlare con l'altro coinquilino, tale Massimo Maiocchi che probabilmente avrebbe potuto fornire nuovi e più precisi dettagli in merito.

 

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Diana si era vestita con il suo solito abito provocante e aveva preparato tutto il necessario per la riuscita del suo piano. La bomboletta anti-stupro era nascosta fra il cuscino del letto e il materasso e la piccola telecamera digitale era carica e pronta per l'uso. "Ti prego non lo fare". Cercò di controllarsi nonostante la solita voce implorante che rimbalzava nella sua mente.
Aveva appena finito di preparare il tutto quando suonò il campanello. Max era puntualissimo e lei lo fece accomodare. Come da copione, lo sguardo del ragazzo non si staccava dal corpo perfetto di lei. Lo aveva in pugno. Lui cercò di iniziare un discorso, ma lei lo zittì prendendolo per mano e conducendolo in camera. Max iniziò a spogliarsi e lei gli chiese di spegnere la luce. La ragazza si spogliò nella semioscurità, tanto che lui non badò alle profonde cicatrici che decoravano il suo corpo. Iniziarono a fare l'amore e lui era talmente eccitato da non accorgersi che la ragazza aveva acceso la telecamera sulla mensola sopra il letto, che riprendeva tramite l'immagine riflessa sull'enorme specchio antistante il letto, ciò che stava accadendo.
Al culmine dell'eccitazione lei gli gridò: - E' vero che hai colpito Bernardo ? - - Cosa ?- rispose lui con le facoltà mentali limitate dalla frenesia del rapporto. - Dai dimmelo! - disse lei senza fermare i movimenti del suo corpo, anzi aumentandoli di intensità. - Dai dimmelo, lo sai che mi eccita terribilmente - - E' vero - disse lui a voce alta sempre più eccitato - E' vero, l'ho colpito perché volevo ammazzarlo quel bastardo! - - Siiii, ancora! - ansimò lei. Fu un attimo. Prese da dietro il cuscino la bomboletta antistupro e spruzzò il contenuto negli occhi di Max. Il ragazzo si ritrasse urlando di dolore. Diana afferrò una bottiglia di vetro che aveva appoggiato sulla mensola e colpì Max facendolo tramortire.

 

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Giorgio Ferraro bussò alla porta dell'abitazione dove credeva di trovare Massimo Maiocchi. Nessuna risposta. Si aprì la porta dell'appartamento di fianco e ne uscì un ragazzo sui venticinque anni, fisico atletico e capelli scuri. L'ispettore lo fermò e gli chiese se conoscesse Massimo Maiocchi. Il ragazzo rispose in modo affermativo. - Molto bene - disse Ferraro - E magari sa anche dirmi dove è andato ? - - E a lei cosa interessa ? - rispose sgarbatamente il giovane. Con un veloce movimento l'uomo esibì il tesserino di riconoscimento. - Polizia. E le conviene collaborare perché il suo amico potrebbe essere in grave pericolo. - Il giovane impallidì e spiegò che senza ombra di dubbio si era recato da una certa Diana Bruni, perché gli aveva detto che proprio lei lo aveva invitato.
Ferraro imprecò e chiamò subito i colleghi alla Centrale, dicendo di inviare subito delle volanti all'abitazione della ragazza.

 

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Max aprì gli occhi. Sentiva la testa che gli pulsava dolorosamente e gli occhi appiccicosi da uno strano liquido. Lo stesso liquido che gli colava sulle labbra aveva un sapore dolciastro e ferroso. Sangue, pensò. Cercava di mettere a fuoco la situazione ma non poteva muoversi. Le mani e le gambe erano legati ai bordi di quello che faticò a riconoscere come il letto. Finalmente riuscì a ricordarsi che era a casa di Diana e che aveva fatto l'amore con lei, ma poi … Si aprì la porta e Diana completamente nuda entrò nella stanza. Per la prima volta Max si accorse che il corpo della ragazza era solcato da numerose cicatrici. - Maledetta pazza, che cazzo vuoi farmi ? - La ragazza si avvicinò silenziosa al letto. Con una mano teneva la telecamera digitale, con l'altra impugnava un minaccioso coltello dal manico d'argento. Appoggiò la telecamera su una sedia, in modo che potesse riprendere tutto e si accostò al giovane. - Voglio semplicemente farti soffrire quanto tu hai fatto soffrire me e Bernardo, lurido bastardo! - Max iniziò a dibattersi per tentare di liberarsi dalle corde che gli imprigionavano gli arti, ma la mano di Diana fu implacabile. Una prima coltellata penetrò nell'addome del ragazzo. - Smettila, non uccidermi !- implorò lui. - Nessuna pietà - disse lei. - Nessuna pietà come non ne ho avuta per Roberto e per quel ragazzo che ho ucciso per primo, che mi ha fatto capire quanto siate disgustosi voi uomini e che mi ha fatto scoprire quanto potesse essere incontrollabile l'istinto di uccidere! - Volarono altri fendenti e in pochi secondi il corpo di Max appariva come un colabrodo. Le ferite da cui sgorgava copioso il sangue facevano rivivere a Diana una sensazione di dejà vu. L'espressione del ragazzo. Il quadro. Era la stessa espressione del quadro infernale che aveva sognato quando era svenuta in ospedale. Si osservò le mani insanguinate in preda ad un'estasi morbosa, all'ispirazione, all'orgasmo creativo. Si sentì simile ad una pittrice. Una pittrice maledetta.
Stette in silenzio ad osservare la sua creazione. Il respiro di Max diveniva sempre più debole e roco finchè non cessò del tutto. Il corpo sussultò un'ultima volta e rimase immobile, senza vita. Diana si scosse, prese la telecamera, ne estrasse la videocassetta e la mise in bella mostra sul tavolo insieme con un bigliettino dove scribacchiò qualcosa.

 

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Aprite la porta o sfondiamo! - Attesero per qualche secondo la risposta e accorgendosi che non sarebbe mai arrivata, il capitano con un rapido gesto, indicò al più robusto dei suoi uomini di procedere e di entrare. I cardini della porta cedettero facilmente emettendo un gemito sinistro. Due uomini armati di pistola si addentrarono con circospezione nella casa apparentemente deserta. La scena che apparve ai loro occhi fu insostenibile per uno di loro due, che si piegò sulle ginocchia in preda a violenti conati di vomito. L'ispettore Ferraro scivolò velocemente alle loro spalle e vide il cadavere. Mormorò:- Maledizione, siamo arrivati tardi… - Il suo sguardo fu catturato dalla videocassetta presente sul tavolo. Il bigliettino diceva: "per la Polizia. Da visionare immediatamente". Ferraro introdusse la cassetta nel videoregistratore che Diana aveva appositamente lasciato acceso e assistette al macabro spettacolo. La sua esperienza di anni di investigazioni fu di enorme sostegno per il suo stomaco. Ben presto il movente dell'assassina gli fu perfettamente chiaro. Volse il suo sguardo verso il corpo straziato di Max e per un breve attimo provò pietà per lei, per quella povera ragazza. Il video era quasi terminato, ma ad un certo punto l'ispettore sussultò vedendo l'immagine di Diana che iniziava a danzare per la stanza cantando a bassa voce "… amore mio… ho bisogno di dividere… tutto questo insieme a te". Un flash. L'uomo chiamò a raccolta i suoi uomini e ripartirono in gran fretta.

 

***

 

Diana sedeva vicino al letto ospedaliero di Bernardo con gli occhi pieni di lacrime. - L'ho fatto per vendicarti amore mio. - "E cosa hai ottenuto?" La voce di Bernardo nella sua mente la fece sobbalzare. "Niente, amore mio, niente. Hai solo rovinato la tua vita. E così facendo anche la mia"
Diana non riusciva più a trattenere il pianto. La vista di quel corpo così provato dal coma e quelle parole che risuonavano così dure nel suo cervello, la condussero a ripensare a tutto ciò che aveva fatto. E un'ondata di orrore e di rimorso finì per travolgerla. Era caduta nella disperazione più assoluta.
- Hai ragione - disse la ragazza. - Solo ora mi rendo conto di ciò che ho fatto. Nessuna sentenza di condanna da parte di qualsiasi tribunale potrà mai essere per me più dolorosa della tua. - Diana si chinò sul letto e baciò dolcemente Bernardo. - Addio amore mio. Spero che da lassù, Paradiso o Inferno che sia, riuscirò a proteggerti e ad aiutarti meglio di quanto ho fatto in questa mia vita terrena. Ma ricordati che ti amo. Ti amo davvero.- Aprì la borsetta e tirò fuori il coltello. Quello stesso coltello che era stato la sua arma assetata di vendetta e di sangue. Si alzò in piedi e lo impugnò, elevando le braccia verso l'alto.
Proprio nel momento in cui si preparava a trafiggersi a morte, si spalancò la porta della stanza. Qualcuno urlò: - Ferma, Polizia! Ma… Cazzo, lo vuole uccidere! - Uno sparo. Il volto di Diana tradì la sua ultima espressione di sorpresa. La pallottola l'aveva raggiunta al petto, portandosi via la sua vita. La ragazza si accasciò sul letto. Una lacrima rotolò dai suoi occhi ancora aperti lungo la guancia, fino a morire sul petto di Bernardo. Accorsero subito i medici di turno e alcune infermiere, che assistettero inorriditi alla scena. L'Ispettore Ferraro strattonò l'agente che aveva sparato. - Palumbo, porca miseria, non potevi aspettare un attimo a sparare? - - Ma veramente io … - - Dottore venga! - La voce trafelata di un'infermiera distrasse Ferraro che lasciò andare il giovane agente. Uno dei dottori intanto si era avvicinato all'apparecchiatura che monitorava le condizioni del paziente. Il tracciato dell'encefalogramma, prima quasi piatto, disegnava ora dei picchi continui. - Non posso crederci - commentò. L'ispettore si avvicinò e gli chiese: - Non può credere a cosa? - - Non posso credere che sia uscito dal coma e che sia ormai fuori pericolo…-

 

"Ma ci troveremo… dove il cielo è più sereno…
E ascolteremo tutta la musica del mondo…
"

Francesco Cicogna