Nero fiume

La radio sputava fuori il bollettino meteorologico come se si trattasse di una sentenza di tribunale. Lo speaker sottolineava con enfasi (e lui immaginava anche con profonda eccitazione) quali cittadine sarebbero state colpite dall'inondazione del fiume.
"Si prevede che l'acqua scavalcherà il secondo argine intorno alle 2.30 di questa notte. Tutti gli abitanti delle zone interessate saranno evacuati dalla protezione civile entro mezzanotte. Invitiamo la popolazione a collaborare con le forze dell'ordine, a non creare intralcio nelle strade e a rimanere al sicuro negli alloggi predisposti nelle varie ubicazioni. L'ultima inondazione si verificò nel 1970 e provocò la morte di ventidue persone nonché miliardi di danni alle abitazioni e alle colture. Questa volta gli esperti assicurano di trovarsi di fronte….". Spense la radio.
L'orologio a cucù sopra la mensola del camino indicava le 9 e 45: avrebbe avuto tutto il tempo.
Dal piano superiore provenne una sequenza di parole biascicate ad alta voce, con improperi e offese a fare da contorno. Salì le scale lentamente, ascoltando il cigolare del legno prodotto dalle sue scarpe sul pavimento, infine fu da lei.

Un volto contratto da un ictus lo osservava da oltre la pesante cortina di coperte. La mascella slittava dalla sua sede non appena la bocca si allargava per pronunciare una qualche parola, le mani rattrappite artigliavano il lenzuolo nello sforzo.
"Vo..io be..e!" accennò il volto deforme dal suo nido di lana.
Uscì di nuovo dalla porta, sfilandosi dal taschino anteriore della casacca un pacchetto di Royal rosse. Non era ancora arrivato al pianterreno che già la sigaretta si era consumata almeno della metà. Afferrò un bicchiere sporco di calcare e macchiato di muffa, lo sciacquò con un rapido passaggio sotto l'acqua corrente del lavandino e lo riempì con la stessa acqua, ma solo per metà.
Il mozzicone brillava semi spento dentro al posacenere in cucina. Lui ripercorse il tragitto di poco prima, con la stessa lentezza, con la stessa aria assorta e rassegnata. La finestrella del corridoio mostrava un fiume con tutte le intenzioni di venire fuori a farsi una passeggiata per i campi, nero di detriti e in subbuglio per la forte corrente.
"..i più…" protestò la donna.
"..i più…" ripetè piagnucolando.
"Mamma è sufficiente così maledizione!" sbottò infine l'uomo.
"…u mi o…di" lo accusò.
"Mamma, non ti odio, voglio solo il meglio per te, voglio solo il tuo bene, ora bevi per favore!" le spiegò.
La tv ronzava, la partita continuava imperterrita nonostante metà dello stato fosse sotto il flusso costante della pioggia da sei giorni. Un record storico avevano detto, ma lo spettacolo deve continuare. Sorrise dei suoi stessi pensieri e fu un sorriso triste, malconcio, come un sorriso di chi non ha spesso cose di cui gioire.
I maiali dentro al ricovero uggiolavano e brontolavano, forse per paura della tempesta, ma decise di dare un occhiatina lo stesso. Indossò il vecchio giaccone verde marcio di suo padre, con le spalle molto più larghe delle sue e la stoffa dei gomiti lesa per la permanenza prolungata contro il linoleum di qualche bar. Il cappello poi lo indossò, dopo essersi riavviato all'indietro i fili giallastri che gli erano rimasti al posto dei capelli. Era un basco di scarsa qualità, con il supporto in cartone troppo debole. Per questo sulla sua testa assumeva quella posizione che in Francia avrebbero elegantemente definito "sulle ventitré!".
Il fango gli arrivava in certi punti fino alle ginocchia, ma riuscì ad avanzare fino alla struttura in legno nella quale aveva rinchiuso le bestie per evitare che si smarrissero spaventate dal brutto tempo. Infilò dentro il naso sforzandosi di ignorare, come ogni giorno della sua vita (o almeno così gli sembrava) il tanfo di letame e mangime mescolato all'acre odore del sudore delle bestie accalcate. La scrofa aveva partorito 3 piccoli maialini, uno dei quali giaceva schiacciato dal peso della madre, probabilmente già morto. Lo raccolse per gettarlo oltre la siepe poi ci ripensò, lo infilò nel giaccone e lo portò con sé in casa.
Entrò di nuovo sbatacchiando gli stivali oltre il gradino della scaletta che conduceva alla porta di ingresso, e poi scosse il giaccone per liberarlo dalle gocce di pioggia che lo avevano inzuppato.
"Sporcher..ai tu..o" intimò dall'alto la voce.
Lui grugnì pensando: maledizione all'ictus, però le orecchie ti funzionano ancora bene eh, mamma?
Le rispose che non avrebbe sporcato nulla e di tornare a dormire che presto sarebbe salito con la pastiglia.
La donna dormiva immersa nelle sue fantasie senili, lui le avvicinò la pastiglia alla bocca e le sorresse il bicchiere con l'acqua finchè non ebbe inghiottito la perla bianca. Doveva assicurarsi che la prendesse, allargandole la mascella spingendo sulle gengive poi posarle la pastiglia sulla lingua.
L'alito malato e vecchio lo raggiunse provocandogli un conato di vomito che sedò appena in tempo grazie alla collaborazione del buon vecchio Jack D, stipato giù nel mobiletto destinato agli alcolici.
Cucinò il maialino trovato morto, perché non era un uomo che amava sprecare il cibo, soprattutto le pietanze tenere e succulente. Posò sul tavolo un piatto dal bordo sbeccato e a lato un paio di posate incrostate di calcare, poi si sedette per proseguire la visione della partita, ma la madre non voleva saperne di lasciarlo in pace.
Pregò Iddio di lasciargli ancora la pazienza per affrontare quella donna per almeno altre due ore, poi salì lungo la rampa per sapere quale fosse la nuova richiesta della madre.
"Mer..a" sogghignò la vecchia.
Lui sussultò. Da quattro anni viveva sotto quello stesso tetto senza mai stancarsi di lavorare nei campi e poi rientrare per servire quella lì, che, dal suo letto con l'odore stantio, ordinava, chiedeva, domandava a lui per ogni sorta di bisogno: fame, sete, persino merda. Come in quella occasione. Si ritrovò a inveirle contro come faceva sempre più spesso negli ultimi tempi. Le chiedeva perché si comportava come una dannata handicappata, perché lo voleva far andare in manicomio, perché alla sua veneranda età non decideva finalmente di tirare le cuoia. E lei, sempre con quel mezzo sorriso sulla bocca, dalla parte in cui l'ictus le aveva sollevato i muscoli della gota e dell'arcata sopraccigliare, non sapeva dire altro che "u..idimi! u..idimi! u..idimi!!" e sbraitava e si tirava le vesti e si graffiava il volto e le mani fino a che il respiro non le mancava e lui doveva aiutarla a sollevarsi nel letto per aspirare dallo spray azzurro di un broncodilatatore.
Raccolse la sporcizia come meglio gli riuscì (sono un uomo in fondo, maledizione!) concluse e ritornò alla postazione davanti alla tv.
Il notiziario di mezzanotte avvertiva che gli ultimi abitanti erano in procinto di essere raggiunti dai soccorritori, rallentati, nelle loro operazioni di soccorso, dall'allagamento della strada principale. L'uomo si alzò, spense l'apparecchio che ancora sbraitava sul pericolo imminente e si preparò all'arrivo dell'acqua. Quando un fiume rompe gli argini (e lui ne aveva già viste due di inondazioni, perciò lo sapeva bene) la violenza dell'acqua può portare via ogni cosa, automobili, alberi, persino case. Certo, case di piccole dimensioni. Non la sua, costruita con solide fondamenta e, da brava vecchia casa colonica, con muri spessi e pesanti. Salì di nuovo la rampa di scale diretto alla camera di sua madre che finalmente aveva chiuso gli occhi su un sonno movimentato. Il letto della donna era dotato di rotelle in acciaio. Afferrò la corda arrotolata e buttata a terra sul pianerottolo al secondo piano, e si avvicinò silenziosamente alla madre, poi si acquattò e scivolò sotto il letto. L'odore di orina e feci lo fece quasi dar di stomaco, ma resse quel tanto che bastava per annodarle i due capi della corda ai due piedi del letto. Poi legò lei, ma questa volta fu sorpreso a farlo dai due occhi vigili, e ormai spaventati dell'anziana.
"Co..a fai?" domandò preoccupata.
"Che s..ai f..aendo?" gli vece il verso lui, con un ghigno da malato di mente.
La corda premette contro le braccia e le gambe artritiche fino ad assicurare il corpo devastato dalla vecchiaia alle sponde in metallo del letto.
Portarla giù dalle scale fu tutt'altro che facile, si ruppe persino un dito nello sforzo di sollevare per farlo scorrere quello scheletro di metallo che la conteneva. Ma alla fine ci riuscì. La spostò davanti al televisore, nello spazio tra l'apparecchio e il divano. Tagliò le corde che la ancoravano al letto mentre lei ancora domandava spiegazioni e piagnucolava. Poi spinse il canale nove, alzò il volume e si preparò alla piena.

Il tetto era scivoloso per la pioggia, ma riuscì ad arrivare fino al comignolo e ad assicurarsi alla struttura in cemento con un pezzo di corda. Si legò in vita, ben stretto, e si tirò sopra la testa il cappotto che aveva portato con sé.
Ok l'inondazione, ma non si sarebbe certo fatto venire una polmonite a causa del fiume. Dubitava che l'acqua sarebbe potuta salire fino a lui, pensava piuttosto che avrebbe raggiunto solo il primo piano, ma visto che era un uomo previdente si era ancorato per evitare di farsi trascinare via dalla corrente.
Lo aveva fatto anche durante l'ultima inondazione. Chissà perché la protezione civile si dimenticava ogni volta di quella casa isolata e decadente alla fine della tavolata di campi, forse pensava si trattasse di una casa abbandonata.

 

Lo vide subito uscire per la scampagnata. La massa nerastra e puzzolente che si agitava al di là della finestra del corridoio, divenne ora, vista dal tetto, un fiume che scorreva nella direzione sbagliata. La sua.
Quando colpì il ricovero delle bestie ci furono latrati strazianti. I maiali rinchiusi potevano dirsi fortunati, se li avesse lasciati liberi sarebbero morti ben più violentemente affogati dalla corrente di fango o schiantati contro un qualche ostacolo. Invece così sarebbero morti subito, sommersi dall'ondata, senza soffrire. Tutti tranne i due maialini che aveva portato con sé. Lo guardavano spaventati da dentro la sacca da caccia che si era assicurato alle spalle. Con quei musini rosa e gli occhietti innocenti.
I soccorsi potevano tardare, e lui nel frattempo di cosa si sarebbe nutrito? Che diavolo avrebbe potuto mangiare? Non si stava certo preparando per scampare alla violenza del fiume solo per poi morire di fame!

 

L'ondata di detriti e acqua si schiantò contro la casa, con un rombo simile ad un Boeing 747 (credeva di aver letto di questi aerei su un qualche giornalino di guerra, rubato alla collezione del padre in giovane età). Sentì di sotto, o per lo meno gli parve di sentire, ma alla fine decise che se lo era solo immaginato, il grido contorto emesso da una voce femminile di sua conoscenza, subito dopo l'infrangersi di un vetro. La casa si mosse con un fremito, mentre terra, fango, sassi e detriti di ogni genere le sfregiavano l'intonaco esterno e rompevano porte, finestre e infissi. Poi vide l'onda spostarsi oltre le sue terra, portando con sé alcuni tronchi d'albero.

 

L'aveva detto lui. L'acqua si era fermata poco sotto al tetto.
Seduto contro il comignolo, guardando il cielo per non farsi sfuggire la presenza di qualche aereo della protezione civile, con in braccio quei due esserini che recalcitravano per sfuggire alla borsa da caccia, cominciò a pensare a cosa avrebbe detto alle autorità.
Certo, sua madre voleva vedere la tv. E lui mica poteva portarsela sul tetto con lui. Era stata una scelta difficile ma non aveva potuto fare altrimenti.
Soddisfatto dei propri pensieri infilò una mano nel taschino del giaccone, e si accese sotto la pioggia una Royal rossa.

Stefania Costi