I 9 paladini

L'uomo dalla pelle scura entrò con passo lento nell'umida cripta della fortezza. Si guardò attorno e dopo aver constatato che nessun altro lì vi si trovava, estrasse da sotto il lungo mantello un raffinato tappeto. Lo posò a terra e inginocchiatovi sopra porse le mani sul viso e iniziò a pregare in una lingua bizzarra. Il silenzio della sua preghiera fu bruscamente interrotto dal frastuono che la porta della cripta provocò spalancandosi violentemente. L'uomo dalla pelle scura si voltò di scatto e vide a pochi passi da lui la possente sagoma di un cavaliere templare. La rossa croce della cristianità risplendeva sulla bianca sopravveste che ricopriva una solida cotta di maglia. Il volto del cavaliere era celato da un freddo elmo di guerra. Nessuno di loro proferì parola. Soltanto i loro sguardi cercavano uno scontro inevitabile. Improvvisamente il cavaliere templare si scagliò sull'uomo intento a pregare e dopo averlo gettato violentemente a terra raccolse il variopinto tappeto gettandolo lontano. < Mai ti concederò di pregare il tuo Dio in questa casa!>, esclamò furibondo.< E io non permetterò ad un lurido infedele come te di interrompermi!>, ribatté l'uomo dalla pelle scura brandendo una sfavillante scimitarra. Di un fatto si poteva esserne certi: uno di loro due avrebbe cessato di vivere da lì a poco. Ma fortunatamente, almeno per uno di loro, nella cripta giunse Giosuè, anch'egli cavaliere templare. < Fermi, stupidi guerrieri !>, esclamò.< Messer Goffredo ha riunito il consiglio…>.

 

BRITANNIA
( in un altro tempo)

 

L'umida foschia del mattino avvolgeva le lussureggianti foreste di pini e querce. Soltanto il dolce cinguettio degli uccelli interrompeva la calma che vi regnava. Merlino, avvolto nel suo mantello, camminava stancamente diretto a Camelot. Improvvisamente davanti a lui si parò la snella figura di un cavaliere. Egli era ricoperto da una sfavillante armatura argentea. < Voi, buon uomo, dovete essere il famoso Merlino…>, esordì il cavaliere.< Di tempo ce ne voluto, ma alla fine grazie a Dio vi ho trovato!>. Sulle prime Merlino non capì cosa volesse quel losco figuro da lui. Passando una mano nel folto della sua lunga barba bianca, il mago si guardò intorno.< Io non vi conosco, cavaliere! Certamente avete sbagliato persona…>. Il cavaliere, per nulla spiazzato dalla reticenza del mago, si avvicinò a lui.
< Nessun sbaglio…permettetemi di presentarmi: Goffredo da Buglione al vostro servizio. Giungo a Camelot per incontrare un vecchio amico… il principe Artù!>.
Di certo Merlino non avrebbe mai condotto il primo venuto alla corte di Artù, ma quel Goffredo aveva in se qualcosa d'unico. Merlino sapeva che il suo principe prediletto aveva a che fare con Goffredo. Per la prima volta in vita sua, Merlino sentiva di non essere più indispensabile…

CAMELOT
( poco dopo…)

 

< Siete certo di quello che affermate, messer Goffredo?>.
< Di grazia sua maestà. Il Maligno è stato scovato. Gli altri sette vi attendono al castello…>, rispose con fermezza Goffredo. Artù rimase assorto in oscuri pensieri. Poi, con un cenno della mano chiamò a se Merlino. < Merlino, vi affido le sorti di Camelot. Non temete, il viaggio che devo intraprendere non durerà per voi che un battito di ciglia…>.
< Come desiderate mio sire>, disse Merlino inchinandosi al cospetto della possente figura di Re Artù. Poco dopo i due cavalieri si avviarono verso l'uscita della fortezza. < Con tutto il rispetto, maestà ma non credete di aver dimenticato qualcosa?>, sussurrò Goffredo.
< Ah…già! La dimentico ogni volta…>, rispose Artù tornando sui propri passi e raccogliendo Excalibur ai piedi del trono…

 

CASTELLO DEI 9

 

Nella vasta sala del consiglio svettava l'imponente fattezza del tavolo sacro. Intorno ad esso, illuminati solamente della fioca luce dei candelabri nove uomini di valore si osservavano in silenzio. Da un lato si potevano ammirare: Re Artù, principe di Britannia. Carlomagno, Re dei Franchi e primo imperatore del sacro romano impero. Giulio Cesare, impavido condottiero dei giusti. Alessandro Magno, indomito guerriero al servizio della cristianità. Dall'altro lato. Goffredo di Buglione, guida dei nove paladini e leggendario cavaliere templare e come lui Giosuè e Davide. Accanto a loro, con sguardo serio, l'uomo dalla pelle oscura, ossia, Ettore cavalier Ottomano. Infine Giuda Maccabeo abile balestriere con accanto - Mefistofele - la balestra con la quale egli ha giurato di uccidere il Maligno. Riuniti in questa silenziosa consulta i nove paladini devono decidere il da farsi. < Signori, impavidi paladini…>, risuonò la calda voce di m'esser Goffredo a lenire il silenzio. < Il tempo è giunto. Alcune notti orsono ho viaggiato con la "Clessidra", attraverso i cunicoli del tempo. La ricerca, come ben sapete, è stata lunga e difficoltosa, ma alla fine abbiamo raggiunto il nostro scopo. Il Maligno è stato individuato. L'occasione è propizia e non dobbiamo lasciarcela sfuggire!>.
< Altre volte è stata propizia, ma non siamo mai riusciti a sconfiggerlo!>, esclamò Artù.
< Egli è stato ferito… questa volta non sbaglieremo>, replicò Giuda Maccabeo, accarezzando la sua fedele balestra. Una risata colma di sarcasmo aleggiò nella sala. Giuda Maccabeo, l'unico dei nove che in passato si era ritrovato a faccia a faccia con il Maligno, si limitò a non rispondere ad una tale provocazione. < Non vi è utilità nell'atteggiarsi così con il nostro Giuda. Egli non è riuscito nel sacro compito, ma nessuno di voi deve deriderlo. State pur certi che questa volta ognuno di noi si ritroverà al cospetto del Signore delle tenebre!>. Le parole di Goffredo raggiunsero lo scopo voluto, ossia, la completa attenzione degli otto paladini. < Dove si trova questa volta…>, disse Ettore. Goffredo rimase per alcuni istanti in silenzio. Poi disse: < Il Maligno ha assunto le fattezze di un umile frate. Ma non dovete lasciarvi sviare da questo. Egli adesso vive all'interno di un convento popolato da ogni genere di creature infernali. Molte trappole ci attendono. Tutti noi dovremo combattere una dura battaglia contro le tenebre del male! Questa notte entreremo nella "Clessidra", per essere inviati a nord della penisola Italiana nell'anno di nostro signore 1519.
Al termine dell'importante riunione, i nove paladini diedero vita a quella che era solitamente denominata come "l'ultima cena". Infatti, era tradizione che l'ultima notte prima di entrare nella Clessidra, si organizzasse un sontuoso banchetto durante il quale ci si poteva abbuffare con ogni ben di Dio: cinghiali, faraone, pernici e conigli. La cacciagione troneggiava sontuosa attorno alla "Viniera", una sorta di enorme calice di vino dal quale ogni paladino intingeva la propria coppa. Tutti tranne uno. Poiché Ettore era di religione musulmana, egli non toccava il "nettare degli dei": acqua e un misero tozzo di pane, questo era il suo sontuoso banchetto. Non passava occasione che tale scelta non gli fosse rinfacciata e derisa da Davide. Infatti, Davide non aveva mai accettato di buon occhio la presenza di un ottomano tra loro. Molte volte si era ribellato a tale scelta e solo l'enigmatico carisma di Goffredo era riuscito a placare l'irrefrenabile odio che scorreva tra lui e il silenzioso Ettore.
< Di certo la tua religione ti priva di ogni piacere della vita, amico mio…eh…eh!>, attaccò di colpo Davide facendo scendere con la sua infelice battuta un glaciale silenzio nel salone.
< Maledizione… anche questa volta…>, sussurrò Re Artù a Carlomagno il quale pareva non interessarsi minimamente all'ennesima lite che di lì a poco si sarebbe scatenata. Dal canto suo Ettore spostò il calice ricolmo d'acqua da una parte e alzandosi in piedi sentenziò con voce profonda: < Tu puoi esprimere ogni farneticante idea che il tuo inutile cervello è in grado di formulare, ma credo che ogni essere vivente che nella tua religione si riconosce, dovrebbe provare un profondo senso di vergogna nel sentire ciò che fuoriesce dalla tua sporca bocca !>.
Il danno era stato fatto. Davide, rialzatosi sulle gambe con estrema velocità, si scagliò contro l'ottomano, il quale semplicemente scansandosi si sottrasse all'attacco. Davide attraversò in volo il tavolo e cadde violentemente a terra andando ad atterrare ad un sol passo dal grande camino al cui interno enormi ceppi di legno bruciavano con vigore riscaldando quell'ambiente per così dire … già abbastanza caldo.
< Tu non sei altro che un vile selvagg…!>.
< Adesso basta!!>, tuonò perentorio messer Goffredo.< Non posso credere che voi due siate degni del sacro compito che il nostro signore ci ha affidato! Come potete illudervi di sconfiggere il male quando esso scorre già nelle vostre vene! E tu, Davide… la croce cristiana che porti addosso dovrebbe sentenziare la purezza del tuo spirito ed invece ogni giorno che passa mi accorgo che esso è sempre più inquinato dalla superficialità dello spirito umano! Signori io continuo a illudermi che voi siate l'ultima speranza per questo mondo. Se siete intenzionati a perdervi continuamente in futili baruffe fate pure! Ma vi ricordo che il Maligno vuole stendere la propria ombra di nefanda violenza su tutti gli uomini di questa terra. Se falliremo sappiate che non ci sarà mai più un luogo nel quale gli esseri di buona volontà potranno vivere e prosperare!>.
Lo sfogo di Goffredo ebbe il risultato sperato. Seppur a malincuore, Davide ed Ettore si strinsero la mano con la promessa che quando la missione fosse terminata, la loro contesa avrebbe ripreso. Il pranzo terminò con le prime luci dell'alba e con esso l'attesa della partenza.
I nove paladini imboccarono una buia e ripida scalinata che li avrebbe condotti nelle profonde viscere del castello. Nessuno di loro osava parlare in quel frangente. Di lì a poco sarebbero entrati in quella diavoleria di messer Goffredo: la Clessidra. Bastava il solo nome per rendere gli otto paladini assai nervosi. Il solo Goffredo sembrava placidamente tranquillo. Egli guidava la silenziosa colonna, quest'ultima illuminata dalla fioca luce della torcia che egli teneva alta sopra alla sua testa. Prima di partire i paladini avevano indossato le vesti da battaglia. I quattro templari, ossia lo stesso messer Goffredo, Giosuè e l'impulsivo Davide, brandivano nelle loro mani la rispettabile spada del sacro ordine e un grande scudo sul quale svettava la croce cristiana, mentre le loro teste erano protette da un pesante elmo. Solo Giuda Maccabeo differiva tra i templari, essendo munito anziché della spada, di "Mefistofele", la sua inseparabile balestra. Più indietro Re Artù indossava una scintillante armatura, la quale però, non poteva certo competere con la leggendaria Excalibur che il valoroso re di Britannia impugnava con comprensibile orgoglio. Giulio Cesare, per quell'importantissima missione, aveva indossato l'armatura delle grandi occasioni: una scintillante corazza laminata a placche e in capo un bellissimo elmo corinzio, quest'ultimo in uso tra i legionari Romani. Tra le mani impugnava un'affilatissima daga. Carlomagno, al contrario, vestiva in modo semplice: spessa cotta di maglia, una possente spada con l'impugnatura in oro e una nera celata a proteggergli il capo. Alessandro magno, come sempre silenzioso e schivo, indossava una pesante armatura dorata, il capo coperto da un elmo munito di uno spesso para nuca, mentre tra le mani impugnava una bizzarra spada a due lame. Ed infine c'era Ettore, l'eretico, come continuava fastidiosamente ad etichettarlo il solito Davide. Il guerriero Ottomano, un tempo consigliere militare di Salah al -din Yussufibn Ayyub, sultano d'Egitto e di Siria, meglio conosciuto, con l'appellativo di "feroce Saladino", impugnava un'enorme scimitarra. Vestiva con una sgargiante veste di colore rosso intarsiata da preziosi ricami in oro zecchino. Dalle sue possenti spalle scendeva un lungo mantello su cui svettava le mezza luna dei mori.
La discesa verso i sotterranei continuò per una buona mezz'ora. Tra i paladini, quello che mostrava la maggior insofferenza per la discesa era, come sempre, Davide. < Io mi chiedo se un giorno tutto questo avrà fine! Questa é la quinta missione che intraprendiamo e ormai sono stanco di rincorrere il Maligno attraverso gli oceani del tempo. Ho bisogno di riposo e perché no, di un regno tutto mio… eh… eh!>.
< Forse sarebbe meglio che tu non ritornassi da uno di questi viaggi…>, sussurrò tra sè e sè Ettore.
< Eccoci arrivati, preparatevi!>, sentenziò messer Goffredo arrestandosi davanti ad un maestoso portone.
Davide non aveva tutti i torti a lamentarsi. Quella, infatti, era la quinta missione che i nove paladini affrontavano nel tentativo di chiudere i conti definitivamente con l'immondo Lucifero. Il suo unico scopo era di impadronirsi dell'intero mondo conosciuto. Avvalendosi delle sue instancabili orde di esseri malvagi e di tutte quelle viscide creature come i ragni, serpenti e ratti, Lucifero desiderava piegare una volta per tutte le resistenze di coloro che cercavano di ostacolarlo, ossia, i nove Paladini. Quando Goffredo di Buglione fu insignito dall'Altissimo, di quest'arduo compito, il Signore del Male era stato ad un solo passo dal successo. Il solo modo per conquistare il potere assoluto, era quello di impadronirsi della "Sacra Reliquia". Una piccola ampolla contenente il sangue di Cristo. Se Lucifero l'avesse scovata il mondo sarebbe stato avvolto da un oscuro sudario di morte. Purtroppo egli riuscì nell'impresa. L'ampolla fu trovata in una piccola chiesa nel nord della Francia. Ma quando un vile traditore, un cavaliere templare, la portò al suo cospetto, ai nefandi occhi del Signore del male si presentò un ostacolo inaspettato: nessuno era in grado di aprirla! Lucifero andò su tutte le furie, poiché l'unico modo per conquistare i poteri assoluti degli Dei era quello di ingurgitare il sacro liquido che in essa vi era contenuto. Ma l'ampolla sembrava essere protetta da un potentissimo incantesimo. Da quel giorno, e per molti anni a venire, Lucifero tentò di sciogliere l'incantesimo, ma ogni tentativo si rivelò vano. In quel tempo, intanto, Goffredo, seguendo le indicazioni di un misterioso frate, costruì la clessidra, l'incredibile marchingegno che gli permetteva di attraversare i nebulosi cunicoli del tempo. Mentre messer Goffredo era impegnato nel suo fremente lavoro, il Maligno viaggiava continuamente attraverso le ere alla ricerca di colui che sarebbe riuscito a sciogliere quell'incantesimo. Nello stesso tempo Goffredo iniziò a radunare i Nove Paladini. Scelse nove uomini di valore. Ognuno di essi doveva essere un cavaliere puro di cuore e dotato di quel coraggio che soltanto a pochi eletti era stato concesso di avere. I nove Paladini furono reclutati in differenti epoche storiche: Giosuè, Davide e Giuda Maccabeo provenivano dalla terra santa. Alessandro Magno, Giulio Cesare dal mondo classico. Re Artù, Carlomagno ed Ettore, come del resto lo stesso Goffredo, provenienti dal Medioevo. Come diceva Davide, quella era la quinta missione intrapresa dai nove. Le altre quattro si erano rivelate un completo fallimento. Lucifero era sempre riuscito a fuggire. Ma adesso le cose stavano in un altro modo. La scoperta che lui stesso aveva fatto durante uno dei suoi innumerevoli viaggi solitari con la Clessidra non lasciava alcun dubbio! Goffredo lo aveva scovato in quel misterioso convento nel nord della penisola italiana. Il vecchio cavaliere templare era sicuro che il suo acerrimo nemico fosse riuscito ad entrare in contatto con colui che era in grado di sciogliere l'incantesimo. Ancora non sapeva come questo fosse stato possibile, ma non restava molto tempo per scoprirlo. Goffredo sentiva che stavolta i nove non avrebbero fallito.
< Non sarà di certo il saio di un frate che riuscirà a celarti ai miei occhi…>, bisbigliò messer Goffredo, mentre con un gesto deciso della mano sospinse il pesante portone, invitando i suoi valorosi compagni ad entrare nel luogo dove la Clessidra silenziosamente li attendeva …
"Il crocevia", lo aveva chiamato messer Goffredo. Il vasto salone dove la Clessidra era stata posta, avrebbe di certo impressionato chiunque vi fosse entrato. Si trattava di un'immensa grotta scavata da artigiani carpentieri nello zoccolo duro della rupe sulla cui sommità si ergeva il castello dei nove. Dalle altissime volte della grotta scendevano enormi candelabri nei quali intarsiate candele bruciavano con vigore inondandola di una grottesca luce. Laggiù anche il più tenue dei rumori era amplificato in maniera spropositata. Goffredo si avviò lentamente verso il centro della sala seguito dai suoi otto fedeli compagni. Erano diretti verso l'altare, una sorta di cubo vitreo, al cui interno si ergeva, in tutta la sua solennità, la Clessidra. Quest'incredibile macchina del tempo, era in realtà una vera e propria Clessidra di ragguardevoli dimensioni. Nell'ampolla superiore era contenuto il "Siero", ossia il misterioso liquido che permetteva il viaggio attraverso il tempo. L'ampolla inferiore era vuota, poiché quello era il luogo dove i nove sarebbero dovuti entrare. Poi, attraverso una piccola leva, Goffredo avrebbe attivato la botola attraverso la quale il siero sarebbe precipitato sugli occupanti dell'ampolla inferiore. Sarebbero bastati pochi istanti al siero per realizzare l'irrealizzabile, ossia, inviargli nel luogo e nel tempo che Goffredo aveva scelto, mediante la lettura di una strana pergamena, anch'essa donatagli dal misterioso frate che tempo prima gli aveva ordinato la costruzione della Clessidra.
< Non so voi, ma io ogni volta che mi appresto ad entrare in quella diavoleria vengo colto da oscuri pensieri!>, brontolò Davide osservando nervosamente la propria immagine riflessa nel vetro della clessidra.
< Lo sempre detto che quella testa non può contenere nulla di buono…>, replicò Ettore accarezzando dolcemente la lama della scimitarra.
< Forza, entrate… il tempo stringe!>, li redarguì Goffredo, estraendo da sotto il mantello la misteriosa pergamena.
< Forza signori! Sento che stavolta sarà un successo!>, sentenziò Re Artù entrando per primo nell'ampolla. A seguire il resto della compagnia entrò nella Clessidra. L'ultimo fu Goffredo il quale si preoccupò di chiudere la botola d'accesso. I nove paladini rimasero fermi. Nessuno di loro osò proferir parola mentre messer Goffredo si apprestava a dare inizio alla lettura della pergamena. Il vecchio templare srotolò quel logoro pezzo di carta e stringendolo forte tra le mani iniziò ad intonare una strana cantilena.
< Dio onnipotente che mostri la strada, veglia sui tuoi servi in questo difficile trapasso, mostraci la via attraverso il tempo affinché essi possano servirti in questa oscura battaglia - ILVU NUTE KREPET ORDER!>.
Improvvisamente il liquido contenuto nell'ampolla superiore della Clessidra iniziò a vorticare furiosamente. All'interno della macchina l'aria parve rarefarsi. I nove uomini di valore iniziarono a respirare faticosamente. Davide guardò in alto. Il suo sguardo era catturato dall'incredibile bellezza del liquido che vorticava creando un mulinello le cui dimensioni si facevano sempre più grandi. < Ecco ci siamo…>, sussurrò Re Artù afferrando la mano di Ettore. Nello stesso istante tutti si presero per mano, disponendosi in cerchio. < ERGA ROTA REX!!>, furono le ultime parole di messer Goffredo, prima che l'ampolla superiore si aprisse facendo fuoriuscire il siero. Il misterioso liquido riempì ben presto la Clessidra. I nove paladini chiusero gli occhi e si rilassarono… Era l'unica cosa che potevano fare durante lo "scambio"…

 

A NORD DELLA PENISOLA ITALIANA… anno del Signore 1519

 

Fu Carlomagno il primo a riprendersi. Con estrema lentezza si alzò dall'umido terreno, mentre con le mani ancora tremanti si accarezzava la cotta di maglia, come se quel semplice gesto servisse ad assicurargli di essere dove doveva essere. Si guardò intorno con gli occhi ancora pesanti. Lo "scambio" era un'esperienza che metteva a dura prova i paladini. Erano arrivati nel bel mezzo di una lussureggiante foresta. Il sole stava tramontando e Carlomagno avvertiva i tremiti del freddo. Poco dopo anche il resto della compagnia si destò. < Giuro che questa è l'ultima volta!>, esclamò Davide togliendosi di dosso Ettore che, ironia della sorte, era ricomparso proprio sul corpo del suo irascibile compagno. Non lontano da loro, Re Artù e messer Goffredo erano già intenti ad osservare il sinistro luogo nel quale erano giunti. < Voi credete che il monastero sia da queste parti? Siamo arrivati nel posto giusto… nel tempo giusto?>, sussurrò Artù all'orecchio attento di Goffredo.
< In questi viaggi, Sire, non si può mai essere certi di nulla. L'unica cosa da fare è raccogliere le nostre cose e accamparci per la notte. Domani, con le luci dell'alba ci faremo un'idea certamente migliore di questo posto…>.
"I nove corpi fluttuano ora nel siero. Le loro mani, strette le une con le altre, mantengono attiva l'essenza dei loro spiriti. Altri corpi sono stati inviati ma quei corpi sono i corpi che fluttuano silenziosamente nella clessidra, mentre un feroce silenzio regna laggiù… nel "crocevia".
Il dolce cinguettio degli uccelli li accolse al loro risveglio. Giulio Cesare alzandosi si rese conto che messer Goffredo non era lì con loro. Il valoroso imperatore romano volse nervosamente il proprio sguardo attorno, senza però riuscire ad intravedere il vecchio templare.
< Svegliati, Artù, svegliati!>, strillo Giulio Cesare scuotendo violentemente un Artù ancora prigioniero nelle dolci grinfie di Morfeo.
< Cos… cosa accidenti succede!>.
Le sue esclamazioni avevano ridestato l'intero accampamento. I paladini si mostravano ora nervosi. L'improvvisa scomparsa di messer Goffredo non lasciava presagire nulla di buono.
< Non preoccupatevi…>, disse Giuda Maccabeo stringendo la sua prode balestra, < eccolo di ritorno!>.
< Ben svegliati, amici miei!>, esordì Goffredo per nulla preoccupato di aver scatenato, con la sua scomparsa, un vero e proprio putiferio. < Il monastero che cerchiamo si trova oltre questa foresta. Preparatevi a partire!>.
Nessuno dei paladini osò ribattere all'ordine. Dopotutto era proprio la sua misteriosa stranezza che rendeva messer Goffredo, tra loro, l'unico ed incontrastato capitano. Così, avvolti dalla fredda brezza del mattino i nove si avviarono attraverso un intricato bosco di querce. Goffredo guidava la colonna, mentre Ettore si preoccupava di chiuderla volgendosi indietro di tanto in tanto onde evitare spiacevoli agguati alle spalle. I nove attraversarono il maestoso querceto sbucando ai lati di una piccola pianura. Più avanti, all'orizzonte, si ergeva una sinistra collina rocciosa sulla cui sommità un tetro monastero svettava verso la solennità del cielo. < Certo che questa volta il maligno si è scelto una dimora non del tutto comune…>, disse Carlomagno accarezzando nervosamente l'elsa della sua spada, come se la sola vista del monastero bastasse già a renderlo irrequieto.
< Forza andiamo…>, rispose Goffredo riprendendo quella lenta marcia. I nove si addentrarono in un viscido pantaneto. Il fango nero si attaccava ai loro vestiti impedendogli di procedere con agilità. Improvvisamente alle loro orecchie giunse un angosciante stridulo. Sembrava un gracchiare di corvi, ma i paladini ben sapevano che in quel luogo dimenticato da Dio nessun essere vivente ancora vi avrebbe vissuto. Con la velocità di un lampo videro un'ombra sinistra calare dalle volte azzurre del cielo. Poteva essere una grande aquila, ma era ancora troppo lontana per distinguerne la vera natura. Poi Alessandro Magno capì tutto.< Maledizione una viverna!!>. Si trattava di una diabolica creazione del maligno. La viverna era un grande drago volante dotato di un paio di zampe artigliate pronte ad afferrare qualsiasi cosa si fosse mossa al suolo. Compiendo larghi vortici nell'aria la viverna puntava direttamente sui paladini. I nove si disposero in cerchio pronti ad affrontare il primo ostacolo che Lucifero aveva posto dinanzi a loro. Il drago piombò sul pantaneto compiendo un volo radente. Al suo passaggio turbinose nuvole di fetido fango si alzarono tutto attorno. Re Artù impugnando Excalibur si pose al centro del cerchio, pronto ad affrontarla. Allo stesso tempo Ettore sguainò la scimitarra e con passo deciso raggiunse Artù. < Sei pronto, amico mio?>.
< Non ti preoccupare, sarà sempre meno doloroso che sopportare quel templare… eh… eh!>, sghignazzò Ettore incrociando lo sguardo con un attonito Davide. La viverna passò vicinissima alle loro teste. Quella diabolica creatura emetteva grida che sembravano provenire dalle stesse profondità degli inferi. Dopo essere risalita in cielo la viverna ripiombò sui paladini pronta ad attaccare. Gli sguardi dei nove non lasciavano il drago. Ognuno di essi impugnava la propria arma. Non dovevano dimostrare alcuna paura. La viverna la avrebbe avvertita e allora le cose sarebbero andate molto peggio. Ma il drago non poteva immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Non appena distese le squamose ali nel suo volo radente, Artù conficcò Excalibur nel flaccido ventre della bestia. La lama della leggendaria spada penetrò nelle nefande viscere dell'animale emettendo una luce accecante. Quasi nel medesimo momento la scimitarra di Ettore gli mozzò di netto l'ala destra. A questo punto la viverna piombò nel fango dimenandosi e gracchiando come una forsennata. A quel punto un possente dardo scoccato da "mefistofele", gli trapassò il cranio. La creatura smise di muoversi e la sua testa sprofondò nel fango.
< Non oso pensare a quello che troveremo là dentro…>, disse Davide volgendo lo sguardo verso l'alta rupe che sorniona lo attendeva all'orizzonte, mentre il corpo della Viverna andava lentamente scomparendo in una malefica nube di fumo.
< Bel colpo, sire!>, esclamò messer Goffredo battendo sulla possente spalla di Artù. I nove si guardarono attorno. Avvertivano numerose presenze sfuggenti, ma non c'era tempo per restarsene lì a rimuginare. M'esser Goffredo era di nuovo in cammino e li invitava a seguirlo. Lasciatisi alle spalle il malefico pantaneto, i nove paladini s'inoltrarono verso le alte pendici di quella montagna che sembrava essere apparsa dal nulla. Già. Poiché non vi era niente che potesse lasciar supporre che si trovasse lì dagli albori del tempo. Tutto in lei aveva un che di grottesco. Il dettaglio che colpì ognuno dei paladini era la totale incongruenza tra l'alta rupe e il paesaggio circostante. Mentre deliziose distese di verdi selve ricoprivano l'intera pianura, le pendici della rupe erano avvolte in una sorta di ragnatelosa foresta di alberi spogli. Non sembrava che alcunché di vivo potesse vivere al suo interno. Sulla cima avvolta da tetre nubi si potevano intravedere i basamenti del convento. Messer Goffredo era certo di essere questa volta sul giusto cammino per sconfiggere Lucifero. All'interno di quella bizzarra costruzione innumerevoli pericoli avrebbero trovato ad attenderli, ma la missione non poteva arrestarsi. Quella Viverna era stato solamente un tenue assaggio di quello che avrebbero dovuto sopportare. Giunti in prossimità della strana foresta, i nove si ritrovarono ad affrontare una ripida mulattiera che si addentrava in quel luogo remoto e silenzioso. Il loquace Giosuè continuava imperterrito ad osservare la volta del cielo, che nel frattempo, si era improvvisamente ingrigita. < Sembra che quel maledetto sia in grado di controllare il clima a suo piacimento!>, borbottò il templare scrollando il capo.
< Non possiamo farci spaventare da queste ridicole avversità!>, rispose Giulio Cesare impugnando con forza la sua daga. Poi indirizzandola verso il cielo sentenziò. < Non vi sarà creatura in questo ed in un altro tempo, che potrà vantarsi di aver sconfitto Giulio Cesare, Imperatore di Rom…!>.
< Ssst! Avete sentito?!>. Lo interruppe di colpo messer Goffredo.
< Cosa… cosa succede!>, esclamò Davide.
< Sentite questo strano fruscio? Sembra… sembrerebbero…!>.
< Topi, maledizioni, topi!!>, gridò Re Artù indicando un inarrestabile fiume di piccole creature brulicanti che erano apparse di colpo dall'interno della foresta. Un fetido torrente di ratti si apprestava a piombargli addosso. I nove iniziarono a correre nuovamente in direzione del pantaneto, ma in lontananza strane figure si avvicinavano di gran lena.
< Maledizione siamo accerchiati!>, tuonò Ettore roteando nell'aria la sua sciabola. Intanto gli inesauribili dardi di "Mefistolfele", fendevano l'aria alla ricerca di un orripilante corpo da colpire. Quelle figure indistinguibili, presto si rivelarono essere "Paure Senzienti di coloro che le osservavano". Immonde creazioni del Maligno che divoravano l'animo di coloro che posavano su di loro i propri occhi. < Non Guardatele!>, si affrettò a sbraitare messer Goffredo. < L'unico modo per combatterle e lasciare che ci oltrepassino senza che avvertano la nostra presenza!>. Certo, era una parola! Non era facile mettere in pratica ciò che Goffredo si preoccupava di indicare. In ogni caso facendo fede a tutta la loro saggezza i nove si fermarono di colpo. Chiusero gli occhi e cercarono di dirigere i loro pensieri verso i nove corpi che fluttuavano lontani, in un altro tempo nel "crocevia".
"Le mani si strinsero con maggior forza. I nove corpi parvero attraversati da un leggero fremito. Quei corpi ora fungevano da impenetrabili fortezze alle malvagie creature del signore del male…"

 

Le inarrestabili orde di paure senzienti li sfiorarono ad una velocità spropositata. Ognuno dei Nove poté avvertirne l'immonda presenza. Il freddo sibilo di quelle orribili creature, inviate loro contro dalle stesse mani del Maligno, gli penetravano gli orecchi distogliendogli, ma per un solo istante, dalla loro incredibile concentrazione. Tutto questo durò per alcuni minuti, i quali parvero essere infiniti. Ma gli sforzi dei nove furono ben presto premiati. Infatti, le Paure senzienti continuarono la loro corsa sino a quando scomparvero nel nulla così come erano comparse.
Il primo ad interrompere la catena telepatica fu messer Goffredo. La guida spirituale dei paladini si ridestò dal limbo salvatore. Quasi nello stesso istante anche gli altri si svegliarono. Improvvisamente messer Goffredo si rese conto che qualcosa non aveva funzionato. Indicando un punto nel terreno lì accanto osservò la figura inerme di Giulio Cesare. < Dio nostro cosa è accaduto!>, esclamò Giosuè inorridito nel vedere il proprio compagno esanime a terra.
< Come può essere stato possibile?! La catena non si è mai interrotta!>. Tutto giusto, tranne un particolare: il leggendario Imperatore di Roma non era riuscito ad allontanare la sua più grande paura.
Il corpo del Romano lentamente scende verso il basso. Il corpo si adagia sul fondo della Clessidra. La magica catena si ricompone all'istante. Le mani si stringono nuovamente salde tra loro, ma per il Romano non vi è più nulla da fare. Presto il Siero scioglierà il suo corpo…
Quando messer Goffredo e Carlomagno rivoltarono il corpo, esso mostrava gli inequivocabili segni di numerose pugnalate. < Purtroppo non è riuscito ad allontanare la sua più grande paura… il valoroso Cesare ha ricordato il nefando giorno in cui fu assassinato. Avvertendo questo, le Paure senzienti hanno materializzato il suo incubo!>, disse messer Goffredo che con un ultimo gesto chiuse gli occhi dell'Imperatore di Roma.
< Questa volta non torneremo vivi !!>, esclamò Davide ormai sopraffatto dal terrore.
< Non vi è tempo per lamentarsi!>, intervenne Ettore, < Guardate laggiù>.
In lontananza i paladini videro sopraggiungere migliaia di giganteschi ratti. Gli stessi che li avevano sorpresi in prossimità della foresta: adesso muovevano alla carica! Re Artù, stanco di fuggire, aizzò i propri compagni a combattere quegli esseri immondi. Così, gli otto paladini si lanciarono in singolar tenzone contro il brulicante esercito di ratti. Quei valorosi guerrieri vi si gettarono all'interno con foga. Ognuno dei paladini si ritrovò ben presto a duellare con centinaia di ratti invasati. Il tintinnio che i loro famelici denti aguzzi provocavano sulle armature dei Paladini, riempiva la piana fangosa. La battaglia parve non avere mai fine. I famelici ratti attaccavano da ogni direzione. Giuda Maccabeo non faceva neanche a tempo a caricare Mefistofele che altri ratti lo assalivano, mordendolo con indiavolata furia. Intanto Giosuè e Re Artù si trovavano a capeggiare un'ondata di quelle infide creature le quali sembravano non aver paura di nulla. Excalibur, immersa nel suo magico luccichio, fendeva colpi a destra e a manca. Fiotti di sangue nero inzuppavano il terreno, mentre innumerevoli brandelli di ratto volavano in aria. Ettore riusciva a colpirne decine per volta con la possente scimitarra arabesca che sibilando nell'aria richiamava i presenti al dovuto rispetto. Ogni Paladino era impegnato con centinaia di ratti, ma il solo Davide parve timoroso della situazione. < Razza di codardo, combatti!!>, gli tuonò contro Ettore infilzandolo con il suo truce sguardo. Ma Davide sembrava completamente paralizzato dal terrore. Sino ad allora non gli era mai accaduto nulla del genere. Nelle altre quattro missioni da lui intraprese, si era sempre combattuto con onore e coraggio. Però, adesso le cose erano cambiate. L'aver visto morire Giulio Cesare gli aveva provocato un profondo stato di prostrazione. Per la prima volta si era reso conto di poter effettivamente morire. Il viaggiare nel tempo gli aveva erroneamente infuso nell'animo la convinzione di essere immortale. Ma non era così. La fredda ombra della morte poteva cogliergli in qualsiasi momento e neppure il fatto di essere paladino lo avrebbe potuto proteggere.
Davide lasciò cadere a terra la spada ed inginocchiatosi sul terreno iniziò a pregare. < Maledetto cristiano, combatti!!>, continuò ad inveire Ettore, la cui possente voce richiamò i compagni. Ci volle molto tempo, ma alla fine la battaglia fu vinta. Esausti e immersi in oceano di sangue puzzolente di ratto, gli otto Paladini rimasti poterono festeggiare una schiacciante vittoria. Solo il povero Davide non poté unirsi ai festeggiamenti. I sette compagni lo circondarono e rimasero in silenzio, nell'attesa di una sua giustificazione. < Mi… mi dispiace amici, ma non ce l'ho fatta! Credo di non essere pronto per affrontare il signore del male. La morte del nostro Cesare non può lasciarmi indifferente. Io vi chiedo, saggio Goffredo, di permettermi di interrompere la catena… voglio tornarmene a casa!>.
< Non è soltanto il tuo di cuore ad essere affranto dalla penosa perdita del nostro valoroso Cesare. Tutti noi portiamo dentro la sorda voce del dolore. Ma questo non può, e non deve fermarci!>, disse messer Goffredo con voce suadente.
< Non possiamo permettere che il Signore del male esca vincitore da questa battaglia che noi tutti abbiamo intrapreso da molto, molto tempo…>.
< Forza, amico mio, alzati…>, sussurrò Ettore porgendo la mano all'amico in difficoltà. Questo gesto sorprese il resto della compagnia, poiché era divenuta ormai famosa la lunga diatriba religiosa che quei due avevano intrapreso sin dall'inizio della loro collaborazione. Davide, sorpreso più degli altri, allungò la mano verso l'arabo. Improvvisamente il viso gli si illuminò. Aveva da poco perso un amico, ma subito dopo un altro ne aveva guadagnato. Gli otto Paladini si abbracciarono, felici ed orgogliosi della battaglia condotta. Tutto era ritornato nei giusti binari della ragione, ma non vi era nulla che potesse giustificare anche un sol gesto di giubilo. Giulio Cesare, Imperatore di Roma, uomo dalle qualità eccelse giaceva a terra morto. Prima di continuare la missione, i compagni seppellirono il suo corpo nel fango. Nessuna croce fu eretta a testimonianza e solo messer Goffredo soffermandosi su quell'improvvisata sepoltura, estraendo da sotto il mantello, una piccola ampolla d'acqua santa e facendosi il segno della croce recitò per Giulio Cesare una solenne preghiera, dopodiché gli otto uomini di valore si rimisero in marcia, diretti verso la tetra rupe…
Se il male fosse stato un sontuoso banchetto, ratti e paure senzienti non erano niente di più che un leggero antipasto. Le portate, quelle succulente e difficilmente digeribili, dovevano ancora arrivare, e di questo messer Goffredo ne era perfettamente a conoscenza. Il saggio cavaliere templare che aveva speso la sua intera esistenza nel sacro tentativo di arrestare gli oscuri progetti del signore del male, guidava con passo deciso la silenziosa colonna di guerrieri che adesso marciava immersa in quella bizzarra foresta di alberi spogli. Il cielo si era fatto ancor più scuro e l'aria, divenuta stranamente fredda ed immobile, li avvolgeva in un glaciale sudario. Davide, non ancor ripresosi del tutto dallo sconforto che gli aveva impedito di combattere, camminava al fianco di Ettore il quale cercava di rincuorare il ritrovato amico. La vegetazione filamentosa della foresta non lasciava presagire alcunché di buono. Strani mormorii si potevano percepire attraverso gli spogli scheletri di ciò che un tempo era stata rigogliosa vegetazione, mentre gli otto paladini si avvicinavano alla vetta della rupe. Il nefando monastero comparve dinanzi a loro, come un silenzioso fantasma rimasto immobile per secoli nella attesa della loro venuta. Le sue alte mura, nere come la pece, svettavano imponenti verso l'alto. Guglie affilate e torrioni decadenti, lo facevano somigliare di più ad un castello d'arme anziché un convento. Certo di frati lì dentro non ne rimanevano molti. Chi di loro non fosse già stato ucciso, era divenuto certamente un viscido servo di Lucifero. I paladini, stanchi ed infreddoliti attraversarono il sinistro arco di pietra dell'ingresso cocchiero, dopodiché si fermarono in prossimità dell'unica via d'accesso alla fortezza. Un enorme portone sbarrava loro il passo. Al centro di esso si ergeva un freddo bottone metallico sul quale era stato inciso un misterioso segno.

 

C

 

< Non è buon presagio…>, borbottò Giosuè. < Con questo segno, Lucifero vuole informarci che da quel maledetto punto in avanti entreremo nel suo oscuro regno…>.
< Esatto, mio caro Giosuè. All'interno di questo convento non vi sarà nulla che potremmo definire terreno. Signori! Da questo momento ognuno di noi dovrà affrontare le proprie paure. Il Signore altissimo proteggerà le nostre anime guidandoci con la sua immensa luce nei labirinti del male!>, e proclamando con giusta fierezza codeste parole, messer Goffredo estrasse una piccola Bibbia invitando i paladini ad unirsi in preghiera. Il solo Ettore non si unì alla cerimonia. L'arabo si limitò ad unire le mani sul volto e rivolgendosi in un punto prestabilito dell'orizzonte invocò aiuto nella sua bizzarra lingua.
Al termine di quel breve, ma irrinunciabile momento di religiosa raccolta, i paladini furono pronti per varcare l'ultimo ostacolo che li divideva dall'oscuro regno di Lucifero. M'esser Goffredo si avvicinò alla sinistra incisione. Vi appoggiò entrambe le mani e recitando una preghiera spinse con decisione. Il portone ruggì sui cardini e si spalancò su di un nero infinito. All'interno del convento nessuna luce sembrava penetrare. A questo problema vi porse rimedio Ettore il quale mediante la sua inseparabile pietra focaia, incendiò un tozzo ramo utilizzandolo da improvvisata torcia. Egli la porse a messer Goffredo perché fosse lui stesso a guidarli in quel tenebroso mondo.
Così gli otto paladini varcarono la soglia del convento guidati dall'inarrivabile saggezza di Goffredo e dall'irrinunciabile mano di Dio.
Non molto potevano scorgere. Oltre il ristretto alone della torcia nulla era loro concesso di osservare. Da subito, però, strani rumori invadevano quello che sembrava essere il vasto salone d'ingresso. Giosuè di conventi ne aveva frequentati molti. La sua incrollabile fede lo avvicinava più ad un monaco rigoroso anziché un prode paladino, ed ai suoi giusti occhi parve da subito nefanda quella costruzione. Le stesse pareti, l'intero convento gli dava la sinistra sensazione di essere una creatura dotata di vita propria. < Non vi è più nulla del convento, solo l'Altissimo sa dove ci siamo cacciati!>, sussurrò all'orecchio attento di Carlomagno.
< Non vedo cosa ci sia di così strano, amico mio…>, rispose il leggendario condottiero, < ci troviamo nella dimora del signore del male. Fiori e cinguettii di uccelli sarebbero del tutto fuori luogo…>.
< Silenzio!>, li interruppe Re Artù. < Le avvertite anche voi messer Goffredo?>. Il vecchio templare si limitò ad annuire leggermente col capo. Entrambi potevano sentire la nefanda presenza delle paure senzienti. Le terribili creature divoratrici di incubi strisciavano come vermi sulle alte volte del salone. Adesso l'intera compagnia poteva sentire il freddo stridere dei loro artigli sulle colonne della sala. < E adesso cosa facciamo?!>, bisbigliò Alessandro Magno stringendo con forza la sua possente spada a due lame.
< La cosa importante è che nessuno di noi incroci i loro sguardi. Le paure senzienti sono molto più potenti nell'oscurità. I loro occhi brillano di un eterea luce propria. Se mai uno di noi dovesse posarvi gli occhi …bè per lui non ci sarebbe più nulla da fare… quindi cerchiamo di procedere uniti e con passo svelto. Adesso le paure senzienti seguivano gli otto paladini come belve a caccia della loro preda. Quelle terribili creature però sapevano bene che se la preda non le avesse guardate loro potevano fare ben poco. Così decisero di gettarsi dalle alte volte precipitando ad un sol passo dai Paladini. Gli otto si fermarono di colpo. Ognuno di loro chiuse immediatamente gli occhi e cercò per quanto fosse possibile di estraniare la mente da oscuri pensieri. Le paure senzienti gli giravano attorno. I paladini potevano avvertire il loro nauseabondo tanfo. Lo squittire delle loro bocche deformi risuonava come una pestilenziale cantilena. Ignorarle era fondamentale! Le paure senzienti rimasero lì a girovagare per un tempo che agli otto parve interminabile. Poi, come era già accaduto nella piana, esse scomparvero come mucchietti di sabbia soffiati lontano dal vento. Il primo a riaprire gli occhi fu ovviamente messer Goffredo. Il saggio templare scrutò con la fioca luce della torcia la zona circostante. < Potete aprire gli occhi, amici miei se ne sono andate!>. Ma non appena gli otto Paladini si ripresero dal torpore telepatico, una luce accecante divampò nel salone. < Cosa acc….!>, tuonò Carlomagno accorgendosi con gran terrore che davanti a loro si presentava un ostacolo del tutto inaspettato!
Dal fondo del salone apparvero le orripilanti sagome di due Anfitteri!
< Al male non vi è mai fine!>, esclamò Re Artù impugnando Excalibur. Adesso i Paladini si trovavano nella scomoda parte dei topi in trappola. Gli Anfitteri erano una sorta di giganteschi serpenti alati con la testa di drago. Il loro oscuro potere, anche questo frutto dell'immensa abilità di Lucifero, consisteva nell'essere in grado di vomitare dalle loro infide fauci fiumi di lava incandescente. Si trattava di creature ad alto livello, esseri immondi i cui poteri di lì a poco si sarebbero scatenati! Poiché la fuga non era contemplata i paladini si schierarono di fronte alle feroci creature pronti a dare inizio alle danze!
Gli otto valorosi guerrieri si disposero di fronte alle diaboliche creature, le quali iniziarono ferocemente a ruggire. Gli Anfitteri non potendo muoversi con agilità sul terreno, questo a causa della loro completa mancanza di zampe, strisciarono veloci verso i paladini. Di rimando gli otto indietreggeranno di qualche passo.
< Questa sarà una battaglia coi fiocchi!>, esclamò Ettore invitando i suoi compagni a non retrocedere ulteriormente. Intanto gli Anfitteri spalancarono le gigantesche fauci dalle quali vomitarono un vero e proprio fiume di lava incandescente. Il liquido ribollente invase il salone e nulla parve fermarlo.
< Forza seguitemi!>, gli incitò Re Artù indicando ai compagni la base di una colonna spezzata che distava pochi passi da loro. Raggiunta la colonna essi vi salirono sopra e stringendosi l'uno con l'altro riuscirono a sfuggire, temporaneamente alla letale lava. Intanto gli Anfitteri, emettendo terribili grida, continuavano a dimenarsi sul pavimento lastricato da antichissime pietre, mentre le loro fauci continuavano imperterrite a vomitare lava incandescente.
< Non vedo vie d'uscita!>, esclamò Carlomagno guardando con preoccupazione le due creature.
< Non abbiamo scelta!>, gli rispose messer Goffredo, < Dobbiamo attaccarli!>.
< Ma non possiamo affrontarli>, intervenne Davide. < Il solo discendere a terra porrebbe fine alle nostre vite!>.
Davide non si sbagliava. Quella decadente colonna era rimasta per loro l'unico baluardo di sopravvivenza. E di lì a poco anche quel baluardo sarebbe stato inghiottito dalla lava ribollente. Gli Anfitteri continuavano a strisciare veloci sul terreno e ben presto circondarono la colonna. Questo era il solo momento in cui gli otto paladini avrebbero potuto fare qualcosa. Fortunatamente Alessandro Magno ebbe il coraggio di fare ciò che nessuno dei paladini avrebbe potuto immaginare. Spiccando un lungo balzo, il paladino si lanciò dalla colonna andando ad atterrare sulla testa squamosa di uno dei due Anfitteri. Egli, con estrema abilità, sguainò la sua proverbiale spada a due lame e con un gesto deciso e risolutivo la affondò nel cranio di quell'orrenda creatura. Di colpo l'Anfittero emise un truce grido di dolore. Gli occhi gli s'iniettarono di sangue e con un assordante tonfo la testa cadde al suolo. Alessandro Magno riuscì miracolosamente a restare in equilibrio su quel filiforme corpo ormai senza più vita. Era stato incredibile. Con un sol colpo, Alessandro Magno lo aveva sconfitto. Nello stesso istante Re Artù ed Ettore fecero lo stesso. Essi si lanciarono sull'Anfittero rimasto, ma un istante prima di atterrare sulla sua testa, la diabolica creatura fece un secco scatto verso destra. Come per miracolo i due paladini riuscirono all'ultimo istante ad aggrapparsi alla sua squamosa corazza. Re Artù, senza perdere tempo affondò Excalibur nel timpano dell'Anfittero. La creatura iniziò così a contorcersi dal dolore. Ettore, di suo affondò la scimitarra nella gola del drago. Ormai per l'Anfittero non vi era più nulla da fare. Anch'egli piombò a terra con un tonfo assordante. Quando anche questi smise per sempre di respirare, come per magia ogni segno della loro presenza scomparve. Di colpo il salone ripiombò nella più totale oscurità. Solo la fioca luce di messer Goffredo rischiarava il nero manto del signore del male…
< Ditemi sire che usciremo da qui!>, esclamò un attonito Davide guardando il viso provato di Artù.
< Solo se la nostra santa missione sarà completata con successo…>, si limitò a rispondergli messer Goffredo che nel frattempo, come se tutto quello non fosse mai accaduto, invitò i compagni a proseguire attraverso l'oscuro regno di Lucifero.
Il sottile rivolo di sangue intorbidisce la splendente chiarezza del siero. Il braccio dal quale esce è quello del moro. Lo scambio non contempla l'imperfezione
Gli otto paladini, ripresisi dal terribile combattimento con gli infausti draghi, s'incamminarono verso il lato nord del vasto salone. Solo messer Goffredo sembrava essere a perfetta conoscenza del cammino da intraprendere per giungere al cospetto del potentissimo nemico. Il rimbombare dei loro passi riempiva il feroce silenzio che era nuovamente calato all'interno della diabolica fortezza. I loro occhi scrutavano nell'oscurità, ma grazie al cielo paure senzienti e chissà cos'altro sembravano essersi improvvisamente dileguate. Ma ad un tratto Giosuè emise un esclamazione che richiamò i paladini. Il loquace templare sembrava essere spaventato da qualche cosa.
< Cosa ti succede, amico mio!>, lo interrogò Goffredo. Giosuè indicando Ettore borbottò: < Guardate, mio signore... il moro perde sangue!>.
La notizia era terribile! Ettore, prode guerriero, era ferito al braccio destro. Il rossore pulsante delle carni spuntava da un largo squarcio della tunica. L'Anfittero doveva averlo ferito con le sue infauste squame! Di colpo nessuno dei paladini ebbe il coraggio di commentare il terribile accadimento. Certo, la vita del moro non era in pericolo, ma il fatto increscioso, e per i paladini non altro che terribile, era che durante lo scambio nessuno di loro poteva perdere sangue. Lividi, contusioni, escoriazioni superficiali, tutto di questo era accettabile ma la perdita di sangue no! L'unica cosa da fare, per colui che perdeva il sacro fluido vitale, era di far al più presto ritorno nella Clessidra. La perdita di un guerriero come Ettore sarebbe stato un duro colpo per la missione.
< Maledizione credevo di essere stato attento!>, brontolò Ettore stringendosi la ferita.
< Questo non ci voleva!>, esclamò Re Artù scrutando l'oscurità.
< Signori, voi ben sapete come funziona! Il prode Ettore deve fare subito ritorno nella Clessidra…>. Le fugaci parole di messer Goffredo risuonarono pesanti nel sottolineare quella triste evidenza. Ettore era una pedina fondamentale dei paladini ed il solo pensiero di non poter più fare affidamento sulle sue indiscutibili abilità guerresche fece piombare i paladini in un vivido sconforto.
< Amici, sono sicuro che porterete a termine il sacro impegno. Davide… ricordati che sei un templare! Non arrenderti e non farti mai sopraffare dalla paura… dopotutto voi templari non siete così male… eh… eh!>.
Non c'era tempo da perdere. Messer Goffredo estrasse l'antica pergamena e dopo aver posato la mano destra sul capo del moro pronunziò la formula della disconnessione telepatica: ERGA DOMINI VOLTE TERGO!>.
Il corpo del moro sussulta dolcemente. Le sue palpebre sono attraversate da un lieve tremito. La ferita verrà ben presto rimarginata dal portentoso siero, mentre egli attenderà il ritorno dei compagni…

 

La perdita di Ettore non doveva scoraggiare i paladini rimasti. Messer Goffredo decise che quello era il momento di svelare ai compagni la meta che li aspettava.
< Amici miei, valorosi guerrieri, figli del dio dei giusti, l'ampolla che il maligno sta cercando di aprire si trova nei profondi abissi di questa fortezza. Laggiù egli tiene prigioniero colui che è in grado di aprire la sacra ampolla…>.
< Volete dire che potrebbe averla già aperta?!>, lo interruppe con foga Artù.
< No… non preoccupatevi… il tempo gioca ancora a nostra favore. Ma di tempo non n'è rimasto molto. All'alba inizierà il seicentosessantaseiesimo anno di permanenza dell'ampolla in questa diabolica costruzione. Se noi non riusciremo a trovarla e con essa liberare colui che è in grado di aprirla, il maligno avrà vinto la sua guerra con il nostro altissimo signore. Quindi dobbiamo sbrigarci a trovare l'entrata dei sotterranei… il tempo delle paure e dei rimorsi per le tristi perdite dei nostri compagni sono finiti! Forza andiamo!>.
< Chi è questo misterioso uomo in grado di aprire la sacra ampolla?>, domandò Alessandro Magno.
< Avremo tempo di parlarne mentre camminiamo>, gli rispose risoluto messer Goffredo.
I sette paladini, giunti al termine del vasto salone si diressero verso una piccola scala di pietra che girando in tondo s'inabissava verso le tetre profondità della terra. Non vi erano dubbi che quella scala li avrebbe condotti da qualche parte al di sotto del salone. Ma cosa avrebbero trovato ad attenderli laggiù nell'oscurità?
< Come vorrei che Ettore fosse tra noi…>, bisbigliò Davide seguendo con timore i suoi compagni in quella misteriosa discesa verso l'ignoto.
E quel legittimo timore si sarebbe ben presto manifestato… Infatti i Paladini s'inoltrarono nelle umide viscere del monastero, ignari di cosa avessero trovato laggiù ad attenderli. La presenza opprimente delle paure senzienti si era nuovamente manifestata. Le diaboliche e sfuggenti creature strisciavano lungo le gocciolanti pareti del sotterraneo. Illuminando i propri passi con l'esile torcia ben presto davanti agli occhi di messer Goffredo si presentò un incredibile spettacolo. I sotterranei erano in realtà una vasta e sconfinata grotta scavata da antiche mani all'alba di tutti i tempi. Enormi colonnati di pietra si ergevano come giganti silenziosi nell'immane sforzo di reggere l'intero monastero. Da subito agli occhi dei paladini parve una sorta di granitica arena. Dal terreno una leggera foschia maleodorante invadeva ogni cosa. Sinistri rumori e glaciali cigolii accompagnarono la venuta dei sette guerrieri in quel luogo desolato e angosciante. Nessuno di loro ebbe il coraggio di dire qualcosa, ma allo stesso tempo parevano essere sinistramente affascinati da quel posto. Sul fondo della grotta si dipanavano numerosi cunicoli oscuri, ognuno dei quali s'inoltrava verso l'umida oscurità di sperduti sentieri.
< Ed ora dove andiamo?>, sussurrò Carlomagno ad un taciturno Goffredo.

 

< Il Prete Gianni si trova in un angusta cella situata dalla parte opposta di questi maledetti sotterranei! Io non conosco la giusta strada e…. l'unica cosa è tentare di imboccare il cunicolo giusto…>. I paladini udendo il nome del Prete Gianni ebbero un sussulto di sorpresa. Nessuno credeva che questo misterioso personaggio, il più delle volte creduto soltanto frutto di dicerie popolari, esistesse realmente.
< Certo che esiste!>, rispose Goffredo riunendo i compagni intorno a sè, < ed è proprio lui l'unico in grado di aprire la sacra ampolla!>. I paladini non riuscendo a collegare il Prete Gianni con il Maligno chiesero a Goffredo maggior chiarezza. Ed egli iniziò a raccontare l'esatta cronologia dei fatti. Dopotutto ogni paladino doveva sapere cosa era realmente accaduto alla sacra ampolla.
< Fu il Prete Gianni il primo a custodirla. Egli ricevette la sacra ampolla da un misterioso mercante di schiavi in viaggio attraverso l'Africa dove il buon Gianni aveva fondato il suo leggendario regno. Questo mercante disse di averla ricevuta a sua volta dal diretto discendente di Longino…>.
< Volete dire quel… Longino?>.
< Esatto, amici miei, il centurione che con la propria lancia inferse le ferite al costato al nostro Signore Gesù Cristo!>. Immediatamente i Templari si fecero il segno della croce. Per loro ascoltare quella storia era un'emozione che in pochi sarebbero riusciti a capire. Intanto Artù, che sembrava essere stranamente attratto dalla spessa oscurità che sul fondo li attendeva pregò a messer Goffredo di continuare.
< Ebbene questo discendente di Longino capì subito che le forze del male stavano preparando un piano per impossessarsi dell'ampolla. Egli, sebbene fosse discendente di uno dei più crudeli centurioni che abbiano prestato servizio sotto il vessillo di Roma, era un buon cristiano. Da subito cercò di celarla ai misteriosi uomini che ogni notte giungevano nel suo villaggio. Ma purtroppo questo non bastò. Oppresso dal nemico, decise di fuggire e partì lasciando per sempre la terra dove era nato. Questo pover uomo vagò per ben trentacinque anni attraverso gli infuocati deserti d'oriente. Poi un giorno venne ritrovato ormai morente da una carovana di mercanti di schiavi. Essi lo curarono, e tentarono invano di salvargli la vita. Ma ormai era troppo tardi. L'uomo, di cui nessuno ha mai conosciuto il nome, consegnò l'ampolla al loro capo. Questi, non sapendo cosa contenesse quella strana ampolla, la gettò in una cesta posta sul suo sontuoso cammello e lì vi rimase per ben otto anni, sino a quando, giunto nel favoloso regno del Prete Gianni, venne scoperta da Gianni stesso, il quale la barattò con ben cento otri ricolmi d'oro! Gianni si era reso conto di aver messo le mani sulla più importante reliquia della storia umana. Ancora non è chiaro com'egli fosse in grado di aprirla, ma fatto sta che una notte violò la sacralità del contenuto. Gianni non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa stesse accadendo, poiché d'improvviso si ritrovò prigioniero in regno di dolori e sofferenze. Nonostante fosse stato fatto prigioniero da Lucifero in persona egli sigillò nuovamente l'ampolla rifiutandosi per i secoli venturi di riaprirla. Il Maligno tentò in ogni modo di corromperlo, ma tutto fu vano. Così Gianni tornato nel mondo reale decise di nascondere l'ampolla in un luogo sicuro. Raggiunse il Nord della Francia e qui in un luogo sconosciuto la nascose. Ma un giorno, un cavaliere Templare chiamato Golgota, riuscì a scovarla. Golgota, essendo da tempo schiavo di Lucifero prese l'ampolla e la portò al suo signore. Lucifero, allora decise di catturare nuovamente il prete Gianni per un ultimo tentativo di convincerlo a piegarsi ai suoi oscuri progetti. Ora il fatto importante è che da quel fatidico giorno sono passati seicentosessantacinque anni e quando domani il sole sorgerà di nuovo entreremo nel seicentosessantaseiesimo anno!>.
< E… e quindi?>, si azzardò ad intervenire Carlo Magno.
< Allora la mente di Gianni sarà assorbita completamente da Lucifero… e l'ampolla sarà aperta. Il signore del male ingurgiterà la sacra linfa vitale di Gesù Cristo e… bè il resto lo sapete già!>.
Re Artù aveva ascoltato il lungo racconto di Goffredo senza mai distogliere lo sguardo dall'oscurità del sotterraneo. Quando finalmente anche i compagni si accorsero di questo fu troppo tardi. Da ogni parte del sotterraneo sbucarono frati dal viso orrendamente deturpato. Essi urlavano in modo orribile, mentre dalle loro bocche contorte vomitavano lordura e verminaia in gran quantità.
< E questi cosa acc...!>.
< Maledizione, quelli sono i frati morenti, i nefandi servitori di Golgota, dovremo affrontarli!>, esclamò messer Goffredo invitando i paladini all'ennesima battaglia.

 

D'improvviso si ritrovarono accerchiati dall'orribile esercito di lebbrose creature. I frati morenti erano stati un tempo umili servitori della croce ed unici abitanti del monastero. Lucifero, dopo essersi rivelato a loro, li trasformò in quelle che adesso apparivano come grottesche creature viventi. Come aveva detto messer Goffredo essi erano divenuti i servili soldati di Golgota e se i frati morenti erano laggiù, anche il rinnegato cavaliere Templare doveva lì celarsi. I frati morenti discendevano i colonnati come avrebbe fatto un ragno. I loro movimenti, innaturali, li rendevano agli occhi dei paladini ancor più terrificanti. Vestiti di cenci sporchi e maleodoranti, i frati possedevano cerbottane con le quali scagliavano a grandi distanze dardi infetti.
< Se uno di quei dardi dovesse colpirci al di fuori dell'armatura cadremmo sicuramente prede di una qualche orribile infezione!>, esclamò Giuda Maccabeo impugnando con forza la sua balestra. I paladini si strinsero in cerchio. Non c'era null'altro che potessero fare. L'arena sotterranea si era ben presto rivelata essere un'arguta trappola creata dal malvagio Golgota. I frati morenti, schiamazzando con voci che sembravano non provenire da un mondo terreno, si scagliarono verso i paladini. A terra si muovevano a quattro zampe, con incredibile agilità. A vederli non ci si poteva sottrarre ad un forte senso di angoscia. Di quali mostruosità il Maligno era capace!
I paladini, però, non attesero oltre. Il primo ad attaccare fu Giuda Maccabeo. I dardi di Mefistofele, veloci come il vento trafissero decine di Frati, mentre la grotta andava progressivamente riempiendosi di paurose urla e di dardi infetti. Le cerbottane sibilavano nell'aria ferma della grotta. Nugoli di frati morenti uscivano da tane poste sulle alte volte del sotterraneo. Re Artù ne decapitò due con un sol colpo di Excalibur e di questo messer Goffredo gli fu grato, poiché distrattosi per un solo istante, il vecchio templare aveva rischiato di essere colto alle spalle da quei due frati malefici. Carlomagno e Alessandro Magno fendevano colpi da una parte e dall'altra mentre Davide, vinta finalmente la paura, cercava di attaccare quelli che sopraggiungevano dal lato destro dell'arena.
< Non possiamo resistere a lungo, qui!>, urlò Giosuè con la tunica ormai impregnata del nauseabondo sangue del nemico.
< Per fuggire dobbiamo attraversare l'arena, e per fare questo, amici miei, dobbiamo gettarci ancor più tra le braccia di quelle diaboliche creature!>, gli rispose messer Goffredo anch'egli ormai irriconoscibile a causa della gran quantità di sangue e membra che imbrattavano la sua tunica.
I paladini continuarono a combattere senza sosta, ma nonostante decine di frati morenti, giacessero al suolo sconfitti, altri ne arrivavano dalle tane aree. Giuda Maccabeo ormai non aveva più la forza di tendere la sua infallibile balestra. I frati morenti continuavano ad urlare e a dimenarsi come ragni, ma esitavano nell'avvicinarsi ulteriormente ai paladini. Sembrava che il loro compito fosse soltanto quello di impedire ai paladini di proseguire il cammino attraverso i sotterranei. Improvvisamente, come erano comparsi, i servi di Golgota tornarono precipitosamente nelle loro tane. Per alcuni istanti, nell'arena scese un feroce silenzio. Poi nel sotterraneo si diffuse un torbido scalpitio di zoccoli. I paladini si guardarono attorno, ma non riuscendo a percepire da dove il sinistro rumore provenisse, i loro animi si agitarono oltre ogni limite. L'unico di loro che sembrava essere a conoscenza di ciò che stava accadendo era messer Goffredo. Artù, accortosi di questo, gli chiese urgentemente spiegazioni.
< Golgota sta arrivando…>, si limitò a sussurrare Goffredo.
Improvvisamente da uno dei cunicoli oscuri iniziò a fuoriuscire del vapore bluastro. Paure senzienti e frati morenti erano scomparsi. Agli occhi dei paladini sembrava che perfino la nuda pietra del sotterraneo provasse terrore e rassegnazione nel non poter fuggire da lì. Lo scalpitio si fece più vicino e con esso aumentò la bruma bluastra. L'aria si fece gelida e la torcia che Goffredo stringeva nelle mani parve sul punto di spegnersi. L'armatura dorata di Carlomagno rifletteva l'esile luce della torcia, mentre Artù strinse con forza Excalibur. Giuda Maccabeo sembrava pronto a scatenare "Mefistofele" contro chiunque fosse apparso dal cunicolo. I templari, si fecero il segno della croce e pregarono il Signore di assisterli in quel difficile momento. Goffredo scrutava l'oscurità e d'improvviso Golgota fece la sua comparsa.
Dal cunicolo comparve un possente destriero dal nero mantello. In groppa ad esso svettava la truce figura di un cavaliere. Indossava ciò che rimaneva dell'uniforme templare. La sopravveste era lacerata e logora. La rossa croce cristiana era stata stracciata e sostituita con lo stesso emblema che i paladini avevano scorto sul portone del monastero. Il cavaliere non portava nessun genere di elmo, ma il suo viso era celato parzialmente da oscuri stracci che egli teneva alzati a coprirgli metà il volto. Ma il dettaglio più inquietante erano gli occhi. Golgota possedeva occhi spenti. Due piccole sfere al cui interno ogni traccia di vita sembrava scomparsa. Nella sua mano destra il cavaliere impugnava una rozza spada, mentre col braccio sinistro reggeva un grande scudo di forma circolare. Anche su di esso si ergeva il simbolo del Maligno. Golgota avanzò di pochi passi verso i paladini. Poi, giunto a non più di una decina di metri inferse un violento strappo alle redini. Il cavallo istantaneamente si fermò. Ora messer Goffredo poteva avvertire il nefando puzzo di quel terribile essere. I due cavalieri si scrutarono a lungo senza che nessuno di loro osasse proferir parola. Dietro a Goffredo i paladini stavano all'erta. Ogni mossa falsa di quell'individuo li avrebbe fatti scattare all'attacco. Poi, improvvisamente Golgota parlò.
< L'alba ormai prossima, mio caro Goffredo. Il prete sta per cedere… eh… eh!>.
< Tu sei una vera e propria vergogna per questa terra!>, gli inveì contro un collerico Goffredo. Ma Golgota sembrava non udire le ingiurie del templare. < L'unica vergogna di questa terra è l'uomo!>, esclamò Golgota fendendo l'aria con la sua spada, la quale passò ad un soffio dal viso di Goffredo. Di colpo i paladini avanzarono ma il templare gli ordinò di fermarsi.
< I tuoi compagni sono alquanto pietosi. Più li osservo è maggiore è in me la convinzione che avresti potuto cercare di meglio attraverso il tempo!>.
< Razza di bast!>. Davide non fece in tempo a terminare la frase. Gli occhi di Golgota si illuminarono di rosso e lo sguardo del giovane templare fu catturato. Davide crollò a terra perdendo i sensi.
Il corpo di Davide è attraversato da un violento tremito. Il siero intorno ad esso inizia lentamente a vorticare. Quel misterioso cavaliere sembra dotato di un potere in grado di interferire sulla Clessidra.
I paladini osservarono impotenti la scena. I poteri di Golgota apparivano di un livello mai visto prima di allora. Chi di loro sarebbe riuscito ad affrontare un guerriero di tale levatura?
< Devi educarli i tuoi amici, Goffredo, o qualcuno si farà molto male…>, sibilò Golgota scendendo dal nero destriero.
Davide giaceva a terra, inerme e nessuno dei suoi compagni si azzardò a muovere un solo muscolo. Dopotutto, il giovane templare era caduto solamente vittima di una sorta di incantesimo per nulla pericoloso alla sua vita. E questo fu confermato da Golgota alcuni istanti dopo. < Non preoccupatevi, il vostro compagno si riprenderà presto! Ma se volete un consiglio, mettetegli un guinzaglio, poiché la prossima volta non sarò così magnanimo con lui!>.
< Chi di noi vuoi affrontare!>, esordì improvvisamente Goffredo.
< Cosa intendete dire?!>, replicò Carlomagno.
< Intendo dire che se non affronteremo Golgota la nostra missione si conclude qui!>. I paladini si guardarono di sottecchi. Scendere a singolar tenzone con quel diabolico cavaliere si sarebbe rivelata un'impresa degna di essere ricordata nei secoli.
< Già! Goffredo ha detto la verità. O qualcuno di voi decide di affrontarmi, oppure sarò costretto a trattenervi qui sino al sorgere del sole, e dato che sarò io a scegliere… sceglierò te!>>, sibilò Golgota indicando messer Goffredo.
< No! Sarò io ad affrontarti!>, intervenne Artù, ma quella fu l'ultima frase che riuscì a dire, poiché Golgota gli catturò lo sguardo ed anche il supremo re di Britannia cadde a terra svenuto. Ma Golgota non si fermò. Riservando lo stesso trattamento per il resto dei Paladini, in un breve istante rimase solo con Goffredo.
< Bene, servo irriducibile della croce… è giunto il momento della resa dei conti. Sconfiggimi e vivrai, perdi e tu e i tuoi ridicoli compagni morirete come luridi vermi schiacciati dal potere assoluto del male!>. I due rivali si posero al centro dell'arena sotterranea. Il nero destriero di Golgota, quasi rendendosi conto dell'importanza del momento, fece ritorno all'interno del cunicolo. Adesso il tempo di esitare era finito. Adesso si doveva combattere. Golgota sapeva molto bene che con Goffredo il potere di controllare la mente non avrebbe funzionato. Il vecchio cavaliere templare era immune alla magia nera del suo diabolico avversario. Solo le spade e il sudore avrebbero decretato il vincitore di quella battaglia sotterranea. La posta in gioco era troppo alta per rinunciarvi, e questo Goffredo lo sapeva molto bene. Fu così che il vecchio templare si scagliò su Golgota fendendo l'aria con la sua spada consacrata. Golgota riuscì a parare il colpo diretto i pieno volto, e replicò colpendo violentemente col suo scudo il braccio sinistro di Goffredo. I due avversari si allontanarono nuovamente. Come felini si studiavano con attenzione. Entrambi erano guerrieri di superba abilità. In passato Goffredo aveva prestato servizio con l'uomo che poi divenne Golgota. Entrambi conoscevano i punti deboli dell'avversario, ma Goffredo sapeva anche che adesso Golgota poteva usufruire di chissà quali arti diaboliche. Dopo un breve periodo di studio fu Golgota questa volta ad attaccare. I suoi occhi, rossi come il sangue, brillavano nell'oscurità. L'unica luce era prodotta dalla foschia bluastra che invadeva il terreno circostante. La torcia si era spenta e Goffredo poteva soltanto fare affidamento sul suo intuito. La spada di Golgota piombò sulla spalla destra di Goffredo con una potenza inaudita. La cotta di maglia si lacerò, ma fortunatamente il templare non perdeva sangue.
< Credimi, vecchio, arrenditi! Seguimi nel regno del supremo Lucifero, e ti assicuro che diverrai ricco e potente! Arrenditi!>, sbraitò Golgota sferzando un nuovo colpo al suo indomito avversario il quale, con un improvviso scarto verso destra, evitò per un soffio la putrida spada dell'avversario. Entrambi continuarono a combattere per molto tempo. Il silenzio del sotterraneo era interrotto dal fragore delle lame. Poi, improvvisamente Golgota parve distrarsi. Il nero cavaliere volse lo sguardo verso il cunicolo dal quale era giunto. < Il mio Signore mi chiama… Ci rivedremo vecchio!>, esclamò un secondo prima di scomparire in una nuvola di fumo. Nello stesso istante i paladini lentamente ripresero i sensi, mentre Goffredo, ansimante si inginocchiò a terra. Gettò la spada lontano da lui e con un filo di voce disse ad Artù di riaccendere la fiaccola. Il viaggio doveva continuare… Riacquistate le forze, Goffredo si unì ai paladini e con loro si precipitò all'entrata dell'oscuro tunnel verso il quale Golgota aveva volto lo sguardo. A breve i sette guerrieri si ritrovarono a marciare all'interno di un angusto cunicolo. Il lezzo, che a tratti diveniva insopportabile, invadeva il nero budello di roccia che si districava attraverso una fredda oscurità. Artù, marciava in testa alla colonna illuminando i propri passi con la torcia la cui esile fiamma andava pericolosamente spegnendosi. Ormai ognuno dei paladini si rendeva conto di ciò che stava accadendo. L'alba era ormai prossima e il prete Gianni si sarebbe di lì a poco inevitabilmente arreso.
< Tutto questo non potrebbe servire a niente ormai!>, gracchiò Giuda Maccabeo sputando a terra.
< Nulla è perduto!>, lo riprese Goffredo. < Sino a quando la sacra ampolla non sarà aperta la nostra missione non potrà ritenersi fallita!>. Anche il resto dei paladini avrebbe voluto coltivare il sacrosanto ottimismo di messer Goffredo, ma gli eventi stavano precipitando e forse Giuda Maccabeo non si era sbagliato.
Finalmente dal fondo del cunicolo Artù scorse una luce. Finalmente di lì a poco sarebbero usciti da quel nauseabondo cunicolo. Intanto Davide si accorse che il terreno era completamente ricoperto di vermi. Migliaia di striscianti creature creavano una sorta di diabolico tappeto vivente. < Questa è la strada che ci condurrà dritti all'inferno!>, esclamò faticando a trattenere l'impeto di vomitare.
Quando i paladini giunsero al termine di quel breve, ma raccapricciante tragitto, i paladini si ritrovarono ad affrontare delle vecchie conoscenze: orde di frati morenti brulicavano sull'orlo di un vasto cratere dal cui fondo emergevano vapori rossastri. < Cosa vi avevo detto! Eccolo… Quello è l'inferno!>, sentenziò Giuda Maccabeo, stringendo con forza la sua balestra. < Il prete Gianni si trova laggiù e il tempo stringe!>, proclamò messer Goffredo. < Dobbiamo scendere e se soltanto uno di noi riuscirà a raggiungerne le profondità il suo compito sarà quello di uccidere il prete!>. Improvvisamente i paladini strabuzzarono gli occhi. Mai sino a quel momento avevano udito il vero obiettivo della missione. Certo, essi sapevano bene che l'ampolla sarebbe dovuta essere distrutta, ma togliere la vita ad un uomo, per un paladino della confraternita dei nove, era un compito inaccettabile! Le parole di messer Goffredo, cariche d'angoscia e preoccupazione, stavano ad indicare il difficile momento. < Gianni deve essere ucciso. Ricordate che il destino del mondo è indissolubilmente legato alla sua morte!>.
< E dell'ampolla che ne sarà?>, intervenne Giosuè.
< Senza il prete Gianni, l'ampolla diverrà un oggetto senza alcun'importanza…>. Il momento di agire, quindi era giunto. I paladini si apprestavano a dare vita ad uno scontro impari contro le centinaia di frati morenti che li attendevano sull'orlo dell'oscuro baratro. I sette si unirono in preghiera stringendosi in cerchio mano nella mano. Goffredo estrasse l'antica pergamena e recitò il sacro canto di battaglia. < DIVINUM SANCTI IMPUNEM PAX>. Detto questo i paladini si lanciarono verso il cratere mentre le urla strazianti dei frati morenti riempivano l'intera grotta.
La battaglia esplose con la violenza di un terremoto. I dardi di "Mefistofele", sibilavano nell'aria conficcandosi nei corpi orripilanti dei frati. Dalle volte della grotta altri frati giungevano a dare manforte ai loro compagni. Artù continuava a mozzare teste e arti mentre Giosuè, Davide e Goffredo cercavano di farsi strada verso la bocca del cratere. Carlomagno, da parte sua, fendeva la sua possente spada nel vano tentativo di tenere lontani i diabolici frati. Improvvisamente le grida di Alessandro Magno giunsero alle orecchie dei compagni. Una decina di dardi infetti gli si erano conficcati nel collo. Nessuno dei paladini poté aiutarlo. Alessandro Magno, fu istantaneamente sopraffatto da un nugolo di frati i quali lo fecero a pezzi in un istante.
Il corpo del leggendario condottiero cade sul fondo della clessidra. Il cerchio si stringe, mentre Ettore assiste inerme alla terribile scena…
La perdita del valoroso amico gettò nello sconforto i paladini. L'orlo del cratere era ancora lontano e i nemici si facevano sempre più numerosi. Non era ammissibile riuscire a sconfiggerli. La situazione stava precipitando! Improvvisamente dal fondo del ribollente baratro udirono un sordo rumore. Alcuni istanti dopo piombò dinanzi a loro il nero destriero cavalcato da un furioso Golgota!
< T'SAI SHEN ZIII!>, esclamò Golgota facendo fuggire tutti i frati che si trovavano nella grotta. < Il momento è vicino, pietosi paladini! Adesso non potrete fuggire dalla mia ira!!!>. Golgota si lanciò verso i paladini. Il nero destriero galoppava senza fermarsi calpestando i corpi inermi dei frati abbattuti. Lo scontro fu inevitabile. Davide gli si lanciò contro brandendo la spada e a nulla valsero le grida di Goffredo che cercava di fermarlo. Il povero Davide non si rese conto di morire. La spada di Golgota gli mozzò il capo in un istante e il corpo del templare cadde a terra senza vita. Giuda Maccabeo cercò di colpirlo con la balestra ma quel maledetto servo di Lucifero sembrava imprendibile. Ma Giuda non si arrese. Raccolse in sè tutta la concentrazione di cui egli disponeva e dopo un breve respiro scoccò la freccia. Il dardo di Mefistofele colpì il destriero all'occhio destro. Il possente cavallo stramazzò a terra e con esso Golgota. < Adesso!>, esclamò Goffredo ai compagni. I paladini si gettarono su Golgota il quale, però, si alzò quasi subito da terra. I paladini si bloccarono, vedendolo nuovamente in piedi. < Non sarai certo tu a fermarci!>, disse Carlomagno gettandoglisi contro. Golgota con un sol colpo di spada gli tranciò di netto il braccio destro. Carlomagno cadde in ginocchio e Golgota compiendo una saettante rotazione con la spada gli mozzò il capo.
Il cerchio si stringe. I corpi dei valorosi guerrieri precipitano sul fondo della Clessidra
Il sangue glorioso dei paladini continuava ad essere versato e l'alba era prossima a sorgere. < Come ti dicevo, Goffredo, potevi cercare di meglio attraverso il tempo!>, ruggì Golgota. Poi, brandendo il capo mozzato di Carlomagno esclamò. < E questi tu li chiami Paladini… ah… ah!>. Dopodichè lo gettò a terra e sputandoci sopra invitò un altro di loro a farsi avanti. Artù, principe di Britannia signore della tavola rotonda non se lo fece ripetere due volte. Improvvisamente Excalibur s'illuminò di un'accecante luce. Golgota parve sorpreso da quell'improvviso abbagliamento. Fu in quel preciso istante che Giuda Maccabeo scoccò la freccia la quale, impiegando un tempo che parve interminabile, andò a conficcarsi nella gamba destra di Golgota. Artù si gettò sul nemico ferito e brandì un violento fendente al capo di Golgota che però riuscì a pararlo con la sua diabolica spada. I templari osservarono il truce duello che si stava consumando. Golgota, seppur ferito, si muoveva con destrezza mentre Artù lo attaccava da ogni lato. Gli occhi spenti di Golgota non si allontanavano da Excalibur. Per la prima volta il templare rinnegato aveva trovato pane per i suoi denti! Approfittando del momento, Giosuè corse verso il cratere ma riuscì a fare pochi passi. Golgota gettò il suo sguardo su Giosuè che all'istante fu catapultato in aria e lì vi rimase sospeso in una sorta di diabolica levitazione. Il messaggio era stato chiaro. O si sconfiggeva Golgota oppure la missione non avrebbe potuto continuare. Intanto Artù, facendo sfoggio di tutte le sue rinomate abilità guerresche, cercava di fronteggiare l'imbattibile nemico. La spada di Golgota gli passò più volte ad un soffio dal viso. Il combattimento stava attraversando una situazione di stallo. I contendenti, ormai stremati, si limitavano a parare gli ormai deboli colpi delle loro spade. Fu in quel momento che Goffredo si lanciò anch'esso nella mischia, mentre Giuda Maccabeo teneva sotto tiro Golgota. A quel punto, accortosi del pericolo, l'oscuro cavaliere riserbò a Giuda lo stesso trattamento inflitto a Giosuè e così anche l'indomito arciere si ritrovò a fluttuare verso le alte volte della grotta.
< E adesso a noi!>, sibilò il servo fedele di Lucifero roteando nell'aria la sua enorme spada.
Artù attaccò nuovamente brandendo Excalibur. Golgota riuscì a parare il colpo e di rimando colpì violentemente l'armatura di Artù. Il nobile sovrano cadde pesantemente a terra e subito Golgota gli piombò sopra. La vita di Artù sarebbe stata sicuramente troncata se messer Goffredo non si fosse improvvisamente interposto tra i due contendenti. Così la spada di Golgota andò a cozzare contro quella di Goffredo. Il vecchio templare resistette al violentissimo impatto. Nel mentre Artù si rizzò velocemente e colpì Golgota al fianco destro. < Non osare colpirmi!!>, tuonò Golgota scaraventando con lo sguardo nuovamente a terra Artù. Il Re di Britannia giaceva inerme al suolo. Adesso Golgota e Goffredo si trovavano nuovamente faccia a faccia. < Questa è l'ultima occasione che ti concedo, vecchio!>, esclamò scrutando lo sguardo impassibile del templare.< Abbandona il tuo credo e lascia che le braccia di Lucifero ti cullino nel suo onnipotente regno…>. Goffredo avvertiva l'immenso potere telepatico del suo avversario. Nella mente iniziarono a formarsi immagini di verdi distese d'erba… un villaggio… e poi un viso familiare. Un viso che Goffredo aveva dimenticato. La giovane moglie che il cavaliere aveva lasciato per combattere nelle crociate. Era tanto tempo che non vedeva il suo angelico viso.
< Il mio Signore è in grado di porre rimedio al tuo passato. Tu potrai vivere nuovamente al suo fianco. Tornerai giovane e le fatiche e le privazioni alle quali sei stato sottoposto saranno solamente un lontano ed annebbiato ricordo… dimentica, Goffredo di Buglione…d imentica…>, sibilò Golgota ormai certo di averlo in pugno…

 

Goffredo esitò. Il desiderio di poter riabbracciare il suo grande amore prese inevitabilmente corpo nell'animo del templare. Lentamente fece scivolare la spada a terra e questa cadendo provocò un sordo rumore che echeggiò nella fredda vastità della grotta. Ormai era prigioniero dell'infido Golgota. Questi, sorridendo gli si avvicinò. < E' molto bella vero?>, gli sussurrò all'orecchio.
Adesso Goffredo correva attraverso una vasta distesa di campi verdi. All'orizzonte l'esile figura della moglie, vestita di bianche vesti, lo attendeva a braccia aperte. Ma quando ormai i suoi dolci capelli stavano per sfiorargli il viso, tutto si fece nero. Goffredo aprì istantaneamente gli occhi e vide Golgota inginocchiato a terra. Egli stringeva nel petto l'inconfondibile scimitarra di Ettore. La possente arma era penetrata in profondità. Dalla bocca di Golgota scendevano abbondanti fiotti di sangue. Ancora stordito da ciò che aveva provato nel sogno, a Goffredo gli ci volle alcuni istanti per riprendersi. Intanto Golgota si contorceva a terra. Il suo corpo era attraversato dagli ultimi, lancinanti spasmi di morte. Artù a pochi passi da loro lentamente si stava riprendendo. Goffredo si guardò attorno e dal fondo della grotta vide la maestosa figura di Ettore. < App…appena in tem…in tempo!>, balbettò il moro crollando al suolo.
< Ettore, amico mio!>, urlò Goffredo correndogli incontro.
Ettore giaceva a terra. Dal braccio destro fuoriusciva sangue in gran quantità. < Mio Dio cosa hai fatto!>, disse Goffredo cercando di alzargli il capo. Intanto Artù, ripresosi era corso in soccorso dei due templari i quali nel momento esatto in cui Golgota era stato colpito, erano violentemente precipitati a terra.
Fortunatamente, Giuda Maccabeo e Giosuè, apparivano entrambi incolumi dalla caduta ed in compagnia di un rinvigorito Artù si diressero verso il corpo inanimato di Golgota. L'oscuro sicario del male stava morendo. < No… non può fi…finire c…così!>.
< Esatto, razza di bastardo! Non è ancora finita!>, gli rispose Giuda Maccabeo trapassandogli il cranio con tiro ravvicinato di balestra. In quel preciso momento la grotta fu attraversata da violenti tremori. Dalle alte volte della grotta le orde fameliche di frati morenti fuggirono da ogni parte. Poi i frati iniziarono velocemente a morire. In breve tempo i servi avevano fatto la medesima fine del loro padrone. Centinaia di corpi inermi erano ammassati ovunque. Golgota era stato sconfitto.
Ormai Ettore era allo stremo. Egli aveva sfidato la Clessidra ed ora era giunto il momento di pagarne il prezzo.
< Non potremo mai ringraziarti abbastanza valoroso figlio di Allah!>.
< Devo essere proprio alla fine se tu Goffredo pronunci il nome del mio Dio…>, sussurrò con un filo di voce il moro.
< Non vi è che un solo Dio e il nome con il quale gli si chiede aiuto non ha importanza…>, gli rispose Goffredo trattenendo a stento le lacrime. Intanto anche il resto dei paladini si era stretto attorno al loro eroe.
< Era l'unica possibilità>, continuò Ettore gorgogliando fiotti di sangue dalla bocca. < Lo sforzo è stato immane, ma n'è valsa la pena. Adesso lasciatemi qui! Il tempo stringe e noi non abbiamo ancora concluso il la…! Il lavoro>.
< Un giorno ci ritroveremo lassù dove ogni cosa è giusta…>, sussurrò Goffredo posandogli dolcemente il capo a terra.
< Sia lode ad Allah, Signore dei mondi, il clemente, il misericordioso, Re del dì del giudizio… A presto am…amici…mi…!>. Un ultimo tentativo di riprendere fiato poi Ettore reclinò il capo e il suo cuore si spense…>.

 

Il corpo del moro esce dal cerchio. Lentamente si adagia sul fondo della Clessidra. Il siero lo farà scomparire per sempre…

 

La notte sta per finire. Le prime luci dell'alba si apprestano ad illuminare la tetra fortezza del male…

 

I paladini iniziarono a correre. Si gettarono letteralmente nel cratere fumante, discendendone le ripide pareti. Sul fondo ad attenderli vi sarebbe stato il Signore del male!
< Gianni sta per cedere! Ancora qualche ora, forse, poi sarà stato tutto inutile!>, esclamò Goffredo scivolando veloce sulle fangose pareti di quell'oscuro cratere.
Finalmente la discesa terminò. I paladini si trovarono all'ingresso di un lungo cunicolo. Dal fondo nessuna luce sembrava filtrare. < Bene, amici miei. Il momento è giunto. Ricordatevi che qualsiasi cosa accada il prete Gianni deve essere ucciso! Solo così la sua anima sarà salva e con essa il mondo degli uomini !>, troneggiò Goffredo avviandosi con passo deciso all'interno del buio cunicolo. Artù, Giuda Maccabeo e Giosuè lo seguirono…
Non appena furono entrati, un vento ribollente li travolse. Goffredo cadde a terra mentre Artù, Giuda e Giosuè si ripararono il volto con le mani. < Presto dobbiamo aiutarlo!>, esclamò Artù accortosi che Goffredo si trovava in seria difficoltà. Il vecchio templare sembrava non essere in grado d rialzarsi. Artù si accorse immediatamente che il suo amico era caduto vittima di un qualche oscuro sortilegio. Il corpo di Goffredo divenne improvvisamente rigido e i suoi occhi apparivano iniettati di sangue. Ad un certo punto Goffredo iniziò ad esprimersi con una voce che non era certamente la sua. < Come osate discendere nel mio regno!>, tuonò una voce tenebrosa. < Lo sapevo che non dovevo fidarmi di quel maledetto templare!!>. I paladini, intuito che la voce si stava rivolgendo a Golgota, capirono, con estremo orrore che quella voce era il barbaro lamento del Maligno! < Goffredo...>, continuò, < sembra che le nostre strade si debbano incrociare sino alla fine… bene vedremo se tu e i tuoi pietosi compagni rivedrete la luce del sole…>. Di colpo la voce scomparve e Goffredo tornò in sè. < No… non… s…sono riuscito a difendermi, maledizione!>, balbettò il vecchio templare sfinito dalla terribile possessione. < Messer Goffredo il maligno è entrato in voi. Non credo che sarà possibile raggiungere il prete Gianni. Invalicabili forze ci ostruiranno il passo!>. Goffredo era molto debole. Giacendo a terra egli non poté fare altro che arrendersi. < Io non posso continuare oltre. Il Maligno mi ha privato di ogni energia. Egli non vuole concedermi di incrociare finalmente il suo sguardo. Ma non dovete scoraggiarvi. Ricordatevi ciò che vi dissi. Anche se uno solo di noi giungerà alla fine egli dovrà fare ciò che va fatto…. ah!>. Goffredo era sempre più debole. Le forze lo stavano abbandonando.
< Come faremo a trovare quel maledetto prete!>, disse Giosuè, con le lacrime agli occhi nel vedere il suo maestro ridotto in quel modo.
< Durante la possessione ho potuto vedere con gli occhi di Lucifero. Ebbene, al termine di questo tunnel sbucherete in una vasta grott…!>. Goffredo fece un profondo respiro, poi svenne…
< Forza muoviamoci! Tu Giosuè rimarrai a sorvegliare messer Goffredo. Tu Giuda seguimi!>., detto questo Artù corse verso il fondo del cunicolo, mentre Giuda Maccabeo, abbracciato Giosuè ed accarezzato il capo inerme di Goffredo, gli si lanciò dietro.
Lungo il tragitto, Artù cercava di capire a che cosa sarebbe andato in contro. Se Goffredo era stato battuto da una semplice possessione, come avrebbero fatto loro due a sconfiggere il Signore degli inferi?! Ma quello fu un dilemma di breve durata, poiché improvvisamente Artù e Giuda sbucarono alla fine del cunicolo, e come aveva svelato Goffredo si ritrovarono all'interno di una vasta grotta. Nessuno di loro riuscì ad aprire bocca. Ciò che si presentava davanti ai loro occhi era indescrivibile.
Fermi sull'orlo di un vorticoso precipizio, i due paladini osservarono il ribollente lago di lava che sbuffava ai loro piedi. Al centro del lago, sospeso a mezz'aria videro il prete Gianni. Questi, vittima di una sorta di sorda levitazione, stringeva fra le mani la sacra ampolla! Non sembrava rendersi conto di ciò che stava succedendo. Senza attendere oltre, Giuda Maccabeo impugnò la sua balestra e scoccò il dardo. Ma questo, dopo essere schizzato ad incredibile velocità terminò la sua corsa andando a disintegrarsi contro un'arcana barriera invisibile. I paladini si guardarono involto. Non vi era nulla che essi potessero fare. Il lago fungeva da invalicabile barriera. Improvvisamente udirono la terrificante voce di Lucifero che giungeva dal profondo della grotta.
< Se Dio possiede guerrieri di questa levatura, allora è mio sacrosanto diritto estirparlo del suo potere!>.
< Tu non potrai mai sostituirti all'unico e solo Dio!>, gli rispose Giuda Maccabeo divorato dall'ira.
< Il giorno è ormai sorto, ed ormai nessuno potrà fermarmi… ah… ah!!>. Lucifero sembrava aver chiuso la partita a suo favore. Il prete Gianni iniziò lievemente a schiudere gli occhi, mentre le sue mani incominciarono ad armeggiare con l'ampolla. Artù cercò di concentrarsi. Doveva esserci una via d'uscita. Tutte le loro fatiche, le morti dei compagni, non potevano essere state vane!

 

Goffredo parve essere allo stremo. Agli occhi di Giosuè il saggio templare sembrava essere in procinto di crollare. L'oscura infezione che la possessione demoniaca gli aveva provocato stava velocemente aggredendo le sue stanche membra. Giosuè cercò di fargli forza, ma entrambi erano al corrente della situazione. I loro compagni non sembravano in grado di portare a termine la sacra missione. L'alba era ormai prossima e Lucifero si trovava ad un solo passo dal successo.
< L'incantesimo dev…deve ess…essere spezzato!>, sospirò Goffredo stringendo con forza le fraterne mani di Giosuè.< La fede… dovranno avere fede!>.
Artù e Giuda Maccabeo erano paralizzati. Non vi era modo di sconfiggere l'invisibile barriera eretta dal Maligno. I dardi di Mefistofele continuavano a disintegrarsi contro di essa, mentre il prete Gianni aveva ormai aperto del tutto la sacra ampolla. < Siete patetici…>, tuonò nuovamente la voce del Maligno, < se vorrete salva la vita, giuratemi eterna fedeltà! Quel vecchio templare sta ormai morendo e voi non avete scampo. Giuratemi eterna fedeltà ed io farò di voi uomini ricchi ed immortali!>.
Artù e Giuda cercarono di concentrarsi su ciò che stava accadendo. Un modo di sconfiggere la diabolica barriera eppur doveva esistere. Improvvisamente Artù balzò nel precipizio. Giuda, incredulo di ciò che aveva appena visto, mandò un sordo grido in direzione del compagno. La sorpresa fu che sporgendosi dal baratro Giuda vide Artù sano e salvo.< Come pensavo!>, esclamò il re di Britannia.< E' tutta un'illusione! Tutto questo è illusione. Il monastero, i frati, i mostri, questo maledetto lago di lava! Tutto è frutto di una stupida illusione! Così, guardando il corpo fluttuante del prete, esclamò < Nel nome di Cristo io non credo a tutto questo!!!>. Allo stesso tempo anche Giuda gridò quella frase. Poi Artù lanciò con forza Excalibur la quale roteando nell'aria non solo penetrò la barriera ma andò a conficcarsi in pieno petto dello sventurato prete. Anche Giuda Maccabeo scagliò i dardi verso colui in grado di aprire la sacra reliquia. Questi sfrecciando attraverso la vasta grotta lo colpirono in pieno volto. Il prete Gianni cadde dalla sua eterea levitazione lanciando orribili grida di dolore. L'ampolla gli cadde dalle mani rotolando a terra. Il sacro sangue di Cristo si riversò a terra e con esso il corpo esanime del religioso. Goffredo ebbe un violento sussulto. Strinse con maggior forza, la poca che gli restava in corpo, le mani di Giosuè. < Pren…prendi la pergamena raggiungi i tuoi compagni… i valorosi paladini sono riusciti a sconfiggere Lucifero… prendila e fuggite subito da qui… tu… tu conosci la formula… presto va!>. Giosuè scostò il mantello di Goffredo e prelevò l'antica pergamena. Con un ultima carezza salutò messer Goffredo e correndo a più non posso si diresse verso i compagni.

 

< NOOOOOO!!!!!>, l'atroce grido di Lucifero invase ogni meandro del sotterraneo. L'intero monastero, l'intera montagna furono squassati da un violentissimo tremolio. Tutto attorno pareva essere in procinto di crollare. Tremende lingue di fuoco si sprigionarono nella grotta. Vapori nefandi si alzarono dalle viscere della terra. Artù e Giuda erano in trappola. Non potevano risalire il precipizio. Ma da esso con un lesto balzò piombò Giosuè. < Dove si trova Goffredo!>, esclamò Artù.
< Via, dobbiamo partire!!>, tuonò Giosuè mostrando ai compagni la pergamena.
< Io non partirò senza messer Goffredo!>, esclamò nuovamente Artù.
< Non c'è tempo, forza!!>, gli rispose Giosuè, mentre le alte volte della grotta iniziarono a sbriciolarsi. Giosuè srotolò la pergamena e pose la sua mano destra sul capo di Giuda, implorando Artù a fare la medesima cosa. Innescato, così, il contatto telepatico Giosuè pronunciò la formula di rientro: < ERGA DOMINI VOLTE TERGO!!!>.

 

I suoi occhi… L'indescrivibile sguardo del male…fu ciò che vide Artù un istante prima di scomparire

 

EPILOGO
Castello dei 9

 

Il siero vortica furiosamente emettendo assordanti lamenti. I corpi che in esso vi fluttuano lentamente riprendono vita. Poi un glaciale silenzio invade "il crocevia"… Sono tornati.

 

A fatica i paladini uscirono dalla grande ampolla inferiore della clessidra. Ognuno di loro cercava di sopportare silenziosamente i forti dolori che avvertivano dopo essere usciti indenni dal viaggio di ritorno. Artù, Giosuè e Giuda Maccabeo si guardarono con espressioni smarrite sui loro stanchi volti. La mancanza di messer Goffredo li aveva fatti precipitare di colpo in un profondo stato di costernazione.
< Non può essere vero!>, esclamò Artù, < il maestro non può essere morto!>. Nessuno dei compagni ebbe il coraggio di aprire bocca. Il fatto che Goffredo fosse rimasto al di là della barriera telepatica era un fatto incontrovertibile. Il vecchio e saggio templare non era riuscito a portare a termine quell'ultima missione. Il suo corpo privo di vita giaceva ora sul freddo pavimento di pietra del sotterraneo. Il volto sembrava rilassato. Finalmente Goffredo di Buglione aveva trovato la pace. Così, esausti ed infreddoliti i paladini risalirono verso i piani superiori della fortezza. Salendo la lunga scalinata, Giuda si voltò un'ultima volta verso le oscure cavità del crocevia.
< I nostri compagni sono caduti per la salvezza del genere umano… prego il Signore che nei giorni a venire di ciò ne sia valsa la pena…>. Dopodiché chiuse lentamente il grande portone alle sue spalle…

 

Ora, laggiù nel crocevia, regna nuovamente il silenzio

Simone Conti