Gli errori dell'adolescenza

Non ricordo molto di quella sera. Per la verità tutto era cominciato per scherzo… Era Natale, il giorno del mio sedicesimo compleanno. Avevo deciso di trascorrere una festa un pò alternativa, malgrado mia nonna mi avesse pregato di restare a casa almeno quella sera… Era mia nonna a mantenermi, dopo la morte di mia madre. Di quella sera ricordo solo il fuoco, l'orrore, l'inferno. Mia madre fumava a letto, Dio solo sa cosa, quando si addormentò e fu allora che il fuoco si accese sulla mia vita bruciando la mia infanzia. Per un pò vissi con mio padre, finchè il tribunale decise che non era adatto a mantenermi, poiché era disoccupato oltre che uno spacciatore. Diceva che opprimevo le sue possibilità di rifarsi una vita… Mia nonna decise di prendermi con sè, tutto purchè non accadesse ciò che era successo a mia madre. Quando nacque, la nonna aveva solo 13 anni e fu costretta, per evitare lo scandalo, a spedirla in un istituto. Pur non avendo interrotto i contatti con lei, non potè impedire che mia madre la odiasse. E' così che mi sono ritrovata a vivere nella periferia di Edimburgo, in un minuscolo monolocale con l'unica compagnia di una sessantenne. Facevo l'impossibile pur di non essere mai a casa, anche se si trattava di sbattere urlando la porta in faccia ad una donna anziana, anche se si trattava di aggredirla urlando, perché non volevo più vivere in quella topaia.

Quella sera ero tutta in tiro, con i miei nuovi anfibi che avevo costretto mia nonna a comprarmi. Non ero certo una bellezza, la classica dark, di nero vestita e pesantemente truccata; tanto da far pensare alle donne che per strada vendono la loro anima ad uomini più infelici di loro per pochi spiccioli. E la mia vita non ero certo differente, solo che io in cambio non avevo niente… Mi sentivo libera, protestando per la legalizzazione delle droghe leggere e facendomi montare dal primo conosciuto davanti agli occhi di tutti, in un bar. Avevo raccimolato qualche soldo esibendomi come spogliarellista in un locale nel centro, finchè non ero stata buttata fuori, tecnicamente perché ero minorenne e praticamente perché, dopo la chiusura del locale, arrotondavo gli incassi con altri tipi di lavoro… Non ero mai andata oltre ad un pompino però, la mia morale me lo impediva… Del resto era un'abitudine per me e le mie amiche saldare i nostri conti in natura, come avremmo potuto altrimenti permettereci di comprare vestiti o cosmetici così assiduamente? Anzi, molto spesso i conti non li saldavamo affatto...

E quella sera doveva essere la pazzia, la follia più assoluta. Per festeggiare il mio compleanno… Eravamo tutti bevuti e molto più quando cominciò il viaggio, l'incubo. Eravamo a casa di Nadine, eravamo nove persone tra ragazzi e ragazze, quando, col sottofono al massimo dei Led Zeppelin, che aveva già causato parecchie proteste, ci dedicammo all'invocazione degli spiriti passati. Secondo la mia natura, l'occulto rappresentava un modo come un altro per passare le serate, anche se nel mio profondo sapevo di avere una morbosa attrazione per tutto ciò che mi portava lontano dal volere di mia nonna. Volevo soltanto ferirla, come immaginavo lei facesse con me. Quella sera, però qualcosa spezzò la classica routine, nel bel mezzo della seduta le luci si spensero… Tra noi qualcuno rise istericamente e mi sentii eccitata al pensiero di un contatto così intimo con ciò che c'era oltre… Tanto che cominciai a bagnarmi e a sentirmi il clitoride inturgidito come un piccolo pene...
Il quadrante degli spiriti, luminoso al centro della stanza, viaggiava veloce, ma compose le ultime parole con una lentezza esasperante, tanto che, pur non essendo sobri, riuscimo a leggerle. ...Entrerò nel tuo corpo sotto forma animale e tu nemmeno, mia madre, saprai riconoscermi, mi concepirai e partorirai nel dolore e la tua…
La luce si riaccese e perdemmo il contatto. Dalla porta della cucina si affacciò un ragazzo, che, con noncuranza, entrò nella stanza e ci portò da bere. Sembrava che tutti lo conoscessero, ma io non ricordavo nemmeno il suo nome… dovevo smetterla con quei cazzo di acidi… Era alto e biondo, dagli occhi di un colore cangiante ed indefinibile, il suo nome, da quanto capii, doveva essere Dan. Quando mi prese per mano e mi trascinò in cucina nessuno sembrò stupirsene, il sesso era qualcose di abituale nella mia compagnia e non c'era nessuno dei miei amici o amiche che non mi avesse, almeno una volta, ficcato due dita dove non batte mai il sole. Dan mi prese così, come se gli fosse dovuto, su un tavolo da cucina.
Senza nemmeno curarsi di sparecchiarlo mi ci buttò sopra e mi tagliai con un piatto sbeccato. Comiciò a possedermi mordendomi un capezzolo, poi scese velocemente verso l'ombelico lasciandosi sulle labbra qualche goccia di sangue. Mi sentivo vergine di fronte al piacere nuovo che mi dava quel dolore… Poi mi sorprese ed eccitò staccandomi l'anellino d'argento che avevo sulla punta del clitoride. Il dolore mi avvolse e mi fece urlare ancora più forte di un orgasmo. Lui, imperterrito, mi spinse la testa tra le sue gambe. Quando si stancò di quel gioco, mi girò con violenza e sbattei la testa, mentre cominciava ad entrare, prima con le dita e poi col pene. Non mi ero mai bagnata tanto prima di allora ed ero quasi in imbarazzo mentre lui mi diceva: -Godi vero?- e rideva guardando le macchie rosse che si andavano formando sul mio petto. Riusciva a mettermi un dito nel retto e a sbattermi tutto insieme… Godevo come un animale selvatico quando cominciò una strana sensazione di dejavù, sentii il dolore della penetrazione forte come la prima volta che avevo fatto l'amore, ma quel dolore era dolce senza fine e avrei voluto durasse in eterno. Qualcosa si lacerò al mio interno quando sentii caldo il suo seme. Mi era venuto dentro…
Lui si staccò da me, si rivestì come niente fosse e se ne andò, tornando in salotto con gli altri. Mentre mi rivestivo, un rivolo di sangue mi scese dai pantaloni, come avessi perso la verginità per la seconda volta. Poi, troppo ubriaca per tenermi in piedi, chiesi ospitalità per la notte.

 

La luce entrava attraverso le veneziane colpendomi in pieno viso, erano le undici del mattino, mia nonna mi avrebbe uccisa, se non l'avessi uccisa io prima. Ringraziando, presi la moto e corsi verso casa. La porta era aperta e la nonna mi aspettava seduta al tavolo da cucina, doveva avermi aspettato sveglia poiché aveva un aria assente ed il viso segnato da profonde occhiaie. Mi aggredì urlando e piangendo, mi disse che non sarei più uscita, che lei stava morendo di preoccupazione per me, ma si fermò a guardarmi vedendo il sangue sgorgare dalle mille ferite aperte che avevo sul corpo.Quando mi spogliai davanti allo specchio, rimasi inorridita. Una ragnatela di graffi mi copriva torace, petto e schiena. Mia nonna mi interrogò al riguardo, ma neanch'io sapevo da dove provenissero.

 

Non mi tornarono le mestruazioni per uno, due, poi tre mesi e fu allora che iniziai a preoccuparmi. I miei seni erano così gonfi che sembrava stessero scoppiando e non riuscivo ad infilarmi nemmeno il reggiseno per il dolore che mi sentivo nei capezzoli tesi fino allo spasmo. La vita si era ingrossata ed il mio peso aumentato. Feci due più due e capii che ero incinta. Il padre poteva essere praticamente chiunque… Così cominciò il mio calvario… Una notte mi svegliai con un urlo, in preda ad un forte dolore nel basso ventre. Lì, vicino al pube, una ferita si stava allagando…
Ancora oggi ho decine e decine di morsi sulla pancia. Quell'incubo tornò per tutte le notti nei cinque mesi successivi… Tentai di abortire, ma ciò che avevo dentrò non volle rinunciare alla vita che gli avevo involontariamente donato. All'ospedale dissero che non potevano più niente, la gravidanza era troppo avanzata. Quella notte mi morse con più forza,voleva forse punirmi? Attendevo con ansia il momento del parto ricordando la profezia "mi concepirai e partorirai nel dolore".
Avevo ormai capito che il padre altri non era che Dan, venuto dal nulla e forse dall'inferno. Quando sentii le prime contrazioni, in anticipo di un mese, caddi sul duro, sporco pavimento e nessuno accorse alle mie grida, ero immobilizzata e troppo pesante per alzarmi… Dopo ore d'inferno, partorii su quel lurido pavimento e mio figlio mi si attaccò ad un capezzolo con tanta foga che temetti potesse staccarmelo. In seguito lo fece e fece molto di peggio. Mia nonna non poteva mantenerci tutti e due, ma sapevo che, se l'avessi abbandonato, mio figlio avrebbe succhiato ogni goccia del mio sangue. Scappai di casa e vendetti il mio corpo per mantenerlo.

 

Fu un bambino molto precoce, a 6 mesi già parlava, camminava e minacciava di uccidermi se non lo accontentavo in tutto. E mi minaccia ancora oggi, a soli 13 anni entra in me prepotentemente tutte le notti. Dal padre ha preso lo sguardo angelico e la passione per il sangue, il mio sangue.

 

Mio figlio è sempre lì,a ricodarmi gli errori della mia adolescenza…

Paolo Marcolongo