Il corridoio

Luigi spense nervosamente la sigaretta mezza consumata accartocciandola nel posacenere dell'auto che guidava nervosamente.
-Al diavolo!..- si disse - Ma chi me lo fa fare?
Non aveva alcuna voglia di recarsi dalla signora Cont, quel giorno. Sapeva già esattamente cosa sarebbe accaduto: come ormai avveniva da alcuni mesi, l'apprensiva signora Conti avrebbe iniziato ben presto ad elencagli tutte le ragioni delle sue ansie, delle sue disperazioni, delle sue paure. Ed erano ragioni che rasentavano la grettezza. No, Luigi non aveva assolutamente nulla di personale, contro la signora Conti, ma, accidenti, come si può arrivare a cinquant'anni, sposarsi, fare dei figli, e 'permettere' che la vita si riduca ad una perenne lotta contro preoccupazioni ruotanti attorno a due o tre fattori riassumibili con le parole 'lavoro', 'guadagno', 'liti con i vicini'? Nello specifico, la paziente di Luigi non si trovava certo in una situazione d'emergenza: a dirla fra noi, non credo che ci si debba ridurre in un simile stato d'ansia (focalizzato cioè sui fattori suddetti) quando si vive in un lussuoso appartamento di proprietà e si fruisce comunque di risorse ampiamente rassicuranti, materialmente parlando. Il lavoro della piccola ditta del marito, in realtà, non presentava alcun elemento che potesse creare una vera preoccupazione. Certo, sono tempi difficili per tutti, ci sono le tasse, c'è l'inflazione, ma nulla, credetemi, impedirebbe a me, stante il volume d'affari di quella ditta, di dormire sonni più che tranquilli.
Ma la signora Conti occupava sempre, per Luigi, una parte incredibilmente lunga del tempo che le dedicava ad elencargli le sue paure, le sue ansie a proposito della concorrenza, dell'invidia dei vicini, dei mutui con le banche..
"Basta!", avrebbe voluto dirle tante volte Luigi "Ma chi se ne frega della sua vetreria e della vicina di casa che vuole farle causa presso l'amministratore condominiale per costringerla a pagare la sua stessa quota d'ascensore! E della moglie di suo fratello che non l'ha mai potuta vedere e che, forse, le fa il malocchio. Non se ne può proprio più!"
Luigi era un pranoterapeuta e non uno strizzacrvelli. Ma, si sa: la cosa più importante, con il paziente, è sempre farlo sentire a suo agio, è instaurare un rapporto amichevole, compiacente e quasi confidenziale. E poi Luigi, per natura, era portato ad ascoltare tutti.

L'ansia della signora Conti, l'angoscia che sembrava trovasse sollievo solo dopo i trattamenti di Luigi, confesso che penso abbia ricavato più beneficio da quest'aspetto, diciamo così, interpersonale fra loro che non dal potere delle stesse mani di Luigi. Un potere nel quale, naturalmente, credeva senza dubbio, ma che riteneva con altrettanta certezza avrebbe un effetto dimezzato se non avesse applicato anche questa sorta di psicoterapia spicciola. Il discorso, beninteso, vale anche, anzi soprattutto, per le terapie tradizionali: quanti malati in meno avremmo se i medici fossero più attenti all'aspetto umano del paziente?
Così aveva cercato sempre di fare anche Luigi con la signora Conti. Ma, naturalmente, siamo tutti esseri umani ed evidentemente reclamava anche lui la sua dose personale d'ansia. Un'ansia che, ultimamente, si era fatta oppressiva, insistente e che lo privava della sua consueta disponibilità verso coloro che si affidavano alle sue terapie.
Certo, credo che ne avesse una buona ragione. Si trattava di un sogno, sì, di uno stranissimo sogno che ormai da quasi un mese lo tormentava ogni notte. Lo spiego brevemente: Luigi è nel suo letto, addormentato, nella stessa stanza in cui dorme ogni notte. Una debole luce, nella vetrinetta dei libri antichi, resta accesa conferendo alla stanza un'atmosfera rassicurante. L'orologio a pendola scandisce il tempo con il suo cadenzato ticchettìo ed il cane Birba, un 'bastardone' di quindici anni tipo lupo, dorme un po' rumorosamente sul tappeto arabescato al centro della camera.
All'improvviso, Luigi sogna di svegliarsi con il cuore in gola mentre la pendola batte le tre del mattino. In quel mentre, lo sguardo gli cade sulla radio-sveglia posta sul comodino accanto al letto e, oltre all'ora, nota che è da poco iniziato il giorno di sabato, 17 Giugno 2000. A quel punto, inspiegabilmente, 'qualcosa' spinge Luigi a scendere dal letto ed a vestirsi. Dopo di che DEVE aprire la porta della camera ed uscire sul corridoio. Lo fa, quasi senza una vera volontà, e.. si trova di fronte un uomo. Non distingue bene ciò che gli sta intorno, è tutto offuscato ed immerso in una luce irreale: sembrerebbe il suo corridoio ma c'è qualcosa di diverso, forse l'arredamento. L'uomo ha pressappoco la sua età ma è più alto e, a differenza sua, è quasi calvo. Gli dice qualcosa, parla, ma non Luigi non sente niente, vede solo muoversi le labbra. Il misterioso personaggio sembra preoccupato. E' evidente che si accorge di lui nello stesso modo in cui dimostra di volergli comunicare qualcosa, di volerlo toccare. Sì, toccare. Infatti, ad un certo punto, l'uomo allunga le mani verso Luigi, come si fa quando si procede a tentoni nel buio ed egli 'assorbisce' in sè quelle mani. Le ingloba, semplicemente, come se fossero entrambi dei fantasmi ma, nello stesso tempo, le teme e cerca disperatamente di sfuggirgli.
A quel punto, il sogno si fa confuso. Luigi percepisce una specie di scossa ed inizia a girargli la testa. Tutti i particolari del corridoio si illuminano improvvisamente, l'uomo svanisce ed ogni cosa gli rotea intorno sempre più rapidamente fino a che Luigi si sveglia di soprassalto madido di sudore.
Stress? Bisogno di riposo? Qualche altra dannata ragione psicotica? Può darsi. Aveva provato di tutto fin dai primi tempi in cui il sogno si presentava, puntualmente, ogni notte: training autogeno, meditazione, tecniche yoga, addirittura gli aborriti psicofarmaci senza alcun risultato.
Ora Luigi era stanco, preoccupato e, quel giorno, terribilmente spaventato.
Non possiamo compatirlo perchè, vedete, quel giorno era il 16 giugno..
Al mattino aveva cercato di assumere un comportamento 'normale' ma ormai il processo che lo aveva portato fin lì era giunto al capolinea. Giorno per giorno, all'avvicinarsi di quella maledetta data, si era scoperto impotente di fronte all'angoscia di qualcosa che sembrava attenderlo ineluttabilmente.
L'inquietudine di Luigi era plausibile, se si tiene conto che, fra le altre cose, aveva anche tentato di sottrarsi al sonno ma che, irresistibilmente, sentiva ogni notte il bisogno di dormire, un bisogno che lo obbligava ad infilarsi quasi disperatamente nel letto.
Luigi decise che, se davvero 'qualcosa' lo attendeva quella notte, gli sarebbe andato incontro, fatalmente, senza più opporvisi. Ma non era facile ignorare lo scorrere delle ore. Forse l'ultimo atto di sfida verso quell'evento che sentiva incombere su di lui era costituito dal voler lavorare fino all'ultimo giorno, di svolgere la sua attività e la sua giornata il più possibile come se il sogno, o se preferite quell'appuntamento con l'ignoto, non facesse parte della sua realtà.
Grazie a Dio arrivò la sera. Luigi era esausto. Saltò la cena e cercò di combattere ancora la sua battaglia ripetendo i consueti 'rituali' di ogni sera e di ogni notte. Guardò per un po' la televisione senza trovare nulla che lo interessasse, si mise al computer per sbrigare alcune relazioni di lavoro che svolse del tutto apaticamente, e condusse Birba a fare il solito giretto in strada prima di dormire.
Quando fu il tempo, si sedette sul letto e guardò per lunghi istanti il suo cane negli occhi. Sembrava così tranquillo, lui. Per un attimo sospettò che, se solo avesse potuto parlare, il cane gli avrebbe spiegato cosa stava succedendo e che lo avrebbe tranquillizzato. "Tutto regolare.", gli avrebbe detto "Non preoccuparti. Tutto regolare." Lo accarezzò ripetutamente sulla testa poi si mise a dormire..
L'uomo sorrise e, finalmente, Luigi lo capì. Gli parlò di un limite. Quel giorno era il limite. Già quasi un mese prima avrebbe dovuto seguirlo. Luigi trascurò sempre la sua pressione arteriosa, alta, troppo alta. La notte in cui il cuore gli sobbalzò nel torace prima di fermarsi non era pronto. Quell'uomo DOVEVA dargli ancora qualche giorno, un po' di vita! Diamine, quarantadue anni non sono poi così tanti per accettare serenamente l'ignoto!
Ora ricordava, sì: non voleva capire. Non voleva capire che ogni notte, a quell'ora, il misterioso personaggio si sarebbe presentato a lui per evitargli inutili ed angoscianti perdite di tempo, giorni fittizi a metà tra un mondo e l'altro. Ma Luigi aspettò, resistette fino all'ultimo giorno in cui questo era possibile.
L'uomo lo prese per mano trasmettendogli un senso di pace quale mai aveva provato.
-Vedi?- gli disse - Non è poi così difficile. Vieni.
Luigi cercò ancora, per un istante, di voltarsi indietro, verso la porta della sua camera. Pensò a Birba, al suo lavoro, ai libri antichi nella vetrinetta, alle cose che avevano fatto parte di quel mondo che non era più suo. Poi, un appagamento globale si impadronì di lui e chiuse gli occhi...

Antonio Bruno