Founding the Church

E' incredibile quello che ci è accaduto. Ed è ancora più incredibile che noi, ora, siamo in grado di raccontarlo. Gabriele, il ragazzo che era con me, mi sta osservando mentre scrivo questo documento. Ho voluto che ci fosse anche lui in quanto temevo di non riuscire a riportare tutti i particolari che ci hanno sconvolti.
Dopo le scoperte fatte, abbiamo corso al buio per tutto il sentiero, e siamo saliti sull’auto, partendo come pazzi e solo Dio sa come ci siamo salvati. Tutto è accaduto meno di dieci giorni fa. Stavamo facendo un giro per le campagne, alla ricerca di quei ruderi di castelli che tanto ci affascinano. Non cercavamo nulla di particolare, se non i resti di un antico castello nei pressi di due paesi poco distanti dalla città.
Era pomeriggio e non faceva nemmeno troppo freddo. Passato Larona imboccammo uno sterrato che, pochi metri dopo, era attraversato da una coppia di rotaie. Continuando senza sapere dove fossimo diretti e senza guardare la cartina, proseguimmo ancora per un paio di chilometri.
Mi pare di ricordare che attraversammo un piccolo paese abbandonato, al termine del quale vi era un incrocio, con strade sempre di terra battuta e di ghiaia. La serie di bivi e di incroci che incontrammo da lì in poi parve labirintica ed angosciante. In lontananza si intravedeva una strada statale, non molto affollata. Il rombo dei motori delle auto che vi transitavano arrivava alle nostre orecchie solo grazie ad un forte vento alzatosi da poco.
Senza alcun punto di riferimento proseguimmo, trovando addirittura una strada, stretta ma asfaltata, che passava tra alcune risaie. Poco dopo ripassammo dal primo incrocio. Questa volta notammo un cartello, di legno ed ormai illeggibile, che indicava la strada alla nostra destra. La imboccammo, visto che prima eravamo andati dritti. Questa scendeva lentamente, e più ci si addentrava in quello che sembrava un piccolo bosco pieno di rovi e di cespugli più il vento agitava i rami e le foglie secche, sempre con maggior vigore.

Tuttora, riacquistata una certa calma e lucidità, con cartine e mappe piuttosto dettagliate della zona, non riusciamo a capire dove fossimo finiti quel dannato giorno. Dopo aver attraversato circa metà della zona alberata, lasciammo la macchina lungo un tratto dove la strada si allargava leggermente. Un sentiero quasi impraticabile, in quanto non più battuto da molto tempo, portava verso i resti di quello che a noi, in un primo momento, sembro una vecchia chiesa di campagna. Superata una piccola collina, il sentiero scendeva per risalire nuovamente su un altro dosso. Le mura che avevamo visto da lontano ora si distinguevano chiaramente. Una chiesa, abbandonata ed in parte diroccata, era nascosta e quasi totalmente avvolta da rampicanti secchi. Ci avvicinammo incuriositi alla porta. Era un portone di legno, ben serrato su cardini spessi ed arrugginiti. Una breccia lungo il muro laterale destro della chiesa permetteva di vedere all’interno e, seppur col rischio di sgualcirci i giubbotti, di entrare.
Questo è quello che dieci giorni fa avevamo fatto, ma che ora, conoscendone le conseguenze, non rifaremmo mai più. Spezzammo qualche ramo con le mani e ci addentrammo. Parte del tetto era crollato e qualche pianta era cresciuta proprio nel mezzo della navata principale. Prestando particolare attenzione ai rami secchi e spinosi raggiungemmo il centro della costruzione. Ai nostri piedi vedemmo un cane, morto ma non da molto tempo. Aveva forse scelto quel luogo tranquillo per dormire o per ripararsi dalla pioggia; era lì, accasciato contro una parete dall’intonaco scrostato. Non facemmo caso alle travi crollate dal soffitto, ora ricoperte da rampicanti e nascoste dai rovi. La nostra attenzione fu attratta da una piccola botola in legno, semi nascosta dalla terra e dalla polvere. Essa si trovava all’altezza del transetto. Purtroppo era privo di quell’anello che, un tempo, permetteva di aprirla; inoltre era incrostata dalla sporcizia che in decenni di disuso si era accumulata.
In un primo tempo tentammo di forzarla con sottili assi di legno trovate lì accanto. Poi, prima con dei frammenti di intonaco ed in seguito con un coltellino svizzero, ripulimmo le scanalature lungo il suo perimetro. La quantità di terra che serrava quella botola di circa mezzo metro per mezzo metro indicava un lungo periodo di abbandono. Dopo alcuni tentativi cedette. Gabriele quasi cadde a terra, dopo aver strattonato quella botola fino ad aprirla.
Tra i nostri piedi si scorgeva un pozzo, privo di appigli, rivestito in muratura, coperto da ragnatele. Queste ultime erano talmente fitte da filtrare quasi totalmente la luce proveniente dalla nostra torcia elettrica. Utilizzando un ramo secco come machete decisi di aprire un passaggio e, quando stimammo la profondita del pozzo a meno di un paio di metri, vi scesi. Le pareti, costituite da grandi mattoni di pietra scura, erano anch’esse ricoperte da spesse ragnatele, e presentavano fori piuttosto profondi, della larghezza di un pugno, che si perdevano nell’oscurita. Stando in piedi, con le braccia alzate, potevo toccare il pavimento della chiesa. Solo in un secondo tempo notai che in fondo a questo pozzo vi era un passaggio. Da terra l’apertura arrivava al mio ginocchio. Decisi di illuminare questo passaggio, ma era coperto da una spessissima membrana appiccicosa. Ne ruppi una minima parte usando il bastone di prima che, alla fine del gesto simile ad una sciabolata, rimase incollato. Lo squarcio era netto, come se avessi strappato una fetta di un pane di burro, ma era una ragnatela. Il condotto molto probabilmente proseguiva, ma era impossibile entrarvi senza un’attrezzatura adeguata, come un machete molto affilato.
Decisi di risalire, facendomi aiutare da Gabriele. Chiudemmo la botola alle nostre spalle, sentendola cigolare sui suoi cardini arrugginiti. Proseguimmo con una rapida esplorazione lungo tutta l’area interna della chiesa, e poi su quella esterna. Pareva che, anticamente, quella chiesetta avesse un piccolo giardino che la circondava.
Mentre camminavamo per raggiungere il lato opposto del giardino, il buio era ormai sceso. Una sorta di sentiero ci aveva guidato vicino ad uno strano tumulo di pietre. Mentre ipotizzavamo su quale fosse lo scopo del passaggio sotterraneo, considerammo i più vicini castelli del posto, anche senza sapere di preciso dove fossimo. Il discorso cadde quando, raggiunta la piramide di pietre tonde, notammo, ai suoi piedi, degli animali morti. Morti non accidentalmente. Come in un rito sacrificale vi erano i resti di corvi bruciati tra le fiamme, impalati su bastoni e rami, come per formare un cerchio. Alcune carogne di gatti, che avevano subito lo stesso trattamento, intervallavano di tanto in tanto i corvi. Appena oltre quel cerchio il terreno era umido e fangoso. Il tumulo di pietre grandi come pugni ne era al centro. Nessun altro segno. Il vento che fischiava tra le piante, il crepuscolo che ci stava avvolgendo e le batterie della nostra torcia, ormai prossime all’esaurimento, contribuirono forse a farci vedere alcune ombre muoversi furtive nell’oscurità.
La presenza di qualcuno o di qualche cosa era avvertita da entrambi. Restammo immobili, con le mani ghiacciate, mentre sudavamo sulle tempie. I rovi e le altre piante lungo quel sentiero non permettevano di correre via senza incespicarvi. Dopo alcuni istanti ci parve di avere immaginato tutto. Era tardi e non potevamo stare immobili fino al mattino successivo. Decidemmo che la presenza fosse frutto della suggestione e ci voltammo per andarcene. Un attimo prima Gabriele si voltò per illuminare ancora una volta, con la debole luce che a stento usciva dalla sua torcia, quella piramide del sacrificio. Notammo che intorno ad essa non vi era del fango. Il terreno era reso appiccicoso da spesse ragnatele incollate sull’erba secca, sulle pietre e limitata dal cerchio di piccoli cadaveri. Era impressionante e macabro quell’altare abbandonato. Entrambi provammo ribrezzo e ci incamminammo verso la chiesa, per tornare alla nostra auto. Dopo pochi passi udimmo nuovamente un rumore, questa volta lo sentimmo chiaramente. Dalla chiesa, dinanzi a noi, provenivano ombre di archi che, partendo da un unico nucleo grande come un orcio, si muovevano spasmodicamente. Ma il rumore proveniva da dietro di noi. Era un rumore secco come quando si spezza un bastone di legno. Non volevamo voltarci. Eppure lo facemmo. Iniziammo a correre piu veloci che mai, quando capimmo che le pietre erano uova che si stavano schiudendo. Inciampammo piu volte e raggiunta la chiesa, dando uno sguardo veloce, vidi una sagoma enorme, quella di un aracnide dal corpo grande come quello di un cane. Il tronco e l'addome erano rivestiti da un opaco pelo nero lungo quattro dita, mentre il capo era ricoperto da lunghi peli unti che toccavano terra, impregnati di grassi e puzzolenti e densi liquidi secreti dalle sue ghiandole. L’abitante della chiesa, che si muoveva tra i banconi abbandonati, decise di lasciarci andare, sapendo che il suo ricordo sarebbe stato peggiore della morte.

Luigi Bavagnoli