Occhi di cane

Davide era appena tornato a casa dalla discoteca, i vestiti, i capelli, la pelle erano ancora impregnati di fumo e alcool, il cui odore si espandeva rapido nella cucina, dove il 23enne si era seduto a riposare il corpo flagellato da botte e colpi presi nella calca. La fronte grondava di sudore. I muscoli fremevano ancora ad ogni suono, al ronzio della corrente, al palpitio del cuore, al rimbombare di pensieri inutili. Davide pensò bene di farsi un bagno per ripulirsi dai suoni e dallo sporco, per rilassarsi e per non pensare; una doccia sarebbe stata troppo poco. L'unico inconveniente erano le scale; la sua casa era suddivisa su tre piani, ed in quello inferiore, trovavano posto la lavanderia, un'enorme sgabuzzino ed in un cantuccio vicino alla lavatrice la vasca da bagno. Il ragazzo scese nella lavanderia, accese le luci, aprì l'acqua calda e quella fredda, chiuse il tappo; mentre aspettava il riempirsi della vasca i suoi occhi vagarono per tutta la stanza, ma alla minuscola finestra vicina al soffitto si fermarono; la finestra si trovava all'altezza del terreno esterno in quanto la lavanderia era situata sottoterra. I suoi occhi si fermarono a quella finestra e videro un'ombra, poi l'ombra prese forma, prese la forma di un cane, un cane rossiccio e bianco, il silenzio della grande stanza si trasformò in tristi e lunghi mugolii; Davide non amava i cani, li riteneva stupidi senza sentimenti e senz'anima; ma quell'animale fuori dalla finestra sembrava avere un'anima, un'anima piena di tristezza; il giovane pensò che fosse stato abbandonato, e che volesse solo mangiare, trasformò l'immensa tristezza di quel cane in semplice fame. Ma ormai la vasca era piena, Davide si spogliò in fretta, entrò nella vasca e per non sentire i languidi guaiti, affondò la testa nell'acqua; quando ne uscì tutto era silenzio, tutto era pace; il ragazzo se ne fregò dell'accaduto e andò presto a dormire.
Erano le quattro e mezza di notte quando tornò a casa, dopo il pub, i suoi amici, avevano insistito a lungo per andare nella nuova discoteca; il rombo della musica, il calore dei corpi sudati sbattuti gli uni vicini agli altri, il fumo di sigarette e le luci psichedeliche rendevano necessario un nuovo bagno, anche quella notte Davide andò nella lavanderia; dopo aver riempito la vasca alzò istintivamente gli occhi, come per controllare che non ci fosse nulla alla finestra, ma appena il suo viso si allineò con i vetri impolverati e sporchi, un'angosciante lamento si levò verso di lui; forse spaventato, forse seccato, si gettò nella vasca ancora vestito, affondò di nuovo la testa nell'acqua, si rialzò gocciolante e di nuovo il fulvo solitario era sparito.

Il giorno dopo andò a farsi il bagno nella vasca, più per curiosità che per necessità; il risultato dell'esperimento fu sempre lo stesso, lo sconsolato guaito si fece risentire e rivedere; e questo avvenne ancora per i due o tre giorni successivi.
Una notte, Davide ormai esasperato dalla fastidiosa presenza scese in lavanderia, il triste cane era ancora là, ma c'era qualche cosa di diverso; il cane aveva spalancato i suoi occhi, azzurri e bianchi, quasi ipnotici; profondi ed abissali, gli occhi adatti per Dio, se mai fosse esistito; tetri e glaciali, gli occhi adatti per la morte, se mai li avesse avuti. Ma Davide aveva un'idea; voleva smetterla di nascondere la testa sotto l'acqua; salì rapidamente le scale, prese un tubo di metallo, ed uscì nella notte; voleva risolvere il problema alla radice, voleva eliminare il suo fastidio. Ma la notte era buia, e tutto era silenzio; il cane sembrava scomparso; quando all'improvviso irruppe un suono, triste e sincero, un latrato, poi nella notte due luci, azzurre e bianche; un tubo scintillante alto nel cielo; un mugolio come di tristi scuse; una fila di bianche punte, macchie rosse sul bianco.
Dopo qualche minuto il cane sedeva vicino al corpo esanime di Davide, un ululato profondo si levò dal suo petto, gocce d'acqua scendevano dagli occhi del fulvo animale, forse lacrime, forse sudore.
Poi la dolce belva guardò dispiaciuto il cadavere; si voltò in un'altra direzione; si mise a correre e a mugolare di dolore, pronto a scegliere un'altra vittima, ma forse non avrebbe pianto.

L.