Bimbo sporco

Mi riusciva difficile respirare, quei viottoli caldi e stretti e quel porfido a terra che mi rifletteva addosso tutto quel sole.
Non c’era un’anima in giro.
Sì... pensi alle tue cose, a quello che hai appena fatto, a quello che stai per fare... ma a volte proprio non ti aspetti le cose più banali.
Stavo tornando a casa di corsa, non vedevo l’ora di mettermi sotto il ventilatore, le porte delle case della via mi scivolavano attorno... le mura mi gettavano addosso il caldo che avevano assorbito per tutto il giorno.
Poi in un attimo una porta mi chiamò.
-Hai da fumare e da accendere?
Non era una porta, era un uomo distinto in giacca nera, mi venne una vampata di calore solo a guardarlo. Distinto era poco, sembrava uscito da un disegno, tutto in velluto nero i capelli corti bianchissimi...
-Allora caro Cristian, hai una sigaretta? Una Winston delle tue?
No. Non avevo mai visto quell’uomo, per un attimo lo fissai negli occhi attonito, ne aveva uno verde ed uno grigio.
Il mio nome, sapeva il mio nome: “Caro Cristian”.
Mi fissava sicuro di stupirmi, io lo guardavo in viso e non distinguevo più quale dei suoi occhi era quello verde e quale quello grigio; volevo solo tornare a casa percorrendo la strada di sempre, le case di sempre, le porte di sempre.
-Devo frugare io nella tua tasca destra Cristian? Mi devo servire da solo?
Continuavo a fissare il vuoto dei suoi occhi, lui allungò la mano e io lo lasciai fare, si accese una delle mie Winston con il mio accendino, sapeva che lo tenevo dentro il pacchetto.

Un momento... aspetta un attimo Cristian... le ha viste... le ha viste spuntare dai pantaloni... magari conosce i tuoi Cristian... sa come ti chiami...
No caro, io so chi abita vicino a me, questo non l’ho mai visto, è così strano... strano e normale...
Dai, non vedi che ti sta prendendo in giro? Ti ricordi quando eri piccolo e un amico di tua zia ti disse che sapeva cosa avevi fatto? Ti ricordi che solo per quella frase ti eri terrorizzato che sapesse dei giornali che nascondevi sotto il letto quando stavi da lei? In realtà non sapeva nulla e ti stava prendendo in giro...
I bambini si prendono in giro Cristian...
Sì dai, è così per forza... conosce i miei... sta facendo il suo gioco...
Bravo Cristian, sta giocando con te...

 

-Io ho smesso di ascoltare la mia mente da un po’ Cristian, è così chiassosa... fastidiosa..., non sto giocando con te Cristian... non conosco i tuoi... ho solo voglia di fumare e di farti sapere un po’ di cose...
Dio mio, aveva ascoltato quello che stavo dicendo.

 

Non stavi affatto parlando Cristian...
Zitto tu, maiale.

 

Dove diavolo eravamo? Ero sicuro di essere vicino a casa, non capivo più nulla.
Lui era ancora lì, con un mezzo sorriso mi fissava fumando, non avevo la minima idea di come avesse fatto a sentire le mie paure, ma non riuscivo più a preoccuparmene.
Ero avvolto dal fumo che gettava fuori dalle narici, mi sentivo quasi inebriato.
Presi una sigaretta dal pacchetto che l’uomo teneva in mano, la accesi.
-Che genere di cose dovrebbe farmi sapere?
Ancora quegli occhi strani, oscillavano dal grigio al verde, danzavano intorno al suo sorriso.
-Avevi paura vero? Temevi che scoprisse quel tuo luogo segreto... in mezzo alla polvere sotto il tuo letto, anche i bambini non sono sempre così puliti dentro, vero Cristian? Anche loro a volte sono sporchi... so che ti sentivi sporco... povera zia, lei che ti amava tanto per la tua dolcezza...

 

Basta ti prego, smettila Cristian, scappa... vattene... lascialo qui... non voglio più sentirlo...
No, voglio sapere, lui non può... io devo sapere perché sono qui...

 

Raccolsi tutte le energie che avevo per stringere i pugni e avere ancora il coraggio di chiedere qualcosa.
-Io non so come lei sia venuto a conoscenza di queste cose, ma se mi ha chiamato qui per parlare di qualcosa vada pure... sono stufo di aspettarla per i suoi giochi strani... quindi mi dica...
Mi lasciò fermo impalato davanti all’uscio della sua casa, scomparve nell’ombra dell’entrata, passi lenti e sicuri.
Stava tornando, aveva qualcosa con sè.
Mi porse un telefono cellulare.
-C’è una chiamata per te Cristian bimbo sporco...
Dopo due secondi il telefonò squillò, vibrava nelle mie mani. Guardai il numero che compariva nel display, lo fissai, lo avevo già visto, il vecchio in giacca tornò ridendo dentro casa.
Io conoscevo quel numero.

 

È il tuo numero Cristian, dai rispondi... non porti domande inutili... rispondi a quel telefono, sei qui per farlo, perché non rispondi Cristian? Mi sembra che conosci abbastanza bene chi ti sta chiamando...
Stai zitto brutto porco, io... io... tu non esisti.. questo vecchio del cazzo non esiste...

 

Risposi.
Era la mia voce.
-So cosa hai fatto bambino sporco, dovresti chiedere scusa...
La linea cadde subito, il telefono cadde dalle mie mani.
Scappai via da quella casa, la risata debole del vecchio rimbombava nella via stretta, si rifletteva nelle mura e nel porfido della strada, proprio come quel sole infernale che prima mi faceva bollire l’anima.

 

Inferno Cristian, l’inferno dei bambini sporchi... che nascondono le cose sotto il letto.
Zitto, stai zitto tu...

 

Arrivai a casa senza voltarmi, mi rinchiusi dentro sbattendo la porta e separandomi da quella giornata. Corsi in bagno e mi guardai allo specchio.
I miei occhi.

 

Sì Cristian, uno grigio ed uno verde... lo specchio sposta la destra verso la sinistra Cristian, lo specchio sei tu Cristian... ti manca solo un vestito nero di velluto ed i conti tornano...
Ti prego, smettila... io... ho paura... mi sento sporco... troppo...

 

Lavai il sangue secco che avevo nelle mani, ma quello raffermo sulle pieghe del palmo non andava via neanche con il sapone.
Gettai il coltello sotto il mio letto.
Per un po’ di tempo preferii restare solo.

 

Non lo sarai mai Cristian...
Zitto.

Cristian Tomassini