Comare Rosa

Agli inizi del 1900 la vita non era facile per nessuno nemmeno per quelle povere genti d'Abruzzo che vivevano una vita grama e desolata scandita solo dal passare delle stagioni.
In un piccolo e verde paese collinare del nostro arretrato Abruzzo, vivevano mio nonno Francesco e la sua famiglia composta dai genitori Giuseppe e Anna e i fratelli Betsabea, Carmela e Camillo.
Essi si sostentavano di quel poco che la campagna gli dava e forse vivevano felici, nel loro piccolo paese, incastonato su una roccia come una perla che si specchia nel mare cercando invano la sua immagine.
In questa piccola comunità la vita scorreva lenta scandita dai ritmi del giorno e della notte, dalle stagioni e dalle nascite e dalle morti. Questi erano, infatti, gli eventi maggiori che scuotevano la tranquilla vita di questo piccolo villaggio.
I genitori di Francesco, nel periodo estivo, si alzavano presto la mattina per andare nei campi a mietere il grano. Dopo essersi alzati, facevano colazione a base di patate fritte, fave e un bicchiere di vino. Dopo questa colazione andavano nei campi fino a sera, all'imbrunire tornavano a casa dove li aspettavano la moglie con prole se questa non aveva accompagnato il marito nei campi.
La domenica si riposava e Francesco e la sua bella famigliola, messosi il vestito della festa andavano a messa. Tornati a casa si andava a sbrigare le ultime faccende nei campi se si era lasciato qualcosa d'incompleto e la sera ci si riuniva nelle aie di queste piccole case rischiarate dai lumi ad olio che cercavano inefficacemente di vincere l'oscurità delle tenebre trapunte di stelle, le uniche luci che riuscivano a rischiarare le notti dei nostri padri.

In quest'atmosfera bucolica tutto sembrava normale ma in realtà non lo era perchè la famiglia di Francesco nascondeva un segreto che forse avrebbe condizionato la sua vita per sempre.
I genitori di mio nonno, solevano, infatti, tornare dalla campagna all'imbrunire, ed alcune volte lo trovavano ai piedi del letto piangente con il corpicino pieno di ecchimosi e lividi come se qualcuno lo avesse morso o picchiato, lasciandogli questi orribili segni sul povero corpicino inerme.
Una volta Giuseppe e Anna trovarono Francesco ai piedi della scala di legno che portava alla camera da letto, il piccolo piangeva a dirotto, come se qualcuno lo avesse voluto portare via ma non ci fosse riuscito perchè impedito da una forza esterna.
La casa dei miei avi, come quella della maggior parte delle abitazioni degli inizi dell'ormai secolo scorso, cioè il Novecento, era occupata da stanze distribuite in maniera diversa rispetto a quelle attuali. Essa constava di due camere: una che fungeva da cucina nella quale si viveva tutta la giornata e un'altra camera nella quale c'era un letto dove dormivano i genitori di Francesco mentre loro dormivano per terra o in piccole brande; questa camera era posta sulla stalla, così da risultare l'ambiente più caldo di tutta la casa.
La loro dimora era abitata da nove persone, quindi, essa non rimaneva mai incustodita e risultava oltremodo impossibile che qualcuno potesse introdursi senza essere visto, poichè nella loro piccola comunità, i miei bisnonni erano ben visti e apprezzati specialmente per la loro riservatezza. Giuseppe visto il ripetersi di questi fatti strani, iniziò ad allarmarsi e così pensa a forza di pensare, giunge alla conclusione che questi fatti siano di origine sovrannaturale. Così un giorno Giuseppe e sua moglie, spaventati da questi misteriosi fatti che si facevano sempre più frequenti e dalle continue cicatrici che non si contavano più sul povero corpicino di Francesco, decisero di consultare una strega di nome Rosa meglio conosciuta come comare Rosa, che abitava vicino ad una chiesa proprio a ridosso del castello costruito su una roccia di colore bianco, che alla luce fredda della luna s'illuminava, creando strane figure spettrali che contribuivano, così, a rendere il paesaggio sinistro.
Comare Rosa era una vecchina minuta con grandi occhi e con uno sguardo furbetto che lasciava immaginare la sua vera natura di strega. Rosa aveva un gatto nero che miagolava insistentemente e che saltava sopra una sedia per poi rotolarsi ai piedi della donna con affettuosa sottomissione. Appena i mie nonni entrarono e gli occhi luciferini del gatto si sovrapposero a quelli della donna come se lo sguardo dei due si fossero fuso in un unico sguardo malefico, ma rassicurante nello stesso tempo. Giuseppe ed Anna si sedettero nella minuscola cucina dalle pareti annerite dal fumo della lampada ad olio che contribuivano a dare un aspetto malefico a questa piccola casa che somigliava più ad un antro di una strega intenta nei suoi malefici che ad una cucina di un comune mortale.
I due visitatori esposero i loro problemi con dovizia di particolari, e così la comare Rosa spiegò loro che responsabili di questa situazione erano streghe malefiche che si alimentavano succhiando la vita del loro amato figlio. Rosa fece alcuni rituali magici così da allontanare coloro che stavano facendo del male a Francesco. Giuseppe ed Anna tornarono a casa con il cuore pieno di angoscia sperando che la strega li avesse potuto aiutare veramente a risolvere questo enigma che stava distruggendo la loro vita.
Passarono i giorni senza che succedesse niente di strano. Passò un mese e in una notte particolarmente chiara, in cui la luna sembrava un disco rosso che infuocava il cielo, con i suoi dardi infernali, una mosca dall'aspetto strano entrò in casa dei miei avi e si posò ai piedi di Francesco osservandolo per pochi minuti lunghi come un eternità e poco dopo l'insetto uscì ronzando da una fessura della finestra.
Da allora nè Francesco nè la sua famiglia furono più molestati da entità malefiche e mio nonno ebbe una vita felice fino a novantaquattro anni quando si spense come un lumicino, in un freddo venerdì di gennaio.

Nicoletta Travaglini