Lui e' tornato

di Timur Vermes - pagine 448 - euro 18,50 - Einaudi

In un giorno d’estate del 2011, a Berlino, Adolf Hitler si sveglia in un parco maltenuto, vestito della sua uniforme nazista che odora misteriosamente di benzina. I suoi ultimi ricordi risalgono a una sera di fine aprile del 1945, quando ha cenato con Eva Braun, da poco divenuta sua moglie. Non capisce subito di aver fatto un così lungo salto in avanti nel tempo, ma con meraviglia trova che la città e il popolo di cui lui aveva ordinato la distruzione e l’autoimmolazione, piuttosto che la capitolazione al nemico, esistono ancora. Hitler inizia a muoversi in questo mondo così diverso da quello che ricordava, un mondo che all’inizio neppure riconosce in lui incontrandolo il Fuhrer della Germania, e che quando lo fa, lo scambia per un somigliantissimo e abile sosia...

L’artificio letterario di calare la figura di Adolf Hitler nella realtà contemporanea non è nuova. Già in Quarto Reich di Henry Slesar, un Hitler anziano, scampato alla distruzione di Berlino e da molti anni esule in gran segreto in America Latina, viene rintracciato da un’equipe di scienziati che con rivoluzionarie tecniche farmaceutiche lo riportano al vigore e l’aspetto di un tempo, progettando apparentemente una nuova ascesa nazista. Del pari si sprecano le novelle distopiche in cui le forze dell’Asse hanno vinto la seconda guerra mondiale e la realtà contemporanea è modificata da questa deviazione della storia (da “La svastica sul sole” di P. K. Dick, a “Fatherland” e gli altri romanzi della saga di Robert Harris, e tanti altri).
Nel romanzo di Vermes ciò avviene grazie a una premessa scientificamente inspiegabile: Hitler effettua un salto temporale dalla primavera del 1945, l’epoca della sua morte e della imminente capitolazione finale della Germania nazista, ai giorni nostri senza subire alcun processo d’invecchiamento fisico. Come se fosse stato in ibernazione. La sua uniforme nazista puzza di benzina (quella che fu usata per bruciare il suo cadavere nel giardino?), gli duole misteriosamente la testa quando pensa alla sua pistola PKK, ma per il resto si sente in buone condizioni fisiche.
Dopo aver chiesto al lettore di accettare questa premessa scientificamente non plausibile e che resta del tutto priva di spiegazione nel corso della storia, il romanzo prosegue con l’intento, persino nei momenti paradossali e decisamente comici che si verificano lungo le pagine, di una narrazione dal taglio decisamente realistico. La storia è narrata in prima persona dal fuhrer (come se fosse, e in tal senso le ultime pagine del romanzo sembrano avvalorare questa interpretazione, un suo impossibile terzo libro, dopo La mia battaglia e i Monologhi dal Quartier Generale di Fuhrer, testi che l’autore ha ovviamente studiato e analizzato con attenzione), e questa scelta di prospettiva narrativa costituisce una della principali chiavi di lettura del romanzo, ovvero aprire una finestra sulla mente di Hitler. Uomo per concorde giudizio mentalmente disturbato, ma di cui probabilmente pochi nel darne un’analisi sono riusciti ad andare oltre o comunque non farsi condizionare dall’ingombrante “icona” che da quasi settant’anni turba i sonni d’Europa. Anche perché la domanda di fondo, inconfessata perché troppo scomoda, resta la segunete: se davvero si trattava di un pazzo, come ha potuto conquistare la guida politica della Germania “in un modo che sarebbe considerato democratico persino oggi” (cit. dal libro), approfittare della scarsa risolutezza e mancanza di coesione in campo internazionale delle potenze europee vincitrici della Grande Guerra per acquisire importanti annessioni territoriali, e infine condurre la sua nazione in un conflitto mondiale con esiti vittoriosi nei primi anni, peraltro su un fronte militare vastissimo che abbracciava due continenti, andamento mutato in modo sostanziale solo con l’intervento militare statunitense e la sopravvenuta notevole sproporzione delle forze e delle risorse nemiche in campo? E contando, tra l’altro, su una fedeltà notevole quantomeno del proprio popolo, se non proprio del suo stato maggiore, fin quasi agli ultimi giorni di Berlino.
Il romanzo prova a dare una risposta a questa e altre domande, tracciando il quadro di un individuo che a una logica ferrea seppure astrusa e ben più paradossale di quella di Zenone nelle sue argomentazioni, da cui nasceva l’assoluta convinzione della propria ragione, univa una notevole capacità e prontezza nel decifrare il carattere dei propri interlocutori. Non è del resto ignoto che molti soggetti psicopatologici hanno un forte carisma e ascendente su chi ha contatti con loro. Tuttavia ciò che il romanzo di Vermes pare lasciar intendere è qualcosa di diverso. Pare suggerire che Hitler avesse la capacità di far da catalizzatore di energia per le persone che lo ascoltavano, che intrattenevano rapporti con lui. Oltre a questa capacità sull’ascoltatore individuale, Hitler sapeva comprendere i fenomeni della massa. Il romanzo mostra come egli, superato l’impatto iniziale con la massiccia presenza di spot martellanti, notiziari lobotomizzanti organizzati in modo da non far percepire allo spettatore la reale gravità delle notizie, di cui è infarcita la televisione odierna, impara a interagire con entusiasmo, prontezza e ottimi risultati nei palinsesti televisivi come “sosia misterioso” che fa uno spettacolo provocatoriamente e satiricamente brutale.
Ancora, egli si destreggia abilmente nella homepage del suo sito personale, segue le visualizzazioni dei suoi più recenti filmati su youtube, che rapidamente, nello sconcerto di alcuni quotidiani e nell’acquiescente sonno della massa, fanno crescere la sua popolarità.
Sì, perché l’altra importante chiave di lettura del romanzo è, ovviamente la seguente: non solo come interagirebbe il vero Hitler nella Germania di oggi, ma soprattutto come essa lo accoglierebbe.
Ebbene, lasciando a voi naturalmente la scoperta degli eventi narrati, e dell’epilogo finale (ma aperto) della storia, potrete immaginare che siamo messi male. E, seppure molti riferimenti all’attuale situazione politica tedesca non possono essere estesi ad altre realtà nazionali, le impietose osservazioni che Hitler fa della società e dell’ambiente umano con cui viene a contatto, per quanti sia sgradevole ammetterlo, sono veritiere. Un mondo che ha perso spirito critico individuale e collettivo di fronte al bombardamento mediatico. In cui il confine tra provocatorio scimmiottamento della propaganda nazista e la seria, convinta e originaria manifestazione di tale idea sono divenuti indistinguibili. E il vero problema non è tanto che nel mondo attuale sia consentita l’espressione del pensiero nazista, perché ciò è espressione non solo di democrazia ma della libertà di manifestazione del pensiero, ma che manchino gli strumenti cognitivi e critici, a livello individuale e di massa, per riconoscerne l’intrinseca assurdità e follia. E per questo, e altri motivi, il redivivo Hitler, peraltro ossequioso al principio di Wilde “nel bene o nel male, purché se ne parli”, conoscerà una nuova ascesa.
Voto: 8
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit
Di sicuro è il popolo che mi ha sorpreso di più. Eppure ho fatto davvero tutto ciò che era umanamente possibile per distruggere la sua futura esistenza su questo suolo profanato dal nemico. Ponti, centrali elettriche, strade, stazioni ferroviarie: avevo ordinato che tutto ciò fosse distrutto. E adesso so anche quando: era marzo. Penso di essermi espresso molto chiaramente al riguardo. Tutte le strutture di approvvigionamento dovevano essere distrutte: centrali idriche, reti telefoniche, impianti di produzione, fabbriche, officine, fattorie... Insomma, qualsiasi cosa che avesse un qualche valore. Tutto! E intendevo davvero tutto! In certi casi bisogna procedere con meticolosità: un simile ordine non deve lasciare spazio ad alcun dubbio di sorta. Perché altrimenti si sa cosa succede: un soldato semplice - il quale, comprensibilmente, non possiede una visione strategica generale e non conosce i risvolti tattici riguardante la zona del fronti in cui si trova - arriva e dice, per esempio: “Ma devo proprio appiccare il fuoco anche a questa edicola? Non potremmo lasciarla nelle mani del nemico? Sarebbe davvero terribile se fosse presa dai nostri avversari? Certo che sarebbe terribile! Anche il nemico legge i giornali! E li commercia! Così userà anche questa edicola contro di noi, come tutto ciò di cui si impadronirà! Ribadisco: tutti gli oggetti aventi anche il pur minimo valore devono essere distrutti. Non solo le case, ma anche le porte. E le maniglie. E poi anche le viti - e non solo quelle grandi. Bisogna svitarle e piegarle senza pietà. La porta deve essere frantumata, ridotta in segatura. E poi bruciata. Perché altrimenti sarà il nemico a entrare e uscire inesorabilmente da quella porta, a piacimento. Ma con una maniglia rotta e delle viti storte e nient’altro che un mucchio di cenere, buon divertimento signor Churchill! E comunque, queste esigenze sono una brutale conseguenza della guerra: questo l’ho sempre avuto ben chiaro. Pertanto il mio ordine non avrebbe potuto essere diverso, anche se i retroscena erano differenti.