di Luca Guardabascio - pagine 140 - euro 11,00 - L'autore Libri Firenze
Terzo libro dello scrittore, regista e attore pollese (provincia di Salerno al
confine con quella di Potenza) Luca Guardabascio, qui alle prese col suo
genere preferito: il marron (così battezzato dall'autore quale unione tra il
giallo e il noir).
Strutturata in 18 racconti, "Uomini qualsiasi e giorni qualunque" mira a
tracciare un insieme in cui protagonisti sono uomini perdenti e falliti che
tentano un disperato testacoda per destarsi dalla melma sociale in cui sono
impantanati senza però riuscire a liberarsi dalle sabbie mobili in cui sono
precipitati (emblematico in tal senso il racconto “Ilo”).
Guardabascio
cerca di dare vita a un contesto variegato, sia a livello geografico (si va
dall'Italia, ai deserti Australiani, agli Stati Uniti, passando per il clima
rigido del Canada e finendo in contesti futuristici o fantastici), sia temporale
(si parla della caduta del comunismo o della legge che ha chiuso i manicomi o
degli Stati Uniti degli anni '80) che sociale, con testi finalizzati a
comunicare un qualcosa che va ben oltre all'intrattenimento e che spesso è così
forte da pregiudicare la dinamicità del testo. Siamo dunque alle prese con
un'antologia che fa del pessimismo il suo biglietto da visita (non è un caso se
quasi tutti i protagonisti vanno incontro alla morte o al suicidio). All'autore
interessa caratterizzare i personaggi, i loro difetti, i loro vizi e i loro
sogni, mostrando poi come la realtà sia crudele e proponga sorti assai lontane
dai desideri. Ne deriva un impianto dove il lato drammatico delle vicende supera
di gran lunga quello fantastico, orrorifico o noir di volta in volta proposti
come sfumature superficiali atte a ricoprire il medesimo trait d'union.
Comune a tutti i racconti, e ciò non è necessariamente un pregio (perché alla
lunga diventa un po' stucchevole e prevedibile), è l'abitudine dello scrittore
di introdurre soggetti che si sviluppano lentamente per poi subire colpi di
scena volti a ribaltare la situazione o comunque la ricostruzione mentale che il
lettore va facendosi della vicenda. Tranne due casi, forse in omaggio a Bukowski
e al suo “Storie di ordinaria follia” (guarda caso questo titolo appare come
sottotitolo dell'antologia, così come comune ai due lavori sono le
caratteristiche dei vari protagonisti), i testi sono raccontati in prima persona
(nel caso dell'autore campano da soggetti che alla fine si scoprirà esser
morti).
Non sempre però sono riscontrabili i citati punti comuni. Ci sono varie
eccezioni riconducibili a dei testi che paiono esser stati inseriti più per far
numero che per un'affinità col progetto base. Tra questi segnalerei gli unici
due horror a 360 gradi (seppur parodistici) ovvero “Cenere alla cenere”
(testo divertentissimo dal taglio Sheckleyano, in cui un vampiro cerca di
ottenere l'immortalità bevendo il sangue di sei vergini e divorando il cuore di
una settima donna, fallendo il tentativo proprio all'ultimo a causa di una
sorpresa finale) e “Play death boy” (testo impersonale che pare uscito
dall'antologia “Il libro dei morti viventi” con uno zombi che cerca in un posto
un po' inusuale il diamante scelto per la propria fidanzata), ma anche il
surreale e simpatico “Fanculismo” in cui un avvocato disonesto cade
vittima della maledizione di un cliente che lo ha mandato a quel paese (che si
scoprirà essere una dimensione popolata da creature mostruose) nonché il fiacco
sci-fi “Paura dei giochi” che ribalta (in modo non perfetto) il rapporto
giochi-bambini con questi ultimi vittima di giochi bizzosi.
Gli altri 14 racconti invece hanno molto in comune, anche se il livello
qualitativo non è sempre della medesima importanza. Alcuni testi, infatti, sono
confezionati in modo poco accattivante e assumono valenza di mere riflessioni
come “667” (condannato a morte riflette sugli errori della propria vita e
sul senso dell'esistenza) o il delirante “Cos'è la paura?” che,
nonostante vari spunti interessanti che vanno al di là della religione e della
filosofia (accostabili a una penna del calibro di Poe), si perde in uno sviluppo
non sempre chiaro; altri invece, a mio avviso, non son ben calibrati e finiscono
per toccare poco le corde emotive del lettore come lo sconclusionato “Stronzo”
(a metà strada tra la riflessione e la parabola, con un epilogo assurdo) o la
gangster story dalla partenza lentissima e dal finale in crescendo, seppur
rovinato da un epilogo deludente, “Lo chiamavano inferno”. Non entusiasma
neppure “Un democratico popolare” anche se qui il testo riesce a
coinvolgere a dovere ed è presentato con gusto visivo (due uomini in treno si
trovano a faccia a faccia, uno di loro è un serial killer ma la polizia
scambierà i due, arrestando la persona sbagliata. Purtroppo, nonostante la
volontà di sorprendere il suo pubblico, i colpi a sorpresa sono telefonati e
restano più cose un po' confuse).
I restanti dieci racconti sono meritevoli di maggiore attenzione, con alcune
perle che resteranno scolpite nella mente del lettore. Il racconto più originale
è il noir “Sotto il bar di Hooker”. Abbiamo un giovane barista che vive
col sogno di diventare un ranger, finché, in una notte d'inverno, fa un incontro
che gli cambia radicalmente la vita. Una bellissima donna entra di corsa
all'interno del suo bar e chiede di esser coperta, rintanandosi in uno
sgabuzzino. Poco dopo entrano nel locale due poliziotti: stanno cercando il
malloppo che il sindaco aveva raccolto per il rifacimento delle fognature della
città. Il gruzzolo di denaro è stato rubato da una setta i cui componenti sono
stati già arrestati. Ha inizio così la parabola discendente che porterà il
barista a bruciare il proprio bar e ad accordarsi con la donna, l'unica ancora
in libertà a conoscere dove siano stati nascosti i soldi ed è un luogo
impensabile per una mente sana... Il racconto è coinvolgente con Guardabascio
che trova un'originale soluzione per far nascondere alla sua protagonista il
denaro. Epilogo tristissimo e malinconico che rappresenta la massima “il denaro
non fa la felicità”.
Ancora donne fatali protagoniste in “Amori di un uomo normale”. Qua un
Don Giovanni fa incetta di conquiste, a danno della fidanzata finché non si
innamora di quella che crede essere la donna ideale. Il giovane, però, non sa di
avere a che fare con la ex tutta rifatta in cerca di vendetta. Racconto molto
ironico che fa leva su un'idea di fondo assai pessimista: la donna dei sogni non
esiste, ma è un'idea confinata nella nostra mente, la realtà è molto squallida e
ripresenta minestre riscaldate. Finale mega splatter.
Si prosegue con testi dall'intelaiatura gialla, in cui donne assassine si
disfano di vecchi mariti disabili economicamente da spolpare (“Afa”) e
mariti cercano di sopperire ai debiti di gioco spolpando fisicamente la propria
moglie (“Il cadavere del vedovo”, testo violentissimo e ben strutturato,
ispirato a fatti di cronaca nera verificatesi nei paesi dell'Est Europa dopo la
caduta del comunismo, con pratiche quali il cannibalismo e l'abitudine di
spacciare al mercato nero carne umana per cavallo).
E' poi il turno della solitudine tipica degli emarginati sociali quali vecchi
barboni - destinati a un triste destino e a caccia di vestiti da rubare e
rivendere per quattro soldi - (“Manie di persecuzione”) o disabili che
credono di essere suore di clausura abbandonate da parenti e da leggi ipocrite
che decretano la chiusura dei manicomi (“Il giorno che si decise per me”).
Non possono poi mancare truci assassini che i cittadini considerano integerrimi
compaesani ligi alla disciplina come l'acrobatico idraulico “Ilo” che, da una
tubatura all'altra, porta con sprezzo del pericolo l'acqua alle nuove ville
australiane e fuori dal lavoro passa il tempo in risse e atti di bullismo
(racconto claustrofobico narrato con grande talento, di sicuro tra i più
riusciti dell'opera, che ricorda un po' “La cadillac di Dolan” inserito
nell'antologia "Incubi & Deliri" di King e che vedrà il protagonista
intrappolato nelle sabbie mobili e torturato da quelle vittime che si era
divertito a pestare poco prima di rimanere invischiato nella trappola mortale) o
lo scemo del villaggio di “Tu” che viene eletto dal popolo come unico
eletto a rispondere alla voce tumultuosa che rimbomba dal cielo nel giorno che
tutti credono essere quello del giudizio universale (racconto apocalittico che
sembra uscito dalla penna del folle Howard Fast).
Si chiude con un testo Browniano, alla “Sentinella” per intenderci, intitolato “Dismorfobia”
il quale sottolinea la soggettività della bellezza e come questa sia un valore
legato al contesto ambientale e storico in cui un essere vivente si trova a
essere inserito piuttosto che a un valore, per così dire, matematico.
Nel complesso un'antologia elegante, con pochi refusi e una prefazione notevole
che delinea il progetto e l'ambizione iniziale dell'autore: parlare di uomini
qualsiasi in giorni qualunque, dei loro sogni e di come questi si infrangono
nell'apatica realtà quotidiana. Racconti dunque vicini alla realtà, più
drammatici che altro (salvo un pugno di eccezioni). Tra alti e bassi (alcuni
soggetti non riescono ad andare oltre alla mera riflessione, mentre altri sono
troppo diluiti nei loro prologhi con relativo appesantimento della dinamicità
del testo), nel complesso più che sufficiente grazie a un pugno di racconti
altamente qualitativi. Autore da tenere d'occhio.
Voto: 6,5
[Matteo Mancini]
Incipit dal racconto "667"
Pensavo che lo scrivere fosse qualcosa che potesse crearti emozioni, uno
psiconalizzarti in un certo qual modo uscendo dalla tue ansie, studiando la tua
routine, dove tutto è vana disperata voglia di diverso che sfocia sempre e solo
nella quotidianità.