Nessun futuro

di Luigi Milani - pagine 512 - euro 12,90 - Casini Editore

Kathy Lexmark, trentenne vee jay newyorkese in un momento particolare e delicato della sua vita professionale e personale, si appassiona alla vicenda di Phil Summers, leader dei Chaos Manor, rock band di culto della prima metà degli anni ’90. Qual è la verità sull’incidente automobilistico in cui Summers rimase coinvolto, che costò la vita alla sua compagna, e che segnò l’inizio del suo degrado artistico e umano? Davvero la sua defunta compagna, una cantante di origini creole, sarebbe stata la discendente di una potente sacerdotessa voodoo? E, infine, Summers è davvero morto nella metropolitana di Londra, ormai ridotto a un povero barbone, o invece in qualche modo egli è sopravvissuto?

Romanzo non precisamente etichettabile, questo Nessun futuro è in fondo e soprattutto una sorta di dichiarazione d’amore e desiderio di rievocazione nei confronti della storia della musica rock e la cultura pop degli ultimi cinquant’anni. Se è vero, infatti, che il personaggio di Phil Summers ricalca forse fin troppo facilmente e fedelmente, quanto meno dal punto di vista iconografico, la figura di Kurt Cobain, monolito del rock degli anni ’90, lungo le pagine del romanzo vengono ripercorse le tappe e riannodate le fila delle varie stagioni della musica rock dagli anni ’60 a oggi, non solo per le dotte citazioni contenute nel testo ma anche grazie all’inserimento nella trama dei suoi stessi protagonisti più rappresentativi (tra cui David Bowie e Keith Richards). Quindi motivo conduttore della trama è questo intento rievocativo, che oscilla tra ricerca quasi filologica della cultura pop e racconto generazionale (l’effetto amarcord è spesso dietro l’angolo, almeno per il sottoscritto, soprattutto quando si parla di rock degli anni ’90, periodo che corrisponde effettivamente all’epoca della mia adolescenza). In questo plot si inserisce da un lato la vicenda umana della protagonista narrante, una trentenne in crisi umana e professionale che si accosta al mistero sulla sorte di Summers, musicista “maledetto” già per le sue scelte artistiche e umane (il nome della sua band, Chaos Manor, cita un immaginario film horror con Vincent Price; Phil si lega sentimentalmente a una cantante di origini creole e in odore di stregoneria, per giunta) e poi per il suo tragico destino (l’incidente che costa la vita alla compagna e lo allontana progressivamente dalle scene e dalla musica; la sua presunta e misteriosa morte nella metropolitana di Londra) e dall’altro l’ala del mistero a sfondo (forse) sovrannaturale: Phil Summers è veramente morto? Cosa c’è dietro le piccole ma misteriose coincidenze e le strane sensazioni che vive Kathy nel corso della sua lunga ricerca documentaristica?
Nel suo complesso il romanzo è ben scritto e scorrevole, con una buona caratterizzazione dei personaggi. Dopo un ottimo incipit e una prima parte piuttosto intrigante, in cui la ricerca fatta dalla protagonista sulle tracce della rockstar maledetta entra nel vivo, verso la fine del libro la storia tende forse ad avvitarsi un po’ troppo attorno alle disavventure sentimentali e professionali della protagonista narrante, a scapito non solo della scorrevolezza, ma anche dell’elemento sovrannaturale della storia. Elemento soprannaturale che, fino alla fine, resta confinato nell’ambito di una “sensazione” perturbante ma comunque impalpabile. E molte domande, giunti all’ultima pagina, risulteranno rimanere senza risposta...
Voto: 6
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit
Il luogo, la stretta strada del lungolago di Oakville, Canada.
L’ora, le tre del mattino.
Protagonisti della scena, una coppia di giovani.
Unica spettatrice, almeno fino a un attimo fa, la luna. Ora anche lei preferisce celare il pallido volto dietro una coltre di nubi densa come bitume.
I fari della tua Porsche rischiarano a tratti l’asfalto viscido. Non dovresti stare al volante, non nelle tue condizioni. E neanche potresti, se ricordi bene: ti è stata ritirata la patente per guida in stato di qualcosa.
Dai finestrini filtra nell’abitacolo l’odore acre della terra bagnata. È piovuto da poco, e il fondo stradale è sfuggente come le mani di quei politicanti da quattro soldi che sono venuti a trovarti in camerino al termine del concerto. Pacche sulle spalle, sorrisi ammiccanti, si sono fatti riprendere in pose amichevoli con te e la tua donna. Manovre strategiche per accattivarsi le simpatie dell’elettorato giovanile.
Te ne sei liberato in fretta, e non posso certo biasimarti per questo. Poi però non hai voluto sentir ragioni. Scaricato l’autista, non hai seguito il resto della band a cena. Hai convinto Marie a salire in macchina con te e, nonostante la stanchezza mortale, siete partiti.
Non è stata una buona idea, ammettilo.