Cambio di stagione

di Maurizio Cometto - pagine 275 - euro 15,00 - Il Foglio Letterario

Qualcosa di misterioso accade a Torino nella stazione ferroviaria di Porta Nuova, e Fabrizio Corsi pian piano lo mette in relazione allo strano comportamento delle persone intorno a lui. I due gatti che dividono con lui il suo appartamento spariscono misteriosamente. Ma sono davvero andati via dalla sua casa? E chi è l’autore delle mute telefonate che riceve? In un’altra stazione, una fermata della metropolitana ancora non funzionante, misteriose ombre si addensano sulla banchina chiusa al pubblico...

Questo romanzo di Maurizio Cometto può agevolmente prestarsi a una duplice chiave di lettura. In primo luogo ci viene presentato il protagonista – voce narrante, un trentenne torinese intristito da un banale lavoro d’ufficio e una esistenza solitaria, con amicizie e relazioni sentimentali insoddisfacenti e instabili. Nelle pagine del libro, la sua vita subisce progressivamente degli eventi strani, sconvolgenti e spesso irrazionali che sembrano essere slegati tra loro, e senza apparente soluzione di continuità temporale, con l’unico elemento comune del riguardare sempre la sua vita e il suo microcosmo. In fondo questo libro ha già in questo una sua valenza, come “antologia” (sia pure non tout court) di situazioni perturbanti, narrate con assoluta maestria. Un perturbante sottile, strisciante, che subdolamente si annida tra le pieghe della realtà crescendo e formando bubboni infetti d’irrazionalità, che poi implodono lacerando il tessuto dell’esistenza logica. Tuttavia, lungo la lettura pian piano queste situazioni perturbanti iniziano a ricomporre un mosaico arcano e misterioso. Il quadro (forse) di un’esistenza parallela e concreta che sta al di sopra (o al di sotto?) di quella che ci viene mostrata. Una realtà che trasuda concetti metafisici e spiritualità egizia, in cui si parla di doppelganger, proiezioni dell’anima e superamento delle barriere della materia. Fino a un finale che lascia spiazzati. Ma il lettore viene accompagnato per mano, in modo tale da non sentirsi tradito, da Maurizio Cometto. E alla fine, non potrà che apprezzare la capacità dell’Autore di trasporre su carta l’inquietudine suprema che alberga nell’uomo moderno in quest’inizio di millennio: l’illusorietà e precarietà della realtà in cui vive e interagisce, pronta da un momento all’altro a sgretolarsi come una lastra di ghiaccio sottile, per catapultarci forse dal sogno nella vera vita, o farci precipitare nel baratro di una notte senza fine.
Voto: 8
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit
Guardo l’orologio sul comodino: le tre e trentacinque. Parker e Betty sono svegli. Mi fissano con i grandi occhi rotondi, seduti sulle zampe posteriori.
Attraverso le fessure della tapparella filtra una luce strana. Mi alzo, vado alla finestra e tiro su l’avvolgibile quel tanto che basta. Sbircio all’esterno.
La luce è verdastra. Cosparge l’asfalto, i muri, le auto parcheggiate. È come quando il vento proveniente dal deserto porta sulle cose una luce arancione, solo che qui è verde.
Alzo ancora un po’ la tapparella.
Parker e Betty balzano sul davanzale, si strusciano contro il mio petto, poi si siedono a guardare insieme a me.
La luce ha un epicentro. È una specie di grande fungo, in lontananza. Sembra quasi l’effetto di un’esplosione.
Laggiù, verso la stazione di Porta Nuova.
In strada non vedo nessuno, non passa neanche un’auto. Il silenzio è totale. C’è solo quel fungo di luce giù a Porta Nuova, che riverbera su tutto.
Forse sto solo sognando.
Mi sento d’un tratto più debole. Ho le palpebre pesanti, le ginocchia mi cedono. Non trovo neppure la forza di riabbassare la tapparella. Casco sul letto, riesco appena a tirarmi addosso le lenzuola. Dal davanzale Parker e Betty mi osservano. La luce verde si riflette nei loro grandi occhi rotondi.
L’ultimo pensiero è che loro, Parker e Betty, loro due forse sanno.