di Autori vari (curatore Karl Edward Wagner) - pagine 233 - Newton
Karl Edward Wagner, noto e validissimo scrittore horror con la
passione per Robert E. Howard, si cala nell’infausto ruolo di
selezionatore di racconti. Nell’occasione raccoglie quelli che ritiene i
migliori horror dell’annata 1984, a prescindere da una qualsiasi
comunanza di argomenti o di stile.
Abbiamo infatti testi splatter (pochi per la verità), altri di atmosfera
e persino alcuni comico/grotteschi.
Vengono così proposti diciotto
racconti di diciassette autori diversi (due testi sono di John Gordon),
alcuni dei quali famosissimi come Stephen King e Ramsey
Campbell, altri piuttosto noti e spesso presenti in questo tipo di
antologie come Dennis Etchison, David J. Schow e Charles Grant, infine un trio di scrittori secondari (credo che non
si offendi nessuno se si definiscono in tal modo scrittori del calibro
di Gardner Dozois, David Langford e John Gordon) e
un ampio gruppo di sconosciuti molti dei quali con una sola
pubblicazione tradotta in italiano (Daniel W. Barber, Fred
Chappell, Jovan Panich, Vincent McHardy, John
Brizzolara, Leslie Halliwell, Charles Wagner, Roger
Johnson, James Hamesath).
Ne deriva così un insieme molto eterogeneo che susciterà la curiosità
del lettore più appassionato e sempre bramoso di conoscere nuove penne.
Purtroppo lo spirito magico che governa la speranza inizia presto a
evaporare. Karl E. Wagner osa nel mettere in campo un manipolo di
giovani scommesse, forse perché limitato da un budget che non gli
permetteva di pescare tra gli scrittori di maggior blasone, ma ne viene
fuori un’antologia che perde l’azzardo del suo curatore. Al vecchio
Stephen King, con “La scorciatoia della signora Todd” (inserito
anche nell’antologia “Scheletri”), tocca il compito di “tirare la
carretta” con uno dei racconti più qualitativi dell’antologia (ma la
concorrenza, come abbiamo anticipato, era tutt’altro che competitiva).
King propone una storia che rievoca ricordi lovecraftiani con una
signora (la Todd di cui al titolo) specializzata nel percorrere delle
scorciatoie lungo sentieri bizzarri che sfuggono alle regole della
realtà e che le permettono di ringiovanire.
Il racconto di King, pur essendo tra i migliori, è “superato” da l’unico
vero gioiello (seppur humor) dell’intera raccolta, cioè “La cosa
nella camera da letto” per la firma del gallese David Langford.
Vincitore di vari Premi Hugo (principale Premio internazionale di
narrativa fantascientifica), Langford propone uno dei suoi classici
racconti parodistici. “La cosa nella camera da letto” infatti è una
folle e divertentissima parodia delle detective story con indagatore
dell’occulto protagonista. Nella fattispecie viene messo in scena un
indagatore che, all’interno di un bar, racconta agli astanti una delle
sue ultime avventure. Ingaggiato per risolvere l’enigma di un fantasma
che funesta le notti delle clienti di un albergo, il detective si
troverà costretto a procurarsi vestiti da donna e a truccarsi in modo
consono per stimolare la presenza dell’ectoplasma che pare manifestarsi
solo in presenza di donne attraenti. Il “nostro”, però, scoprirà, a sue
spese, di avere a che fare non con lo spirito di un defunto, ma con una
parte di corpo che un cliente ha perso all’interno della stanza, perché
rimasto incastrato in una porta; una parte di corpo che si muove come un
verme e che pare fluttuare per la stanza in cerca di orifizi in cui
rifugiarsi. Davvero una delle storie più folli che mi sia capitato di
leggere...
Si distingue positivamente anche “Non crescere mai” di John
Gordon, una storia più tragica che horror in cui un bambino, orfano di
padre (che si è suicidato per i continui dissidi con la moglie) e con
una madre che si disinteressa completamente di lui, si confessa davanti
alla tomba di una bambina morta cento anni prima, parlando dei suoi
problemi in famiglia e svelandole di aver ingurgitato una dose letale di
barbiturici.
Leggermente inferiori, ma comunque in grado di offrire una lettura più
che gradevole, seppur tutt’altro che trascendentale, “Zona di confine”,
“Fari mortali” e “Lo spaventapasseri” tutti e tre di
autori sconosciuti e cioè John Brizzolara, Charles Wagner (per questi
due si tratta del loro unico racconto tradotto in lingua italiana) e
Roger Johnson.
Il primo, forse il migliore della terna per la sua capacità di suscitare
una crescente tensione, parla di una pattuglia della polizia di
frontiera americana alle prese con strane presenze nella notte di
Ognissanti. I due agenti sono convinti di veder fuggire tra le rocce dei
canyon centinaia di clandestini; in realtà, una volta illuminata a
dovere l’aria, scopriranno di aver avuto davanti solo arbusti secchi o
forse la realtà era un’altra e si erano trovati sommersi in un gruppo di
fantasmi di uomini morti nel tentativo di varcare la frontiera...
Sulla falsa riga di “Zona di confine” è “Fari Mortali”. Il racconto di
Wagner (nessuna parentela con il curatore), come quello di Brizzolara, è
ambientato di notte e ripropone un’ambientazione road movie con
l’inserimento di fantasmi che si aggirano sulla Statale. Nella
fattispecie abbiamo due fanali abbaglianti, posti su un auto invisibile,
che seguono le auto che percorrono la Statale 24 per illuminare gli
interno degli abitacoli. Si tratta dei fari dell’auto di un ragazzo
deceduto qualche anno prima, mentre vagava accecato dall’ira sperando di
sorprendere la sua ex ragazza in compagnia del nuovo fidanzato.
Meno votato alla tensione, ma con dei momenti interessanti è il terzo
dei racconti sopracitati, il quale porta in causa niente meno che dei
monoliti - alla Stonehenge - attorno ai quali graviterebbe una
maledizione. Al centro del racconto c’è uno spaventapasseri, piantato
proprio vicino alle pietre, che si anima nelle notti di luna piena e
carbonizza coloro che decidano di sfidare l’area definita la “Porta
dell’inferno”. Un temerario paga a sue spese la sua irriverenza nei
confronti dell’occulto.
Interessante sotto il profilo onirico, nonostante sia tutt’altro che
originale, è “Storie misteriose” di Fred Chappell (autore che
vanta altre due pubblicazioni con racconti sempre di ispirazione
lovecraftiana). Chappell ricrea atmosfere lovecraftiane e lo fa
esplicitamente, visto che il suo protagonista viene presentato come un
amico di Lovecraft che cerca di escogitare un metodo per spostarsi nello
spazio e nel tempo sfruttando le formule matematiche. L’uomo è spinto
dal bisogno di gettare luce sulle origini del mondo e sui giganti che
dominavano il passato e che potrebbero ritornare in gran segreto per
imporre la loro egemonia. Durante l’esperimento, lo scienziato viene
catapultato in Antardide, mentre altri, entrati nella sua stanza,
assistono sbigottiti ai fatti. A seguito della scoperta lo scienziato
muore, mentre Lovecraft e il poeta Crane (confidente dello scienziato)
troveranno la morte negli anni successivi braccati da demoni onniscienti
liberati a causa dell’esperimento.
Gli altri undici racconti sono l’uno più deludente dell’altro. Si va dal
seppur gradevole e kinghiano “La fine del mondo” di James
Hamesath, in cui una coppia di coniugi viene importunata dal gestore di
un distributore che vuole convincerli a vendere il figlio agli indiani
in cambio della pioggia (bello l’epilogo con i genitori che rifiutano ma
rimangono coinvolti in un incidente stradale, in cui perde la vita il
figlio, subito seguito da un temporale), ai racconti via via sempre più
scadenti in quanto noiosi (pallosissimi, scusatemi il termine, i
racconti di Grant e Schow su cui tornerò in seguito) oppure pieni zeppi
di luoghi comuni (“Mani dalle lunghe dita” di Leslie Halliwell
che tratta il tema della stregoneria senza un briciolo di inventiva
rispetto alla montagna di racconti ottocenteschi e del primo novecento
sul tema) o finalizzati a forzatissimi colpi di scena finali, peraltro
intuibili già a metà racconto perché, altrimenti, la storia non avrebbe
avuto altra ragione di esistere (“La tigre nella neve” di Daniel
Barber o “Il cane” di Gordon o ancora “Invito a cena” di
Dozois). La palma del peggiore va, in stretta fotografia col racconto di
Schow, ad “Angoscia per i ricordi” di Vincent McHardy che
costruisce una storia, peraltro non facile da seguire (perché costruita
su una serie di dialoghi, con flashback poco sensati che si inseriscono
tra un dialogo e un altro) che crolla nelle ultime quattro righe con un
finale posticcio che cozza con tutto il resto.
Una parola più nel dettaglio per i racconti dei blasonati, e a mio
avviso un po’ troppo sopravvalutati, Ramsey Campbell, Dennis Etchison,
Charles Grant e David J. Schow qui tutti abbondantemente sotto la
sufficienza e con racconti decisamente banali.
Campbell presenta una storia, “Attento all’uccellino” (titolo
italiano orrendo), che pare esser stata scritta di getto, tanto da non
avere una vera e propria fine e risultare piuttosto strampalata. Abbiamo
uno scrittore che indaga su degli strani episodi che si verificherebbero
all’interno di un pub, fino a scoprire che nei sotterranei del locale ci
sono dei morti che si rianimano quando qualcuno legge le scritte slave
che tappezzano le mura del bagno pubblico (!?).
Se il racconto di Campbell, nonostante un soggetto debolissimo, rievoca,
in alcuni frangenti, le giuste atmosfere, sono noiosi e squilibrati
nella gestione i racconti degli altri tre. Etchison (con “Quattro
chiacchiere al buio”) ripropone il tema dello scrittore amatoriale
in stato di depressione che riceve la visita del suo scrittore
preferito. La particolarità del soggetto sta nel fatto che lo scrittore
in questione, oltre a essere un abile autore di romanzi, è un assassino
di scrittori amatoriali (!?) che cerca di cogliere spunti utili per i
suoi romanzi incentrati sull’orrore (soluzione banale).
Troppo diluiti i racconti di Grant (“Hai paura del buio?”) e di
Schow (“Prossimamente, in un cinema sotto casa”) che si perdono
in trame intricate (soprattutto il secondo) relative a un orrore
astratto (quello di Grant può fare effetto su un pubblico di
adolescenti, visto che parla di un gruppo di bambini che giocano a
nascondino nel buio); il secondo racconto, addirittura, è un autentico
delirio con un personaggio che finisce per vedere scarafaggi dappertutto
fino all’assurdo epilogo (che di fatto non è un epilogo, perché la
storia si tronca d’improvviso senza una fine vera e propria).
In definitiva “L’Orrore del buio” è un’antologia che, a parte
qualche racconto, si legge molto bene ed è di pronto e veloce consumo.
Purtroppo, ha un taglio troppo commerciale con racconti che, quasi nella
loro interezza, gravitano attorno a un orrore che ha in Matheson il suo
principale ispiratore (elementi irrazionali e poco verosimili che si
inseriscono nel contesto reale, senza alcuna magia esoterica o
metaforica).
Non è di sicuro la peggiore antologia che mi sia capitato di leggere, ma
per essere un’opera che ambisce a raccogliere i migliori racconti horror
scritti nel 1984 mi sembra che il risultato finale sia piuttosto
deludente. Di sicuro fiacche le storie presentate dagli scrittori di
maggior grido (a parte King, gli altri crollano).
Voto: 5+
[Matteo Mancini]
Incipit (introduzione Karl E. Wagner)
Così siete sopravvissuti, eh? Ora vediamo se riuscite a sopravvivere
a L'orrore del buio, che presenta diciotto dei migliori racconti
dell'Orrore pubblicati nel 1984.
Il vero orrore è stato quello di cercare di limitare le scelte per
questa raccolta dei migliori racconti dell'Orrore. Forse George Orwell
voleva avvertirci che il 1984 sarebbe stato un anno eccezionale per la
Narrativa dell'Orrore. Questa antologia avrebbe potuto benissimo essere
grande il doppio di questo volume, e ci sono volute diverse notti in
bianco per decidere quali racconti escludere a causa delle limitazioni
dovute allo spazio. Forse l'anno prossimo qualcuno scriverà un racconto
dell'Orrore su questo.
In ogni caso, L'orrore del buio rappresenta il meglio del meglio di un
ottimo Anno. Come al solito, i racconti sono stati scritti da un
miscuglio di nomi famosi e di scrittori nuovi e/o familiari. Scorrendo
l'indice vediamo che la metà degli scrittori è già comparsa almeno una
volta in questa serie, mentre per l'altra metà si tratta della prima
volta.
Le fonti di questi racconti vanno da riviste e antologie del genere a
piccoli giornali e libri economici, a riviste letterarie o specializzate
per uomini e donne. Un racconto proviene dall'opuscolo pubblicitario di
un congresso, un altro da un libro comico. I racconti poi vanno
dall'Orrore più «normale» a quello macabro. Troverete sia l'Orrore
contemporaneo che i racconti tradizionali sul Soprannaturale. C'è
fantascienza accanto all'humour nero e alla fantasia più cupa.
Questi racconti sono stati selezionati senza tener conto di alcun tabù,
dei Grossi Nomi, o di un particolare sottogenere di Orrore. È stata
setacciata la produzione annuale di racconti brevi per trovare quelli
che avevano il potere di agghiacciare, sia mediante il gelido terrore
che con brividi poco rassicuranti.
Ecco i diciotto racconti del 1984 che sono riusciti meglio ad evocare
gli aspetti dell'Orrore.
Tredici volumi sono quasi un record per qualsiasi serie antologica
annuale. L'eccellente serie di Judith Merrill dei migliori racconti di
fantascienza e fantasy dell'anno comprende tredici volumi (con vari
titoli) dagli anni Cinquanta fin verso la fine degli anni Sessanta. La
serie dei Migliori racconti dell'anno della Fantascienza di Donald
Wollheim è l'unica altra serie che sia durata così a lungo.