Five fingers - Cinque dita

di Luca Barbieri - pagine 180 - euro 15,00 - Il Foglio Editore

Five Fingers”, inutile girarsi intorno, è un’altra perla curata da Vincenzo Spasaro per la casa editrice “Il Foglio Editore”.
Si tratta di un’antologia con ambientazioni western dalle forti contaminazioni horror.
Luca Barbieri, genovese classe 1976, dimostra a livello tecnico un talento portentoso (certificato anche dal primo posto nel Premio Rill nell’edizione 2009) che non ha niente da invidiare a quello dei più famosi scrittori professionisti del nostro panorama (anzi, ci sarebbe da dire l’opposto).

Attento nella scelta delle parole e nell’utilizzo di termini ad hoc, Barbieri proietta il lettore in contesti lontani, non appartenenti alla nostra cultura, e lo fa con la disinvoltura di uno scrittore d’oltreoceano.
Piuttosto che alla filmografia western italiana (come paventato da altri recensori), Barbieri attinge dalla narrativa pulp e dal fumetto. Le cinque storie proposte sono molto dure e in alcuni frangenti crudeli come proiettili che spezzano le ossa del lettore (penso allo stupro presente ne "L'Antico credo", ma anche ai macabri particolari dell’impiccagione di "Cicatrici" con il condannato che perde gli escrementi sulla folla, e infine allo sbranamento di un pistolero a opera di un gruppo di cani randagi, in “Vivere da uomini, morire da topi”).
I racconti sono spesso crepuscolari, intrisi di un background malinconico che pervade il narrato e che nasconde un pessimismo che lascia dell’amarezza nell’animo del lettore sensibile.
Prima di passare a una breva analisi dei cinque colpi che Barbieri ha inserito nella sua colt dalla forma di libro, occorre segnalare che ciascun testo è preceduto da una pagina dedicata a un dito della mano a cui viene attribuito un significato metaforico sviluppato dal racconto che lo segue.
Polvere di legno nero” è l’elaborato che apre l’antologia. Si tratta di una sorta di revenge movie - come si direbbe al cinema - con un pistolero a caccia di una vendetta che cova da 11 anni e che ha in un uomo dal volto sfigurato il suo punto di arrivo. È probabilmente il testo meno graffiante del lotto, seppur qualitativo e con un finale ben calibrato. Segue “L’antico credo degli insepolti” che propone una storia all’interno di un’altra storia (aspetto che trovo affascinante e che, personalmente, ho sfruttato anche in qualche mio testo). Qui siamo alle prese con un soggetto forse un po’ troppo diluito che ha nel suo prologo e nell’epilogo i suoi punti di forza. La trama vede un cow boy solitario entrare all’interno di un cimitero, in cerca di un posto dove riposare. Qui viene avvicinato da un becchino (ancora una volta col volto sfigurato) che lo invita a raccontare una storia per placare lo spirito dei morti che vagano nel luogo maledetto.
La storia che il cowboy narra è una storia terribile fatta di stupri e smembramenti di rara crudeltà. Dietro a simili delitti c’è un indiano, braccato da un manipolo di soldati che faranno una brutta fine.
La lettura scorre con il testo più crepuscolare e ironico (un’ironia nerissima) dell’antologia, ovvero “Vivere da uomini, morire da topi”. Il titolo è esemplificativo della storia che si andrà a leggere, con un guerriero indiano e un celebre pistolero alle prese con la vecchiaia e i malesseri del corpo. Il cancro che corrode i due, però, non risparmia neppure la città: il progresso avanza implacabile a cancellare il romanticismo del west. Notevole la parte finale del racconto, un po’ troppo diluita la parte centrale. A mio avviso, con qualche taglio il racconto acquisisce un effetto ancora superiore, perché più concentrato.
Cicatrici di roccia sopra l’anima di un assassino” ruota attorno a un’idea piuttosto semplice. Tutto è incentrato sull’impiccagione di un delinquente e sulla triste consuetudine di accaparrarsi i feticci del condannato da parte dei presunti civili. Un ragazzo povero, che fa la conoscenza del figlio di un giudice, riesce a infiltrarsi in questo assurdo mercato e strappa un macabro cimelio.
L’antologia si chiude con il racconto che più ho preferito, una storia che non avrebbe sfigurato nella celebre rivista weird tales. Mi riferisco a “Ciò che banshee porta con sé”, senz’altro il racconto più fantastico del lotto.
Qui veniamo catapultati in un fortino militare che cade vittima di una maledizione preannunciata dallo spirare del vento del nord. I soldati, a poco poco, finiscono preda di un grosso lupo e della morsa del vaiolo scatenato da una partita di coperte infette. Notevoli le caratterizzazioni dei personaggi, perfetta la gestione del racconto. Davvero una perla rara nella narrativa underground. Eccellente.
Per chiudere non posso che ripetere che ci troviamo al cospetto di un’antologia graffiante e violenta, capace di conferire prestigio qualitativo alla casa editrice e alla sua sezione “fantastico e altri orrori” che vanta nel suo catalogo, peraltro, un’antologia come “L’incrinarsi di una persistenza” di Maurizio Cometto (gli editori di blasone farebbero meglio a sfogliarla).
Consigliabile l’acquisto per gli amanti del pulp e della narrativa horror (nonché western, è implicito).
Voto: 7
[Matteo Mancini]

Incipit (dal racconto “Polvere di legno nero”)
L’erba era corta e dura, bucava la terra come una corona di spine; una terra polverosa e sterile, arroventata dal sole e cosparsa di rocce dai bordi taglienti come lame di rasoi; una terra fatta di cenere, adatta forse ai rettili, ma non all’uomo. C’erano ciuffi di piante spinose ai bordi della strada e macchie scure di pioppi, più lontano, a colorare l’orizzonte, come croste di vecchie ferite sul dorso di un cane randagio.