di Francesco Scardone - pagine 172 - euro 12,00 - Mjm Editore
Ecco un altro romanzo d’esordio. Al tatto la carta con cui è stampato si
presenta di qualità, la brossura è ben fatta, i caratteri sono larghi a
sufficienza per consentire di leggere senza aguzzare la vista. Nello
sforzo di valutare con obiettività il lavoro della giovane realtà
editoriale che ha dato alla luce Necrophylia, cercherò di focalizzare
sui pro e i contro.
Una tra le prime cose notevoli è l’assenza di un indice, probabilmente
dovuta alla totale carenza di capitoli, persino di quelli senza un
titolo e individuati da un semplice numeretto romano. Tutto ciò può
esser preso come si vuole, voglio dire: una tantum può apparire un
segnale di originalità anche se ad alcuni darà fastidio.
Passiamo alla trama. In sostanza essa ci consente di dividere il testo
in tre porzioni, più o meno di egual misura.
La prima, l’inizio, presenta il protagonista di cui a memoria non ho mai
letto il nome. Si tratta di un necrofilo, come è possibile intuire, e
passa la vita tra l’obitorio (postribolo dei propri insani bisogni,
luogo di lavoro e d’amori) e la casa della nonna, per certi versi più
malata di lui. Nella sezione centrale un evento imprevisto cambia le
abitudini di questo soggetto, rivelatosi attraverso le pagine come un
assassino oltre che spostato mentale. Seguirà una radicale svolta
narrativa, in grado di far sperare per una guarigione. L’epilogo non lo
svelo.
Se avessi dovuto limitarmi a considerare solo il primo terzo del volume
avrei probabilmente espresso un parere negativo, per la semplice ragione
di non aver trovato molto in gran parte d’esso. Qualcosa accadrà, però
in fondo abbiamo solo un pazzo fortemente intenzionato a parlare di sè e
di quanto il lettore sia simile a lui, ragione per cui lo stuzzica con
una serie di interrogativi:... Poetico vero quello che ti racconto?... Dimmelo tu ciò che faccio
e sbaglio?... Hai notato questa particolare
verità sul mondo? Secondo me non lo avevi fatto. E così via. Si procede
spesso per flash back, la narrazione è lenta a progredire; in alcuni
tratti ho avuto l’impressione di leggere un saggio. Per di più la
punteggiatura lascia a desiderare, nonostante lo stile personale
dell’autore, piuttosto riuscito nel rendere i pensieri del necrofilo.
Ecco mi sembra di aver evidenziato alcune tra le ombre più importanti.
Ora passiamo alle luci. Dopotutto, infatti, il desiderio di continuare
c’è, ci trascina oltre l’incipit conducendoci con gradualità nel vivo
della storia. Può darsi, magari, che Francesco Scardone abbia tentato di
rendere con una certa gradualità il processo di immedesimazione del
protagonista. La forza trainante delle immagini scioccanti e/o poetiche
ricorda alcune scene di "Non aprite quella porta" (la versione del 2006,
sebbene la violenza di Necrophylia non stia negli spargimenti di sangue)
ed "American beauty". Il ritmo, dunque, accelera e il libro inizia a
somigliare a una catena organica di eventi dove ti avvicini alla vita di
un uomo non comune, dove il quotidiano è strano per definizione. La
ricchezza di idee e la profondità dei messaggi si accompagna alle
avventure di personaggi non scontati. Si va da Luisella, l’infermiera
abituata a dipingere alberi e pirati nelle pareti di casa fino ad Azuz,
negretto ex-gigolò.
Anche nello sviluppo, comunque non mancano i dubbi: uso talvolta poco
comprensibile dei tempi verbali e soprattutto eventi che per esser
considerati verosimili richiedono in tributo uno sforzo di fantasia,
quasi a voler convincere fino alla conclusione di aver solo vissuto un
complicato viaggio immaginario nella testa del narratore.
Vorrei concludere parlando della caratterizzazione di uno dei personaggi
principali. La già citata Luisella, compagna di vita per alcuni giorni
del protagonista, finisce per esprimersi con un linguaggio volgare non
dissimile dal registro con cui il partner racconta la propria realtà. E’
solo un impressione personale ma mi sembra che questo le tolga la
femminilità mostrata altrove. Così pare d’intravedere dietro l’agire
dell’infermiera, o del fidanzato, sempre la stessa persona e cioè
l’autore.
Complessivamente i contenuti premiano Scardone, ma li rivedrei.
Voto: 7
[Gianluca Giannattasio]
Incipit
Il problema di lavorare con i morti è che ti accorgi fin da subito
quanto poco rassomiglino ai vivi. Voglio dire. Hai mai visto un essere
umano così docile da starsene fermo e buono mentre gli ficcano un tubo
su per il culo che arriva a solleticargli la gola? Oppure un altro che
si fa sbattere, senza opporre la minima resistenza, in una fredda buia
celletta senza implorarti di non farlo no, non puoi: soffro di
claustrofobia! Un morto è, in pratica, un essere umano perfetto...