Il cerchio muto

di Gianfranco Nerozzi - pagine 593 - euro 18,60 - Editrice Nord

Clorinda ha diciotto anni e un padre ossessivo, che la imprigiona in casa, impedendole di vivere la sua vita. Ma questa notte, il giorno in cui diventa maggiorenne, vuole scappare, fuggire, e respirare finalmente tutto ciò che ancora le appare alieno, misterioso, affascinante.
Franco invece è un bullo, un pilota esperto, pronto a far rombare la sua auto truccata in una corsa all’ultima frenata, quella che lo dividerà da un burrone, meta ultima se non si fermerà in tempo.
E infine Chiara, vice questore, chiamata a indagare sul fenonemo degli incidenti notturni, delle stragi del sabato sera, che rimarrà invischiata in una vicenda di motori e fantasmi.
Su tutti, aleggia l’inquietante, oscura, enigmatica figura di Saverio Mastri, padre di Clorinda e stimato scultore sciamano.
Si aspettava con una certa curiosità il ritorno di Gianfranco Nerozzi, ora approdato a una casa editrice, la Nord, capace finalmente di dargli il giusto risalto e la legittima pubblicità guadagnatasi in tanti anni di scrittura nera, contorta, virtuosistica e perversa.

E "Il cerchio muto" illumina, sin da subito, le doti narrative dello stregone bolognese. Nerozzi innesta atmosfere apocalittiche in scenari urbani, comuni, deviati ma concreti, e lo fa attraverso una minuziosa ricerca lessicale che, come sempre, genera macabra poesia e musicalità invidiabile. Ogni parola, ogni termine, viene soppesato e bilanciato per trovare posto in frasi brevi, di grande effetto, frasi che, giocando con il suo vasto glossario, strizzano il lettore, lo rincorrono, lo asfissiano. E si crea una struttura angosciante, teatro di un continuo cambio di prospettiva, di tempo verbale, di narratore.
Perché ciò che colpisce, ne "Il cerchio muto", non è tanto la trama, ma il rigore chirurgico con cui viene esposta. L’impalcatura, contorta e complessa, offre infatti i punti di vista di tutti i personaggi, protagonisti o meno, che scontrano le loro vite in una vicenda lugubre e opprimente. E quindi si potranno analizzare gli eventi clou da tante angolazioni diverse, da differenti modi di concepire il male, da discordanti vie di vivere la furia soprannaturale che permea la storia.
Storia che, però, dopo un’apparente promessa di originalità, di contesti insoliti e di meraviglie ancestrali, si assesta su lidi noir-thrilleggianti con una spruzzata d’horror, senza mai sconfinare oltre certi limiti schematici che, nel complesso, impediscono di ubriacarsi di sorprese man mano che si avanza nella lettura.
Vengono poste molte aspettative nella parte finale del romanzo, per mezzo di tutti quei riferimenti occulti e per il continuo punzecchiamento riguardante la Triplice, la misteriosa organizzazione malavitosa, ma il tutto si riduce a un (esemplare) epilogo classico, dove i vari tasselli disseminati qua e là ricompongono un puzzle che si rivela essere molto più lineare del previsto, ma che svolge l’egregia funzione di raccontare, e raccontare alla grande, una storia, di fatto, molto semplice.
Il punto, più che altro, è che le basi fascinose e le complesse intelaiature psicologiche dei personaggi danno vita a coincidenze narrative sì interessanti e curiose (e ad autocitazioni e rimandi ad alcune opere precedenti del Nero), ma forse falliscono nel tenere alta l’attenzione del lettore, per colpa di quello che appare come il maggior difetto dell’opera: la lunghezza.
Quasi 600 pagine sono in effetti troppe per l’intreccio raccontato, e per quanto questo possa venire sviscerato dai tanti punti di vista, che lo analizzano e lo approfondiscono con estrema precisione e fantasia caratteriale, appare evidente come certe parentesi potessero essere tagliate a favore di un ritmo maggiore e più grintoso, così come il personaggio di padre Cristoforo poveva essere sacrificato sull’altare della fluidità.
Ciò non toglie il carisma di uno stile straordinario, eccellente sotto il profilo strutturale, capace di sorprendere, stupire, pagina dopo pagina, per questa trovata lessicale o per quel gioco di parole, che non si mostra mai compiaciuto nemmeno nei momenti più pesanti da digerire, e che, con un 100-150 pagine di meno, avrebbe stampato su carta un’opera davvero ammirevole.
Non il miglior Nerozzi di sempre, ma comunque da provare, e con gusto.
Voto: 6,5
[Simone Corà]

Incipit
Quando suo padre uscì dalla stanza, smettendo di filmarla, Clorinda Mastri si coprì la faccia con le mani e restò inginocchiata sul pavimento ad ascoltare le ultime battute di Wish You Were Here. Una melodia che le tingeva il cuore di blu, lo stesso colore del cielo e della malinconia, delle cose che passano e non tornano. Con quel verso alla fine dell’ultima strofa, così semplice e accorato.
Come vorrei che tu fossi qui.
Il desiderio che ci possa essere qualcuno a cui aggrapparsi per non cadere.
Solo per un momento. Solo con un sorriso.
Vorrei che tu fossi qui, per aiutarmi a respirare.
Quando il brano terminò, l’improvviso silenzio l’avvolse, terrorizzandola.
Attese. Non sapeva esattamente cosa.
Avvertiva soltanto la sensazione di un fremito. Ali che battono nel silenzio.
Flap, flap, flap...
Ormai mancava poco. Presto la Falena sarebbe giunta per salvarla. Clori non vedeva l’ora che lei arrivasse e nello stesso tempo si sentiva spaventata al pensiero che avrebbe dovuto ascoltarla, eseguire i suoi ordini.
Tutte le volte che la sua voce si faceva sentire, si stupiva di com’era sottile e aspra. Con un timbro che dava l’idea di un’unghia che grattava su una lavagna.