Settanta

di Simone Sarasso - pagine 693 - euro 21,50 - Marsilio Editori

Italia, anni settanta: il decennio più buio e violento della storia repubblicana raccontato attraverso le voci di uno stragista, di un ladro, di un magistrato e di un attore di successo.
Andrea Sterling, il fiore all’occhiello dei Servizi deviati, ha un piano. Ettore Brivido, l’enfant prodige della mala milanese, è pronto a fare il salto di qualità. Domenico Incatenato, giovane giudice del Sud, sgobba per fare carriera tra Roma e Milano. Nando Gatti è l’astro nascente del poliziottesco all’italiano e prende fin troppo sul serio il proprio lavoro.
Le loro vite s’intrecciano mentre il Paese va a fuoco: nelle piazze e nelle fabbriche ribolle la rivolta, le Brigate Rosse sfidano il potere costituito e la strategia della tensione continua a mietere vittimi civili.

Secondo episodio della trilogia sporca dell’Italia, "Settanta", dopo l’ottimo "Confine di Stato", continua a illustrare il passato alternativo di un Belpaese marcio, soffocato dalla corruzione e dal potere. Fantapolitica, per certi versi, visto il ruolo predominante di schieramenti, fedi e ideali, che si allacciano in continuazione con le vite dei protagonisti, tingendole ora di nero, ora di rosso. Ma è soprattutto una storia - lunga, enfatica, mai prolissa - di persone fittize che, in un modo o nell’altro, rispecchiano persone che la realtà italiana l’hanno costruita veramente. Perché, "Settanta", dall’alto della sua dimensione alternativa, si intreccia al passato di questa Italia, per mezzo di figure chiave, leader politici ed eventi drammatici che hanno macchiato un intero decennio di proiettili, bombe e cadaveri.
Simone Sarasso, abbandonata una certa esagerazione pulp che coloriva il precedente lavoro di omaggi/citazioni/ispirazioni tarantiniane, svolge un lavoro sbalorditivo nella creazione di un contesto sconfinato, forse eccessivo ma sempre credibile. Decine e decine di personaggi si contendono le 700 pagine dell’opera a un ritmo vertiginoso, che, vista l’estrema complessità, a volte smarrisce, soprattutto nelle fasi iniziali, ma che mai spaventa o soffoca la curiosità, la voglia di scoprire i nodi che legano tanti nomi, tanti volti e tanti comportamenti.
Quell’alone di influenza prettamente americana che aleggiava sull’intero "Confine di Stato" è ora piegato, filtrato, trasformato in uno stile insolito, fatto di frasi brevissime, fulminanti, apparentemente semplici ma che, in realtà, mostrano uno studio sorprendente nella metrica, nella struttura e nella musicalità.
È uno stile che potrebbe anche spiazzare, visto il larghissimo uso di un tono colloquiale e parlato, che, di fatto, nullifica il narratore in terza persona per immedesimarlo, di volta in volta, nel personaggio di cui segue la vicenda.
Avremo quindi influssi dialettali legati tanto al meridione quanto al settentrione, ma tenuti a bada da una capacità spaventosa di semplificare l’insemplicifcabile, rendendoli così di facile comprensione per qualsiasi lettore.
Non solo. Il senso di identificazione con i protagonisti di "Settanta" è completo, totale, fondamentale, e viene naturale chiedersi se fosse stato possibile raggiungere il medesimo risultato con una narrazione più tradizionale, capace di mettere un freno e di rispettare i limiti della lingua italica.
Se proprio bisogna segnalare un’imperfezione, la si può trovare in momenti sporadici in cui il punto di vista rimbalza da un personaggio all’altro senza il giusto passaggio graduale, lasciando un po’ confusi per il brusco cambio direzionale. Ma si tratta di istanti, parentesi che poco o nulla scalfiscono un mosaico intricato quanto poche cose abbia mai avuto occasione e fortuna di leggere.
Thriller, noir, poliziottesco. "Settanta" è tutto questo e molto di più. Acquisto consigliato, lettura obbligatoria.
Voto: 8
[Simone Corà]

Incipit
Provincia di Kien Hoa, delta del Mekong, Vietnam, maggio 1969
Verde, verde, verde.
Un milione di verdi differenti.
E pioggia. Da mesi.
Aria calda dal portellone. La mitragliatrice da sette e sessantadue puntava nel nulla: solo giungla mossa dal vento e caldo umido.
L’aria mutava in acqua: il sergente respirava a fatica.
Fiato corto, il rumore delle pale uccideva i timpani.
Nonostante le cuffie. Nonostante i giorni sulle spalle.
A questa merda non ci si abitua.
Al massimo s’impara a far finta di niente.
Il sergente teneva la testa bassa, ripeteva le regole come un mantra:
- i calzini devono restare asciutti
- nessuno rimane solo, nessuno viene lasciato indietro
- conta i giorni, uno alla volta
- e non dimenticarti la musica.