Il re dei topi e altre favole oscure

di Cristiana Astori - pagine 250 - euro 19,80 - Alacran Edizioni

Questa antologia di Cristiana Astori, uscita un po’ di tempo fa, merita di essere letta da parte di chiunque sia alla ricerca di Autori in grado di dare, in Italia, una via personale alla letteratura del sovrannaturale, benché i generi dei racconti presenti spazino dallo psycho thriller al racconto grottesco. Anzi, volendo individuare dei leitmotivs comuni ai racconti, nella quasi totalità dei casi, nella trama del racconto fantastico o della ghost story in senso stretto, si sovrappongono, da un lato il tema della patologia, o quantomeno del disagio mentale, dall’altro quello di situazioni paradossali e spesso estreme, in cui l’individuo è sottoposto ad un notevole stress, tirando fuori, immancabilmente, il peggio di sé.

Si incontrano molti narratori in prima persona in queste pagine, e spesso la trama del racconto è in realtà una lenta e dolorosa discovery delle colpe del protagonista, classico artificio narrativo che però viene efficacemente utilizzato in questo caso, perché di fatto rappresenta l’emersione dell’inconscio del narratore, fino ad una rivelazione finale che diventa un faccia a faccia impietoso con la propria metà oscura. Ecco quindi che ai temi classici e atavici del racconto horror, la paura della morte e dell’oscurità, si affiancano perversioni sessuali, alcolismo, solitudine, disagio relazionale, bulimia. Il tutto però in modo assolutamente non retorico o didascalico, al punto che, come nella migliore tradizione del genere, da Poe in avanti, non si distingue se ciò che accade al protagonista sia solo frutto della sua mente o dell’opera di presenze oscure e impalpabili. Un esempio di questa splendida sintesi è proprio la “title track”, il breve racconto che dà il titolo alla raccolta; una tipica paura atavica e infantile si inserisce in un quadro di forte disagio familiare e relazionale, lasciando un forte senso di disorientamento finale. L’Autrice si mostra comunque capace di reggere anche la lunga distanza: “L’abisso di Dora” è un lungo e claustrofobico viaggio nell’ignoto (e, traslatamene, nell’inconscio dei protagonisti, l’abisso insondabile per antonomasia), con alcuni personaggi ben tratteggiati e momenti di grande impatto. “La sbarra”, racconto di media lunghezza, forse il più “Kinghiano” dei racconti, ha dalla sua una ottima idea di fondo, e un finale toccante. La qualità generale di racconti è comunque buona, e all’occasionale ripetizione di alcune tematiche (il delitto passionale, ad esempio, o la patologia mentale) sopperisce in ogni caso lo stile, che si mostra scorrevole, sicuro e anche piuttosto vario da un racconto all’altro, pur con ben definite caratteristiche di fondo. Poche pecche ho trovato, forse la presenza, come nel già citato “La sbarra” di alcune situazioni e personaggi tipici dell’horror a stelle e strisce che smorzano un po’ l’originalità del racconto, e, in “L’abisso di Dora”, un finale un po’ troppo easy, secondo me non all’altezza del crescendo narrativo e del pathos che il racconto dispiega lungo il corso della narrazione.
Note di merito per le citazioni di songs (dai Doors e Springsteen a De Andrè) che l’Autrice usa come epigrafe, e per la cura grafica del libro (un sobrio nero con una illustrazione di Danilo Sannino, autore anche delle illustrazioni interne che accompagnano i racconti).
Voto: 7,5
[Vincenzo Barone Lumaga]

Incipit (dal racconto Il Re dei Topi)
“Aprimi ti prego aprimi!”
Silenzio. Ancora qualche ora chiusa lì dentro e l’ossigeno si esaurirà.
Non sentirà più l’odore acuto del feltro e della naftalina, né la carezza della pelle di camoscio sulla sua guancia. I polpastrelli si intorpidiranno, poi le mani, le braccia e quella graziosa sensazione di freddo si trasmetterà a tutto il suo corpo.
Poi morirà.
Morta e dimenticata in uno sgabuzzino pieno di scope e di cappotti fuori stagione.