di Ira Levin - pagine 265 - euro 7,80 - Mondadori
Anni '70. Dal suo nascondiglio segreto nel bel mezzo del Brasile, Josef Mengele, criminale
nazista e torturatore di Auschwitz, sta organizzando la più grandiosa e incredibile
cospirazione mondiale per riportare la razza ariana al potere. Il suo piano prevede
l'uccisione di novantaquattro uomini di mezza età, pensionati o con un impiego di scarso
prestigio, nessun legame tra loro e residenti in varie nazioni del mondo.
Yakov Liebermann, "cacciatore" di nazisti, casualmente viene a conoscenza di
questo progetto; per lui inizia così una corsa contro il tempo per fermare i sicari e
soprattutto per capire il vero scopo di Mengele.
"I ragazzi venuti dal Brasile", scritto in modo asciutto ma
efficace da Ira Levin, è un piacevolissimo romanzo noir condito da
inquietanti elementi di fanta/politica. Nonostante sia stato concepito nel 1977 questo
libro affronta tematiche che oggi sono assai attuali: ossia le cause e gli effetti della
manipolazione genetica, una scienza che può portare enormi vantaggi all'umanità ma che,
se utilizzata dalle persone sbagliate, può portare all'autodistruzione.
Un romanzo attuale e coinvolgente, da leggere e riscoprire! Voto: 8,5
Incipit
Nelle prime ore di una sera del settembre 1974 un piccolo bimotore nero e
argenteo planò su una pista secondaria dell'aeroporto Congonhas di Sao Paulo e,
rallentando, rullò verso un hangar dove era in attesa un'automobile. Tre uomini, l'uno
dei quali vestito di bianco, si trasferirono dall'aereo all'auto, che al Congonhas
s'avviò in direzione dei bianchi grattacieli del centro di Sao Paulo. Una ventina di
minuti più tardi, l'automobile s'arrestò sull'Avenida Ipiranga, di fronte al Sakai, un
ristorante giapponese che pareva un tempio.
I tre uomini entrarono fianco a fianco nell'ampio vestibolo laccato di rosso del Sakai.
Due di loro, in completi scuri, erano tipi massicci e dall'aria aggressiva, l'uno biondo e
l'altro con i capelli neri. Il terzo uomo, che avanzava a passo deciso tra i due, era più
snello e più anziano, vestito di bianco dal cappello alle scarpe, a eccezione di una
cravatta giallo limone. Faceva dondolare nella mano guantata di bianco una gonfia cartella
scura e fischiettava una arietta, guardandosi attorno con visibile piacere.
Una ragazza in chimono, addetta al guardaroba, s'inchinò profondamente e sorrise con
grazie e, ricevuto il cappello dell'uomo in bianco, accennò a prendergli di mano anche la
valigetta. Lui, però, la scansò e si rivolse a un giovane giapponese snello, in smoking,
che gli si avvicinava sorridendo. "Mi chiamo Aspiazu" annunciò in un portoghese
inasprito da un lieve accento tedesco. "Ho prenotato una saletta riservata."
L'uomo pareva aver passato da poco la sessantina e aveva capelli grigi tagliati a
spazzola, occhi bruni vivaci e allegri e sottili baffetti grigi.