di Joe R. Lansdale - 232 pagine - euro 11,80 - Einaudi
Far ritorno allOrbit e al mondo impossibile che lo circonda, porta chiarezza non
solo sulle tante domande che sorgono nella memorabile saga dello scrittore texano, ma
anche sul suo stato di salute narrativo di questi ultimi anni.
Terzo tuffo nelluniverso fatto di schizoidi abusi cinematografici e mostri derivati
da rigetti fantascientifici, La notte del drive-in 3, tra sci-fi, horror, grottesco
e demenziale, mischia qualche carta di troppo, e laura opprimente che avvolgeva il
primo, indimenticabile capitolo, e la visionarietà eccentrica del sequel (che, checché
ne dicano i tanti licantropi detrattori, chi scrive continuerà a difendere mozzando teste
e sventrando addomi), svaniscono in qualche strano pertugio delluniverso post-cometa
sorridente.
Colpa più che altro di un impianto narrativo incentrato per due terzi su un umorismo
sboccato, che porta scompiglio e rimpianto per la magia dei primi due episodi. Non che
dispiaccia una simile sequenza di imprecazioni e volgarità incalcolabili, daltronde Joe Lansdale lo si ama anche per questo, ma la combriccola di protagonisti manca
del minimo spunto caratteriale e, tolti i tre eroi, ai quali se ne aggiunge una quarta,
gli altri comprimari diventano intercambiali (Avversario compreso), tanto sono uguali i
loro abbozzi di personalità.
Ne consegue unimmedesimazione minima in Jack & Co., divenuti ormai ricettacoli
di bestemmie e battute spinte. Impossibile comunque sottrarsi alla risata, che sale in
gola e accompagna buona parte dellavventura, ma si tratta di una risata costretta,
sforzata, che ben si adatta a una scrittura che puzza fin troppo di semplice
divertissment, e che dimentica spesso e volentieri mordente ed emozioni.
Incomprensibile poi lattacco brutale che fa nei confronti della religione. Non che
chi scrive voglia schierarsi dalla parte di angeli, cherubini e pennuti vari, ma la
violenza lessicale con cui Lansdale critica il dogma religioso sconcerta per via di una
mancanza di idee spaventosa, che già aveva condannato il terrificante Laggiù nel
profondo.
Resta per fortuna un agguerrito sprint finale, dove lumorismo lascia il posto a un
lungo spiegone, che svela lenigma dellintero ambaradan: una scelta forse non
così attesa (in fondo sono stati il mistero e la stravaganza a rendere unici i numeri uno
e due della saga), e magari non così memorabile, ma è inappuntabile per tecnica e
fantasia, e lo spiraglio verso un quarto episodio è tanto prevedibile quanto ben
inserito.
Chi apprezza la sterminata carriera di Lansdale può facilmente capire quanto io sia
preoccupato per la fossa che ha iniziato a scavarsi con il tentennante Echi perduti,
losceno Laggiù nel profondo e, giusto per essere cattivi fino in fondo, La
ragazza dal cuore dacciaio, che, nonostante la lettura piacevole e il buon
ricordo che ne serbo, altro non è che unenorme autocitazione che nulla toglie ma
soprattutto nulla aggiunge al suo operato.
Diventa quindi dobbligo inserire in questo recente calderone di scarti anche il
terzo capitolo della saga del drive-in? Spietatezza e crudeltà mi costringono a dire di
sì, perché, nonostante la discreta qualità dellopera (lo so che non ci credete
dopo tutte le unghiate che ho inferto, ma in fondo La notte del drive-in 3, vuoi
per la scorrevolezza, vuoi per lo strambo intreccio, vuoi semplicemente per il mestiere,
è tuttaltro che un brutto romanzo), perdonare quello che a conti fatti è un nuovo
scivolone letterario, sta diventando una routine che dubito di poter sopportare a lungo.
Voto: 6,5
[Simone Corà]
Incipit
Tutti loro vivevano nel grande drive-in Orbit, sotto un buco nel cielo popolato
di ombre. Una volta il buco si contrasse come uno sfintere e cagò una melma scura e
appiccicosa.
Che puzzava.
E si attaccava ai piedi.
Qualcuno credette che fosse commestibile, perché una volta erano piovute mandorle
ricoperte di cioccolato e cose simili, ma quella poltiglia non centrava niente con
le mandorle al cioccolato. Assolutamente niente. Quelli che la mangiarono riportarono le
mani al ventre e morirono urlando.
Per un pezzo i loro corpi restarono accatastati accanto al recinto del drive-in, pronti
per il trasporto. E furono trasportati, infatti, ma non lontano.
(Ne parleremo dopo).
La roba melmosa, la merda di Dio, fu finalmente spalata via con grandi badili improvvisati
ricavati da cofani di automobili, e fu depositata contro il recinto per rinforzarlo. La
cosa funzionò: la melma si indurì come cemento, e quando se ne aggiungeva della fresca
si attaccava bene sopra laltra. Così la parete si alzava.
Ma torniamo al buco nel cielo.
Coloro che ci vivevano sotto lo chiamavano il buco del culo di Dio. O meglio, Jack lo
chiamava così, e la definizione prese piede.