di Lucia Bruni - pagine 132 - euro 12,00 - Dario Flaccovio Editore
È un tuffo di centodieci anni nel passato il romanzo desordio di Lucia Bruni,
penna gialla già affilata come lame di coltello, con un curriculum di premi e
pubblicazioni che ben parlano per lei.
Velocità desecuzione, precisione lessicale e un pizzico di innocuo umorismo sono
indizi letali su cui si struttura una vicenda contorta e curiosa. Merito di
unambientazione perduta nel tempo e di una protagonista effervescente, attorno alla
quale girano un prete, un assassino e una numerosa squadriglia di personaggi ben dipinti.
Stuzzicante poi lidea di un comparto dialogico totalmente dialettale, ricreato con
passione e accuratezza.
Tuttavia, sono proprio questi ultimi due punti ad appesantire una lettura tutto sommato
sempre piacevole e avvincente. Per i forestieri, infatti, i dialoghi risultano spesso di
difficile comprensione, e richiedono unattenzione sicuramente troppo esagerata per
essere capiti. Si premia la scrupolosità nella loro stesura, ma chi scrive si è
azzoppato con frequenza, interrompendo di conseguenza il flusso della storia. Certo, è
naturale, in fondo Lucia (vademecum della lingua toscana, come dimostra Mia nonna, Elena
di Bombe, quadro della propria famiglia attraverso luso del dialetto, e altre
pubblicazioni) ha realizzato Il segreto di Raffaello come toscana e per i toscani.
Impossibile quindi puntare il dito su una scelta tanto coraggiosa.
Secondo punto dolente (e qui invece è doveroso puntare il dito accusatorio) è la mole di
personaggi, una profusione di nomi ai quali non sempre si riesce a collegare
unimmagine mentale. Il risultato è un nodo più ingarbugliato di quanto dovrebbe
essere, e un ostacolo, soprattutto nei primi capitoli, piuttosto consistente che limita lo
sbrogliare della matassa.
Cinquanta pagine in più avrebbero contenuto i danni, dando il giusto spazio agli abitanti
di Querciaio, mente le centotrenta scarse che abbiamo tra le mani faticano a contenere la
cascata di informazioni.
Ne resta comunque un libricino vivace e colorito (e come al solito curatissimo, secondo
tradizione della Flaccovio Editore), che purtroppo ha nel suo punto di forza maggiore
anche il suo limite più vistoso.
Destinato a pochi.
Voto: 6
[Simone Corà]
Incipit
«Coome?! Lè cascata nillago!?».
«Cascata? La sè ma buttata!».
«Gesummio misericordia!», e un segno di croce, «Gesummio, misericordia!», e un altro
segno di croce.
«Oh, come, buttata? Unnè possibile».
«La sè buttata, vai, ve lo dico io. La sè buttata. Sennò icché la ci
facea a questora di notte nnipparco?».
«E come la sarà ita?».
«Mah? Chi lo sa».
«Gli hanno detto che igguarda dimmarchese mentre facea iggiro di ronda
gli ha sentito un urlo e un tonfo. Gli ha dato subito lallarme ma quande son
arrivati lì un vera più nulla da fare».
«E come lavea fatto a arrivare fin laggiù?».
«Spiriti!».
Tutti si fecero unaltra volta il segno della croce.