L'anno dell'uragano

di Joe R. Lansdale - pagine 160 - euro 11,00 - Fanucci

Prima di leggere questo libro, se qualcuno che non lo conosce mi avesse chiesto a bruciapelo da quale “Lansdale” cominciare, sarei stato in imbarazzo. Probabilmente avrei farfugliato qualche titolo che va dal “drive in” alla serie “Hap e Leonard” passando “in fondo alla palude” oltre a “sottili linee scure”.
Il libro giusto, invece, era questo lavoro del 2000, pubblicato da Fanucci sia nella serie dell’immaginario Dark, sia in quella più graziosa (e meno costosa) del formato tascabile.
Perché dico questo?

Perché in poco più di 150 pagine il texano più letto al mondo (forse) e quello più prolifico (sicuramente, se si guarda sugli scaffali delle nostre librerie) riesca a condensare tutti i temi a lui cari (tranne lo splatter).
L’anno dell’uragano è il 1900 e la storia narra, ci dice Joe in una breve prefazione, che proprio in quell’anno il furibondo cataclisma investì e sommerse Galveston, una cittadina su un’isola di fronte alla costa che, all’epoca, rivaleggiava con New York per il titolo di città più bella d’america. Gli uragani erano un qualcosa di conosciuto, a Galveston, ma non dell’intensità di quello del 1900, che la sommerse completamente, lasciandosi dietro una “città morta” fatta di macerie e cadaveri, in cui pochissimi sopravvissero. E tra i sopravvissuti pare ci sia la storia di un bambino, inchiodato con una mano a un’asse dai suoi stessi genitori. È proprio su questa storia di crudezza e poesia (vero o falsa che sia, non importa) che Lansdale tesse la sua, di storia.
I protagonisti dei giorni dell’Uragano sono due pugili. Uno nero, povero, onesto, fortissimo, sciocco, ma che a Lansdale piace indicare come il peso massimo migliore del secolo (“Lil” Arthur Johnson). L’altro bianco, egoista, sbruffone, spocchioso, subdolo, disonesto e altrettanto forte con i pugni ma che, per quanto irritante e generatore dei peggiori sentimenti, non diventa un antieroe da sconfiggere (Jim McBride). Assieme a essi ruotano una serie di personaggi e di comprimari che, attraverso quella che potremmo definire la “cosmogonia lansdaliana”, mettono sul piatto tutti i suoi temi. Ecco perciò comparire via via, descritti a tratti da pochissime parole, personaggi come il padre di “Lil”, saggio e coraggioso, gli ultrarazzisti ricconi della Galveston più conservatrice, la ragazzina sprovveduta, la prostituta picchiata, gli operai del porto ottusi, i genitori che sacrificano tutto per i figli, il giovanotto che illude e tradisce, il prete fanatico, il riccone gay e il suo servo-schiavo-leccapiedi e molti altri che appaiono, anche per pochi passaggi, raccontando la loro storia che attraversa l’uragano.
E grazie a una scrittura ridotta al necessario e a dialoghi velocissimi e reali, all’autore bastano queste poche pagine per dire la sua e snocciolare, uno via l’altro, i temi cari al suo Texas. E così ci parla di razzismo, della figura dei genitori, delle radici conservatrici del Texas, dei fanatismi religiosi, della cattiveria, della lealtà e dell’assenza di buoni e cattivi. Tutto questo lo fa, lungo l'intero libro, usando quell’humour che è ormai il suo marchio di fabbrica, con le sue coloratissime metafore ed espressioni.
Insomma, un libro tanto veloce quando incisivo, che stordisce davvero come un pugno e, per quanto attualmente Lansdale sia ultra-osannato e iper-produttivo e gli editori tendano a pubblicare ogni sua riga (compresa la lista della spesa o la rubrica telefonica) non si può negargli il particolare talento nel raccontare.
Si potrebbe discutere per ore della sua abilità o non abilità letteraria, sia nel costruire vicende, sia nello scriverle, ma quando un autore riesce a incollare gli occhi alle pagine e a far ricordare ciò che scrive per lungo tempo e con piacere, è innegabile la sua qualità principale: Lansdale è un maestoso e impeccabile "raccontatore"!
Voto: 8
[Gelostellato]

Incipit
Ore 18.30
In un pomeriggio più caldo di due ratti che trombano in un calzino di lana, John McBride, uno e ottantacinque abbondanti, quasi cento chili, le manone come prosciutti, un fisico da cinghiale selvatico e un carattere dello stesso genere, arrivò all'isola di Galveston col traghetto che veniva dalla costa del Texas; aveva una sei colpi sotto il soprabito e un rasoio in una scarpa.
Mentre il traghetto attraccava, McBride mise giù la valigia, si tolse la bombetta, prese un bel fazzoletto bianco nuovo di zecca da una tasca del soprabito, lo usò per asciugare l'inceratino della bombetta, poi per detergersi il sudore dalla fronte, quindi se lo passò sui radi capelli neri per rimettersi infine il cappello.
A San Francisco un vecchio cinese gli aveva detto che i capelli li stava perdendo perché portava sempre il cappello, e McBride aveva deciso che poteva anche aver ragione; però adesso il cappello lo portava per nascondere la propria calvizie. All’età di trent’anni sentiva di essere troppo giovane per perdere i capelli.