La sedia vuota

di Jeffery Deaver - pagine 465 - euro 17,00 - Sonzogno

Questo il mio terzo di Deaver e benchè questo non faccia di me un recensore ottimale di questo autore, considerata la sua copiosa produzione di thriller, mi porta comunque verso una migliore conoscenza.
Stavolta, a differenza dei dubbi che “La lacrima del diavolo” aveva sollevato, non sono rimasto deluso, pur essendoci qualcosina, nei suoi “perfetti” thriller, che non suona perfettamente, come una lieve dissonanza, quasi impercettibile.

Premetto che questo thriller, è una specie di sequel, considerato che ha come protagonisti la fortunata coppia di investigatori de “Il collezionista di ossa” ed è d’obbligo sottolineare che, senza dubbio, si sfrutta molto la caratterizzazione già elaborata in precedenza, e soprattutto, indelebilmente segnata dalle immagini della trasposizione cinematografica.
Quindi inutile raccontarsela: bastano poche pagine e subito compaiono le facce di Angelina Jolie e Denzel Washington, e non si può dire che ciò nuocia alla narrazione (potere dell’immagine).
In ogni caso mi sono permesso di fare un gioco, che qualunque lettore un po’ smaliziato potrebbe fare, con i thriller in generale e con quelli di Deaver in particolare.
Il giochetto è una gara con l’autore, cercando di prevedere, già dalle prime righe, i colpi di scena che si susseguiranno lungo le pagine (perché già si sa che si susseguiranno). Un punto al lettore quando indovina, un punto all’autore quando si prende una cantonata.
Le regole che mi ero imposto erano piuttosto semplici:
È sufficiente “pensare al contrario” e dubitare di ogni affermazione.
Se Tizio sembra tanto buono e degno di compassione... Allora è cattivo.
Se Caio sembra tanto stronzo e degno di odio... Allora sarà buono.
Se Sempronio sparisce e pare morto... Allora è vivo.
Se sta per succedere qualcosa... Non succederà.
Se temete che stia per succedere qualcosa... È già successo.
Insomma, basta utilizzare un “modus leggendi” gonfio di disincanto e sospetti, quasi come Denzel Wash... ehm, pardon, Lincoln Rhime.
Ebbene, io l’ho fatto. Volete sapere com’è andata? Ha vinto Deaver!
Non clamorosamente, no. Anzi, a una cinquantina di pagine dalla fine ero chiaramente in testa (e quindi anche un po’ innervosito, per aver indovinate buona parte dei colpi di scena, fino a quel punto). Ma poi il libro sembrava non finire mai, e visto che Deaver non pare uno che spreca troppe pagine senza che succeda qualcosa, in quelle ultime righe mi ha affiancato e superato, lasciandomi soddisfatto e spossato, da una lettura che è stata, nelle seconda metà del libro, sempre più frenetica e avvincente.
Il prezzo da pagare se volete tentare questo gioco, ovviamente, è che ci si rovina un po’ il libro, ma visto che è una malattia naturale di chi legge thriller, quella di cercare di indovinare “chi fa cosa e perché”, è un giochetto che potete fare, soprattutto con questo autore.
Per quanto riguarda il sasso, che anche un lavoro perfettamente calibrato e credibile come questo, può lasciare nella scarpa del lettore, siamo di fronte ad eventi di poco conto, che raramente sollevano domande o perplessità.
In questo libro, non essendoci situazioni assurde o pirotecniche, le ambientazioni e i personaggi risultano credibile e ben riusciti, e anche la trama, presenta una credibilità che non soffre mai dei ritmi che le vengono imposti. Certo, viene da chiedersi qualcosa del tipo: “Oh, ma tutto a questi qua succede!?” ma siamo nella finzione letteraria, e la si accetta volentieri.
Insomma, questo non è solo un thriller, ma è un manuale, un prototipo pressochè perfetto di un certo tipo di letteratura. La costruzione dell’intreccio, la descrizione di luoghi, fatti e persone e le tecniche di narrazione (il flash-back in primis) sono usate in modo ottimale, senza che si possa muovere una benchè minima critica. Davvero nulla da eccepire. Ovviamente, sia chiaro, state leggendo un thriller che va preso nel suo tentativo di essere verosimile, e non veritiero. E questo libro lo è. Da leggere!
Concludo con una breve sinossi, per chi non avesse idea di che libro è, e soprattutto non conoscesse la coppia di poliziotti Rhime-Sachs.
Lincoln Rhime, quadriplegico assistito nelle indagini sul campo dalla collega-compagna Amelia Sachs, intende tentare in North Carolina un’operazione che gli permetta di recuperare, almeno in parte, la sua mobilità. Prima dell’intervento viene coinvolto dalla polizia locale nella caccia a un killer che si fa chiamare “l’insetto” e che avrebbe commesso un omicidio e due rapimenti.
Da lì partirà una caccia all’uomo nelle paludi che porterà, per assurdo, Amelia a fuggire assieme al fuggiasco, costringendo Rhime ad affrontare la donna a cui ha insegnato tutto...
Voto: 7,5
[Gelostellato]

Incipit
...uno
Scese a portare dei fiori nel luogo in cui il ragazzo era morto e la ragazza era stata rapita. Scese perché era grassa, aveva la faccia butterata e non aveva molti amici.
Scese perché ci si aspettava che scendesse. Scese perché voleva farlo. Goffa e madida di sudore, Lydia Johansson percorse il ciglio di terra battuta della Route 112, dove aveva parcheggiato la sua Honda Accord, quindi, con cautela, scese lungo il pendio fino alla riva fangosa dove il Canale Blackwater incontrava le acque opache del fiume Paquenoke.
Scese perché pensava che fosse la cosa giusta da fare. Scese, anche se aveva paura.
Il sole era sorto da poco, ma quell'agosto era stato il più caldo degli ultimi anni, nel North Carolina, e Lydia stava già sudando sotto la divisa da infermiera quando si incamminò verso la radura che costeggiava il fiume circondata da salici, tupelo e cespugli di alloro della California. Non faticò a trovare il luogo che stava cercando: il nastro giallo della polizia risaltava nella caligine. Suoni di prima mattina.
Strolaghe, un animale che rovistava i cespugli fitti poco lontano, il vento caldo attraverso i carici e l’erba della palude.