Confine di stato

di Simone Sarasso - pagine 414, euro 14,40 - Marsilio

Forse Simone Sarasso, nella sua immaginaria cronistoria che abbraccia vent’anni di omicidi, stupri e complotti made in Italy, non è andato così lontano dalla realtà. E inserendo filamenti di DNA narrativo tra una strage veramente accaduta e un delitto tutt’oggi irrisolto, nella sua follia creativa che gronda sangue abbondante e grumoso, sembra così autentico che quasi ci si chiede se, effettivamente, non abbia qualche aggancio con i Men in black che comandano il mondo e conoscono la verità.

Resta il fatto che, venuta a galla quella vena di fantapolitica davvero troppo fanta per essere scambiata per semplice politica, ci si ricorda all’improvviso di avere tra le mani un romanzo e non un documento segreto.
Completamente rapito in un mondo che odora di acre fumo di pallottola pulpfictionano (esplicita e benvoluta citazione compresa), Simone Sarasso ha dalla sua la sacra capacità della sintesi e della schiettezza. Dalle sue dita cospiratrici nascono frasi brevi, veloci, precise, che nella loro apparente leggerezza sono invece maschere che nascondono trame contorte, raggiri imprevedibili e tanta freschezza narrativa.
Confine di stato è orgia di colpi allo stomaco (e magari anche alla mascella) e violenza incontrollabile, è perversione sessuale e cattiveria travolgente.
Nessun eroe è infatti presente all’appello, probabilmente ammazzato dai soli stupratori, drogati, rivoluzionari e filomafiosi che vivono e fanno vivere il romanzo, rei di essere addirittura carismatici, nella loro pazzia esplosiva.
Insolita e inaspettata la struttura su cui poggia il volume, madre tenebrarum di svariate scelte narrative, che vanno dalla sceneggiatura ai capitoli epistolari, passando per la prima e la più consueta terza persona, che occupa il maggior numero di pagine (senza dimenticare i crediti di apertura, affidati a una manciata di curiose facciate fumettistiche). Il tutto al servizio di un frammentario e complicatissimo sforzo mentale, che sa sorprendere.
Se bisogna muovere delle critiche, e sì, bisogna farlo perché di esordio si tratta, allora il dito accusatore va a puntare i dialoghi della seconda metà dell’opera, che, colpevolmente impostati come script cinematografico, fanno perdere omogeneità e fluidità all’azione, per via del continuo stop&go di cui sono protagonisti. Nulla da togliere alla sostanza che essi trasmettono, ma una scelta narrativa più classica sarebbe stata ben più gradita.
E poi, giusto per completare il quadro, si sente un leggero sbilanciamento quando sopraggiunge la parte conclusiva, davvero troppo leggera e veloce, se confrontata con la mole cospiratoria presente nei restanti due terzi di Confine di stato.
Ma in fondo si tratta di bazzecole fastidiose, perché, nel suo complesso, l’opera prima di Simone Sarasso è sorpresa e vigore in ogni lettera stampata, una promessa della narrativa che sa affascinare e della quale ora attendiamo i due già annunciati sequel.
Un plauso infine alla Marsilio, che ha editato e impaginato con perfezione maniacale l’arzigolata natura di Confine di stato, dando agli occhi una soddisfazione visiva che, quando si parla di piccoli autori, è spesso negata.
Voto: 8
[Simone Corà]

Incipit
Il 12 dicembre smisi di essere ragazzino. Mio padre quel giorno non aveva in programma di andare a Milano. Verso mezzogiorno lo chiamò invece un suo collaboratore dicendo di raggiungerlo nella piazza della banca, dove ogni venerdì si svolgeva il mercato degli allevatori. C’era un affare da concludere, gli disse.
La vendita di un terreno: doveva fare da mediatore.
Il primo a sapere cos’era successo fu il parroco, ma non ebbe il coraggio di dircelo.
Incaricò il medico, che alle 19.30 venne a casa nostra.
Ci disse del disastro e che in mezzo ai feriti c’era anche mio padre. Non aveva però notizie precise. Accendemmo la radio e la televisione.
Telefonammo a uno zio, Mario, che abitava a Milano. Fu lui a fare il giro degli ospedali.
Ne fece passare tre o quattro, finché scovò quello dove si trovava mio padre.
Era morto. Aveva 42 anni ed era morto.
Glielo fecero vedere ma non lo riconobbe subito. L’identificazione avvenne quando trovarono i documenti.
Erano le 20.30 quando ci chiamò. Ci disse di raggiungerlo.
Mia madre non aveva la patente: dovemmo cercare qualcuno.
Alle 22.00 arrivammo all’obitorio. Non ce lo fecero vedere: eravamo arrivati fuori orario.
Dovemmo attendere il giorno dopo.