Il nero che fa tendenza

di Cristiana Formetta - pagine 96 - euro 11,50 - Clinamen Editore

La Clinamen è una piccola casa editrice di Firenze e si occupa, tra le altre cose, di una collana che prende il nome dal Dio celtico della scrittura, Ogmios, e che pubblica narrativa di giovani autori italiani. È a questa collana che appartiene “Il nero che fa tendenza”, una breve raccolta di racconti pubblicata qualche anno fa, che mi è capitata tra le mani, scritta da una giovane autrice che vive a Salerno, Cristiana Formetta.
Da un esordiente con casa editrice piccola il rischio della mediocrità, sia nei contenuti, sia dell’editing, è sempre in agguato. E vi confesso che è una cosa piuttosto fastidiosa, almeno per me, leggere libri privi di un’idea o poco curati, che alla fine non lasciano nulla, se non il tempo rubato.

Ecco, il problema non si è posto con questo piccolo, adorabile, libro.
In una decina di racconti brevissimi, costruiti con frasi magrissime e trame che paiono messe insieme con pochi fotogrammi, l’autrice riesce a descrivere uno degli umani sentimenti che più spaventano. Non la paura di morire, né quella del dolore. Il nocciolo di questa manciata di racconti è un altro. È l’oblio, la dimenticanza, la solitudine.
L’amore, qui, è sempre e solo una maschera.
E non si può che concordare con le parole dell’introduzione, che descrivono il racconti come qualcosa “che farà male”, perché è proprio così. Gli episodi di questo lavoro, nessuno escluso, sono come un colpo allo sterno, sferrato senza preavviso, che ti toglie il fiato.
Li si legge senza pause e poi si è costretti a chiudere il libro, come se quella disperazione, quella paura di restare soli, o di esserlo da troppo tempo, ci urli in faccia dalle pagine. È quasi una paura di restare contagiati, di leggere qualcosa che è anche del lettore, una sua sensazione, un’emozione, ma che non si vuole ammettere e confessare a se stessi. Meglio chiudere il libro, pensare ad altro e poi, dopo aver ripreso fiato, leggere il racconto successivo.
Il colore che domina è il nero, ma non un nero fitto, oscuro, senza riflessi, bensì un nero che spesso è grigio scuro, e a volte è attraversato da riflessi bianchi, di luce. Colori che provengono da personaggi reali con storie normali... o quasi.
Massaie uccise dalla vita d’ogni giorno e da un marito noioso, vittime che desiderano essere vittime, coniugi che non comunicano più o amanti che non l’hanno mai fatto, omicidi un po’ colposi e un po’ no, piccole ambizioni, cellulari spenti, e tanta folle, oscura, disperata, quotidianità.
Voto: 7
[Gelostellato]

Incipit
A cosa pensi con un cuscino sulla faccia?
Su Raiuno c'è Piero Angela, puntuale come sempre.
Oggi trasmettono un filmato sui grandi felini della savana.
C'è il giaguaro che si muove verso la preda, una piccola gazzella.
Sai che il giaguaro si prepara allo scatto finale, sai che la gazzella non avvertirà la sua presenza che all'ultimo minuto.
È tutto già deciso. La gazzella non ce la farà.
A cosa pensi con un cuscino sulla tua faccia?
Tu non pensi.
Ti manca l'aria per pensare, c'è questa paura nuova che annulla ogni resistenza, e la sola cosa che hai in mente è un documentario del cazzo.
Così sono ancora sul letto e non mi muovo, e mi concentro solo sull'assurdo disegno a fiori della federa in puro cotone che Filippo mi spinge in gola. Forse se gli do un calcio nei coglioni riesco a liberarmi, ma le gambe non reagiscono.
Filippo regge il cuscino ai lati, ben attento a non aumentare la pressione. Non sa cosa fare. Non sa prendere una decisione definitiva. Vuole uccidermi ma gli manca il coraggio.
Anche lui ha paura, una paura diversa dalla mia. Ha paura di cosa penserebbero i suoi genitori, di cosa direbbero i vicini di casa. Teme le reazioni dei suoi compagni di squadra, la domenica quando gioca a calcetto.
Filippo mi toglie il cuscino dalla faccia e riprendo a respirare. Poi mi gira a pancia sotto e mi prende a pugni sulla schiena. Colpisce più volte con precisione la colonna vertebrale, perché sa che lì fa tanto male anche se non lascia segni. Mi chiama puttana e colpisce.