di Mario Masini - pagine 204 - euro 17,60 - L'Autore Libri Firenze
Predatori di gioielli sanguinolenti, vittime di killer mascherati, elfi dalle orecchie a punta e nani dalla barba bisunta, adoratori dellhorror, quello true & pure, via di qui! Perché Schegge dal sogno è un po unanomalia, una mosca bianca nel nostro circolo nerdistico, un benvoluto oblò che scruta la normalità. Niente bestie voraci, niente assassini dal coltello facile, niente draghi, spadoni o qualsivoglia finesse di genere. Schegge dal sogno è infatti un romanzo drammatico. Una storia realistica, sofferta, dolorosa. È la vita di Marcello, che, preda dei rimorsi, decide di svanire, di essere umiliato, di venir dimenticato, trasformandosi in un senzatetto, unica soluzione trovata per poter lentamente espiare le proprie colpe.
E Mario Masini ci racconta questo suo triste presente con commozione e sentimento,
intervallando la tragica cascata di eventi con massicce esposizioni nel passato di
Marcello, rendendo il tutto un affascinante affresco, strutturato con intelligenza e
passione. Senza contare gli excursus che lautore si concede addirittura in territori
filo-teologici, alcuni riusciti, altri meno, vero, ma si premia il coraggio.
Lintreccio, di per sé non è particolarmente innovativo - verte sul classico:
amore, odio, disfacimento di sentimenti, riscoperta del sorriso - ha però dalla sua
momenti di puro coinvolgimento emotivo - oltre alla già citata narrazione non lineare,
fiore nellocchiello di cui vantarsi, per tenacia e coraggio - abili sostenitori
della lacrima facile ma mai falsa.
Tuttavia, alcuni aspetti lacunosi non possono passare inosservati. Primo fra tutti una
scrittura ancora acerba, abbastanza scorrevole e liscia, vero, ma eccessivamente
colloquiale e saltuariamente poco incisiva, che non sa esternare come dovrebbe i
sentimenti espressi, e che si rende talvolta protagonista di sgraziati scambi di
narratore. I dialoghi soffrono della stessa malattia, apparendo distaccati e rasentando -
purtroppo - soltanto la superficie delle mille sensazioni esplorabili. Luso del
marcato accento toscano, poi, è un simpatico apostrofo, ma ciò non toglie che manchi
qualche ingrediente alla sostanza vera e propria.
A questo mi preme aggiungere anche un finale davvero troppo brusco e immeritevole, sia nei
confronti di Marcello che del lettore, colpevoli di aver atteso un qualcosa che sì, è
arrivato, ma non nel modo più giusto e onesto possibile.
Sommiamo poi un prezzo non propriamente accessibile, adatto più a un probabile
blockbuster rilegato rigidamente, e ne risulta quindi unopera ampiamente promossa
sotto il piano delle idee, un po meno su quello realizzativo. Ne resta comunque
unesperienza da vivere, e qui si parla di piano puramente emozionale. Perché,
nonostante qualche scricchiolio di troppo - che il futuro narrativo limerà senza scrupoli
- la non-esistenza di Marcello è bisognosa della vostra attenzione.
Voto: 6
[Simone Corà]
Incipit
Calzini bianchi e scarpe da tennis colorate, calzoncini di jeans sfrangiati e una
maglietta bianca che lasciava scoperto lombelico ampiamente, capelli rossi non
troppo lunghi divisi a metà e legati in due ciuffi dietro le orecchie, niente trucco se
non una riga nera a marcare netto il taglio degli occhi, efelidi parecchio evidenti sparse
sul viso, un telefonino appiccicato allorecchio in una mano e un samoiedo al
guinzaglio nellaltra.
Non cerano renne da radunare nel Corso e le qualità del cane artico erano ormai
scadute, ridotte alla ricerca olfattiva di qualche traccia dorina daltri suoi
simili, snaturati compagni duomini alienati.
Gli occhi arrossati di Marcello seguivano la ragazzo come un freddo congegno che punti il
suo obiettivo.
Come sarebbe stata Giulia alla sue età? Avrebbe avuto anche lei un cane da portare a
passeggio? Forse. Lei amava gli animali. Aveva i capelli rossi come quella che passava.
Sarebbe stata anche lei così scanzonata? Avrebbe indossato capi di quel genere e si
sarebbe truccata nello stesso modo?
Marcello tornava indietro di molti anni pensando a quelle cose.
Lui, quando Giulia avesse avuto letà della ragazza che stava passando,
lavrebbe preferita vestita in maniera più sobria: non da vecchia certo, ma con un
tocco di classe che allora aveva sperato ereditasse dalla madre.