Incubi

di Dean Koontz - pagine 400 - euro 8,50 - Sperling e Kupfer

Una sera di pioggia, la polizia bussa alla porta di Laura McCaffrey, una valente psicologa, avvertendola che è stata ritrovata sua figlia Melanie, una bambina di nove anni rapita dal padre Dylan sei anni prima. Condotta nella casa dove sua figlia è stata rinchiusa per tanto tempo, viene posta di fronte ad una terribile realtà: suo marito è morto, orribilmente massacrato, e Melanie per tutto il tempo è stata sottoposta a terribili esperimenti da parte del padre. La bambina è in evidente stato di choc, ma i suoi incubi sono appena iniziati.

Dean Koontz è da sempre considerato un maestro della narrativa d'azione, uno dei pochi a poter reggere il confronto con il Re Stephen King. Tuttavia questo libro è da considerarsi come la classica eccezione che conferma la regola: non c'è nulla che si salvi. La trama è banale e assolutamente inconsistente; i personaggi sono delle brutte copie di modelli americani stereotipati (il poliziotto con i rimorsi di coscienza per non aver salvato delle vite umane, lo scienziato pazzo che utilizza la propria figlia per i suoi esperimenti e così via); la storia non decolla mai; il finale poi è assolutamente indegno. Questo libro è da consigliare solo ai fedelissimi di Koontz, quelli che vogliono possedere ogni sua opera. Bocciato su tutta la linea.
Voto: 3
[Nanny Ranz]

Incipit
Appena ebbe finito di vestirsi, Laura andò alla porta d'ingresso, in tempo per vedere l'autopattuglia del dipartimento di Polizia di Los Angeles fermarsi davanti alla casa. Uscì, chiuse la porta dietro di sé e fece di corsa il vialetto.
Non aveva preso neppure l'ombrello. Non ricordava dove lo avesse messo e non aveva voluto perdere tempo a cercarlo.
I tuoni rimbombavano nel cielo nero, ma lei si accorse appena di quei brontolii minacciosi. Sentiva solo il battito sordo del suo cuore.
Lo sportello dell'auto bianconera si aprì dalla parte del guidatore e ne uscì un giovane agente in uniforme. La vide arrivare, rientrò, allungò la mano dall'altra parte del sedile e aprì la portiera dal lato del passeggero.
Lei gli si sedette accanto e richiuse lo sportello. Con una mano fredda e tremante si scostò dal viso una ciocca di capelli bagnati e se la sistemò dietro l'orecchio.
L’auto della polizia aveva un forte odore di disinfettante al pino, che ne copriva un altro, più vago, di vomito.
<<La signora McCffrey?>>, domandò il giovane poliziotto.
<<Sì.>>
<<Mi chiamo Carl Quade. Devo portarla dal tenente Haldane.>>
<<E da mio marito>>, aggiunse lei ansiosamente.
<<Questo non lo so.>>
<<Mi hanno detto che hanno trovato Dylan, mio marito.>>
<<Sicuramente il tenente Haldane gliene parlerà.>>
Fu assalita da un’ondata di nausea; deglutì e scosse la testa, disgustata.
<<Mi dispiace, qui dentro c’è puzza>>, si scusò Quade. <<Abbiamo arrestato uno che guidava in stato di ubriachezza e si è comportato come un porco.>>
Non era stato l’odore a farle rivoltare lo stomaco. Aveva la nausea perché pochi minuti prima, al telefono, le avevano riferito che avevano trovato suo marito, ma non avevano fatto parola di Melanie.