Zombie Island

di David Wellington - pagine 309 - euro 17,90 - Mondadori

Finalmente un romanzo sugli zombie, quelli di tradizione romeriana, morti viventi antropofagi, resuscitati per portare la civiltà alla distruzione ultima.
Diciamoci la verità, di libri che parlano di zombie ce ne sono veramente pochi, a dispetto di un’imponente tradizione cartacea su vampiri, fantasmi e streghe. Lo zombie, mostro-icona degli anni ‘70-‘80, tornato in auge recentemente grazie a un famoso remake, ha trovato solo ultimamente una sua (difficile) collocazione romanzesca.
Questo libro di David Wellington è l’esempio di quanto sia possibile scrivere di zombie senza scadere nel banale (come le novelization dei videogiochi di Resident Evil) e rispettando le tematiche care al padre del genere, George A. Romero.

Nel romanzo in questione, la civiltà è già caduta, il mondo è prossimo alla sua fine e solo pochi vivi resistono in stati fortificati, prevalentemente del terzo mondo, dove la gente è da sempre abituata alla spietata legge della sopravvivenza. In uno di questi paesi, la Somalia, la presidentessa si ammala di AIDS, senza avere la possibilità di recuperare i medicinali per curarsi, visto che i pochi ospedali africani sono stati già saccheggiati dai “vivi” in fuga dagli zombie sempre più numerosi. La salvezza, rappresentata da retrovirus contro l’HIV, è dunque la sede delle Nazioni Unite, a Manhattan, unico luogo dove certamente sono rimasti ancora questi medicinali.
Alla volta dell'isola, totalmente abitata da morti viventi, parte una spedizione di soldatesse africane adolescenti, armate fino ai denti e pronte a tutto, capitanate da Dekalb, ex osservatore ONU. Per essere sicuri della fedeltà di Dekalb la regina ha preso in ostaggio la sua giovane figlia. Nell'istante in cui il gruppo mette piede a Manhattan, la caccia ha inizio.
L’autore coinvolge immediatamente i lettori in una corsa contro il tempo nella cornice di una New York spettrale e pericolosamente mortale. I “vivi” sono le prede, ambiti da centinaia di migliaia di zombi affamati che oramai padroneggiano la città, più di tutte, simbolo di una civiltà che non esiste più.
Il pregio del romanzo, tuttavia, non è solo quello di un libro spara-spara, tutto azione e senza spessore. Ben presto s’intuisce che Wellington ha più di una sorpresa da riservare ai lettori. Ad esempio, un mezzo-zombie che sembra aver mantenuto inalterate le sue capacità intellettive, e che sente un misterioso richiamo mentale pulsare dal centro della città. C’è un disegno dietro alla catastrofe apparentemente inspiegabile che ha fatto resuscitare i morti come orribili e bestiali cannibali?
Esiste una possibilità per gli zombie di evolversi e rimpiazzare il genere umano, oppure essi sono lo strumento finale di un’apocalisse inevitabile?
Wellington riesce nel duplice obiettivo di attenersi alle affascinanti atmosfere romeriane, riuscendo però a risultare molto originale e imprevedibile nello sviluppo della trama. Ciò che in un romanzo di zombie può risultare disarmante, è quel senso di stantio e di già visto in decine di film che hanno ampiamente sviscerato questo tema. Bene, in questo caso l’autore riesce a rivitalizzare - è proprio il caso di dirlo - un genere finora destinato a essere fin troppo di nicchia.
Il lettore non si deve disperare se in questo romanzo molte cose sembrano lasciate insolute. Infatti “Zombie Island” è solo il primo libro di una trilogia, già completata negli Stati Uniti, in cui verranno svelati i misteri del virus che ha causato questa catastrofe, e anche la sorte di alcuni personaggi di questo primo, interessante capitolo della saga.
Voto: 7,5
[Alessandro Girola]

Incipit
Osman si piegò sopra il parapetto e sputò nel mare grigio, prima di girarsi di nuovo e urlare degli ordini a Yusuf, il suo primo ufficiale. Il GPS era andato il tilt quando eravamo ancora al largo, e con la nebbia saremmo già stati fortunati a non schiantarci a tutta velocità sulle coste di Manhattan. Senza una luce del porto da seguire e nessuna informazione dalla radio, Osman poteva fare affidamento soltanto su una stima della posizione e sul suo intuito. Mi lanciò uno sguardo ansioso.
Naga Amus, Delkab”, disse, stai zitto, ma io non avevo detto una parola.