Primi riti del dolce sonno

di Misia Donati - pagine 134 - euro 9,00 - Zandegù editore

Armatevi di un pomeriggio intorpidito e venato di grigio (come quando sta per piovere), di un paio di cd dei Placebo (la raccolta di remix va benissimo) e di uno spirito tendente a una tenerezza cupa, ma leggera. Ecco, è il contorno ideale per questo libro. Con un breve e delicato romanzo d’esordio, la giovanissima autrice, fresca di scuola Holden, riesce a mescolare, in modo decisamente riuscito, alcune tipiche tematiche adolescenziali come quelle relative all’accettazione e all’abbandono. Giocando interamente sull’interpretazione della narcolessia (il Dolce Sonno del titolo) come “talento”, piuttosto che come patologia, attraverso un diario scritto da uno dei tre protagonisti, ci costruisce una favola dalle tinte fosche e scure, ma non per questo priva di sprazzi luce.

In un clima di crescente angoscia e claustrofobia, attraverso una narrazione in prima persona fin troppo curata, per appartenere a un adolescente, si riesce a dare al lettore un sensazione che dall’ansia opprimente, passa via via ad una malinconia leggera, che sfocia in una tenerezza cupa, ma mai triste o patetica.
La vicenda, molto semplicemente, narra le vicende di tre adolescenti, legati in modo indissolubile da quella che tutti vedono come malattia (la narcolessia), ma che per loro è “Dolce Sonno”, un talento incompreso da servire e migliorare. I tre si rifugiano in una villa abbandonata per dieci giorni, per seguire il Programma che li porterà all’Atto Finale.
Attraverso una narrazione che si fa gradualmente più cruda e tenebrosa, i tre paiono quasi perdere la loro identità a scapito di un altro incontrastato e incontrastabile protagonista: il sonno.
Considerandone anche l’aspetto esteriore, si ha per le mani un prodotto gradevole, grazioso anche nell’aspetto e nella formattazione (che riesce a trasformare in romanzo quello che, quantitativamente, potrebbe avvicinarsi a un racconto lungo), con un merito che va, dunque, anche alla casa editrice, la torinese Zandegù (guidata dall’editrice attualmente più giovane d’Italia).
In definitiva, non saremo di fronte a un capolavoro per originalità o stile, ma lo allo sviluppo di una buona idea, in modo onesto e non banale, che ha il merito di legare il nome dell’autrice al ricordo di una lettura piacevole e coinvolgente.
Voto: 7
[Gelostellato]

Incipit
II primo sonno si è sviluppato da bambini.
All'improvviso, si è impossessato delle nostre vite e non ci ha più abbandonati. Mentre gli altri giocavano inventando nuovi mondi da esplorare, noi ci sforzavamo di dormire sempre di più e sempre più profondamente.
Tutto ciò che volevamo era soltanto rimanere immobili e assenti.
Presto, abbiamo imparato a non lasciarci distrarre dai suoni e dalle voci. A ignorare la stanchezza e preoccupazione. A liberare la mente da qualsiasi pensiero che rischiasse di tenerci svegli.
A dominare la paura.
E a poco a poco siamo diventati i padroni: lo abbiamo piegato al nostro volere. In qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, eravamo noi a decidere come e quando addormentarci.
Ovunque: a casa, a scuola, per strada. Anche in piedi, a volte, o seduti su una panchina in mezzo alla folla.
Non abbiamo mai creduto di essere malati e non abbiamo mai voluto guarire. Sentivamo di essere liberi, e pensavamo che lo saremmo rimasti per sempre.
Ma poi sono arrivati loro. Da un giorno all'altro hanno invaso la nostra mente e ci hanno ridotto in schiavitù. A un tratto, niente è stato più come prima.
Ci hanno spiegato che sono legati alla vita e che è normale produrli finché si è vivi. Ci hanno minacciato dicendo che non saremmo più riusciti a scacciarli. Che la malattia li rendeva terribili e che avrebbero fatto parte di noi fino alla morte.
È per questo che alla fine siamo fuggiti e che siamo venuti sin qui, alla villa; per riappropriarci in segreto del nostro potere. Per sprofondare di nuovo in un sonno ininterrotto, senza più distrazioni e senza più compromessi. Senza più incubi, per l'eternità.