di Howard P. Lovecraft - pagine 95 - euro 0,52 - Gruppo Newton
Randolph Carter, "viaggiatore dell'onirico", abbandona il Mondo della Veglia per intraprendere una fantastico viaggio attraverso il Mondo dei Sogni; scopo della missione è raggiungere lo sconosciuto monte Kadath, l'inquietante dimora dei Grandi Antichi, e da lì arrivare alla favolosa Città del Tramonto.
Creature orribili, mostri e grottesche divinità più antiche del mondo ostacoleranno il travagliato cammino di Carter. Scritto dal grande Lovecraft, "Kadath" è un lungo racconto che aggiunge ulteriori tasselli al complesso universo creato dal maestro di Providence. L'opera è forse fin troppo fantasiosa, a tratti perfino ingenua, sicuramente non è al livello degli altri scritti di Lovecraft. Voto: 6
Incipit
Tre volte Randolph Carter sognò la meravigliosa città, e tre volte venne portato via
mentre si trovava ancora sull'alta terrazza che la dominava.
Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con le sue mura, i templi, i colonnati e i
ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto
prismatico su ampi piazzali e giardini odorosi, e larghe strade passavano tra alberi
delicati, urne ornate di boccioli e statue d'avorio disposte in file lucenti. Su
vertiginosi strapiombi, rivolte verso nord, si arrampicava invece una lunga serie di tetti
rossi, e antichi frontoni aguzzi si susseguivano lungo stradine erbose coperte da
ciottoli.
Era un vero delirio di dèi, una fanfara di trombe soprannaturali, e un risuonare di
cimbali ultraterreni. La circondava il mistero, così come le nuvole si raccolgono intorno
ad un favolosa montagno inviolata.
Mentre Carter rimaneva senza fiato e in trepidante attesa su quel parapetto circondato da
una balaustra, fu sopraffatto dalla pienezza e dall'ansia di un ricordo quasi svanito, dal
dolore di cose perdute, e dal bisogno ossessionante di ricordare di nuovo quello che una
volta era stato un luogo veramente terribile.
Sapeva che il suo significato una volta doveva essere stato estremamente importante per
lui, anche se non sapeva dire in quale epoca remota o incarnazione l'avesse conosciuto, e
neppure se fosse stato in sogno o da sveglio.
Richiamò alla memoria vaghi frammenti di una lontana giovinezza ormai tramontata, quando
lo stupore e il divertimento erano racchiusi nello svolgersi delle giornate, e l'alba e il
tramonto arrivavano, ricchi di aspettative e a grandi passi, al suono appassionato di
canti e di liuti, schiudendo maestosi cancelli su ulteriori e soprendenti meraviglie.
Ma, ogni notte che trascorreva su quell'alta terrazza di marmo con le sue strane urne e il
parapetto adorno di fregi, e volgeva lo sguardo su quella città carica di bellezza e di
immanenza ultraterrene immersa nel placido tramonto, percepiva il dominio dei tirannici
dèi del Sogno. Infatti, non poteva in alcun modo lasciare quell'alto spazio, nè scendere
da quella scalinata di marmo e lasciarsi andare in una caduta senza fine là dove si
aprivano quelle strade piene di antichi sortilegi che lo attiravano prepotentemente.
Quando si svegliò per la terza volta su quella scalinata che non aveva ancora disceso e
su quelle strade immerse nel tramonto non ancora attraversate, pregò a lungo e con
fervore gli dèi del Sogno che meditano nascosti sulle nuvole sullo sconosciuto Kadath,
nel gelido deserto in cui nessun uomo osa avventurarsi.