Goltzius and the pelican company

Regia: Peter Greenaway
Cast: F. Murray Abraham, Ramsey Nasr, Kate Moran, Pippo Delbono, Giulio Berruti, Anne Louise Hassing, Flavio Parenti, Lars Eidinger
Nazione: Olanda, Francia, UK
Anno: 2013
Durata: 128 minuti

TRAMA

Questa è la storia di Goltzius che, per farsi finanziare la stampa della sua opera ispirata alla Bibbia, irretì il Margravio d’Alsazia e rappresentò per lui, con la sua Pelican Company, le scene salienti legate ai tabù descritti nel Vecchio Testamento.

RECENSIONE

Il racconto è diviso in capitoli e il narratore stesso illustra ciò che avverrà in scena usando come capoverso una storia del Vecchio Testamento, fatta eccezione per l’ultima che, ripresa dal Nuovo, scatenerà la sete di sangue e le vendette là già ben documentate. La corte si fa prendere la mano e a poco a poco aiuta nella rappresentazione, finanche il Margravio sceglie per se una parte, una delle più libidinose, che gli consenta di peccare apertamente davati alla corte, sul palcoscenico della storia. Del resto è già stato condannato alla defecazione pubblica e, nonostante il parere contrario del rabbino, non si capisce perché mai dovrebbe aver pudore di mostrarsi nell’atto fare anche altro di più intimo e solitamente nascosto.
Peter Greenaway ha una lunga esperienza in fatto di rappresentazione artistica, i suoi film più che meri racconti sono spesso dei ritratti accuratissimi di un’epoca lontana, le cui passioni e i cui appetiti ancora echeggiano nelle opere rimaste a testimonianza della capacità di espressione del passato.
In questo secondo progetto della sua Trilogia Fiamminga usa tutti i trucchi a disposizione di chi vuole risvegliare appetiti e lasciare il segno nel messaggio che porta, più che portare appunto il messaggio. Il fine come sempre è agganciare l’occhio di chi guarda e, come in ogni costruzione artistica, catturare il cuore con l’uso sapiente delle immagini. Goltzius usa tutti i tabù a suo vantaggio, risvegliando appetiti nella corte e promettendo piaceri al suo signore, suo re e unico in grado di soddisfare la sua sete di fama.
Greenaway invece usa le luci, i costumi, un cast in stato assoluto di grazia e un’infinita capacità di innovare le vecchie lascivie con nuovi linguaggi, venuti dal futuro e per questo ancora nuovi alle contaminazioni del già visto.
Una sorta di ritorno a Compton House, se si assume che l’arte, in quanto rappresentazione, ha in sé il fine della comunicazione, sia pure a volte muta, ermetica, portatrice di conoscenza e per questo spesso apertamente lasciva, ma mai realmente silente.
Goltzius si diverte a stimolare la curiosità, laddove non apertamente il desiderio, e Greenaway lo usa per aprire la strada a nuove forme espressive, alla videoarte e alle suggestioni pittoriche e, tramite esse, mettere in scena la fame di proibito che anche adesso, nonostante tutto sia già stato raccontato, non finisce mai di incuriosire anche i palati più abusati.
Le scene rappresentate sono opulente nel dettaglio ma di fatto poco barocche nel complesso, l’uso dei costumi e dello spazio di scena aumenta la dimensione del possibile, le gabbie poste in alto a mostrare cose che solitamente non si mostrerebbero sono un’espediente che in sé racchiude il senso pittorico del regista e la visione dell’arte come voyeristico piacere.
Il racconto si srotola lento ma inesorabile, come un meccanismo su ruote bel lubrificate, come il palcoscenico stesso che ruota e mostra ogni volta un po’ di più. Greenaway ha dalla sua l’assoluta libertà dal volgare e la capacità di rendere opulenti anche i peccatucci più bassi e comuni, marchiati a fuoco dalla morale cattolica e sottolineati, qui con gran gusto, dal moralismo del povero rabbino costretto a rettificare ogni passaggio.
La storia procede quindi sontuosa, come anche la corruzione della corte che, per mandato reale partecipa con gioia alla rappresentazione, salvo poi farsi fagocitare a seguito del Margravio stesso, il quale scopre in sé il gusto di un peccato antico.
Greenaway si diverte a spiattellare in faccia alla corte e allo spettatore stesso il marcio che alberga al di sotto dei divieti e delle proibizioni ancestrali e nello stesso tempo accompagna con gioia entrambi, ormai resi complici dal gusto voyeristico, attraverso la catarsi finale e il trionfo delle passioni sottese.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)