La dama rossa uccide sette volte

Regia: Emilio P. Miraglia
Cast: Barbara Bouchet, Ugo Pagliai, Marina Malfatti, Marino Masé, Maria Pia Giancaro, Sybil Danning, Nino Korda, Fabrizio Moresco, Rudolf Schindler, Maria Antonietta Guido, Carla Mancini, Bruno Bertocci
Soggetto: Fabio Pittorru
Sceneggiatura: Fabio Pittorru, Emilio P. Miraglia
Musiche: Bruno Nicolai
Fotografia: Alberto Spagnoli
Scenografia e costumi: Lorenzo Baraldi
Montaggio: Romeo Ciatti
Direttore di produzione: Elio Di Pietro
Produzione: Phoenix Cinematografica Roma S.p.A. - Romano Film G.M.B.H. Traian Boeru Monaco
Anno: 1972
Durata: 98 minuti

TRAMA

Un'antica maledizione grava sulla nobile famiglia dei Wildenbrück: ogni cento anni la dama rossa torna in vita per vendicarsi della dama nera, sua sorella, che l'aveva uccisa perché innamorata del suo stesso uomo. Nel 1972 la maledizione dovrebbe ripetersi con le sorelle Ketty ed Evelyn. Quest'ultima però pare si sia trasferita in America. Ma l'inizio di una catena di misteriosi omicidi intorno alla leggenda della dama rossa svelano un imprevedibile intrigo e una sconvolgente verità.

RECENSIONE

Emilio P. Miraglia si diverte a costruire un thriller imbevuto apparentemente di elementi soprannaturali, così come nel suo precedente "La notte che Evelyn uscì dalla tomba". Ma è tutta una messa in scena architettata per questioni ereditarie, la logica unica che guida le azioni spietate e misteriose dei personaggi. La mente di tutto è Franziska Wildenbrück, cugina di Ketty ed Evelyn, che in passato aveva assistito al fortuito incidente scaturito da una furibonda lite durante la quale Ketty era convinta di aver ucciso senza volerlo la sorella Evelyn. In realtà Evelyn non era morta e Franziska, pensando di poter così ricattare a vita Ketty e intascare l'eredità, uccise lei stessa Evelyn. Che poi, si scoprirà successivamente nel complesso intreccio, non era neppure la vera Evelyn, ma una ragazza figlia di poveri contadini che l'avevano venduta da bambina al vecchio Tobias Wildenbrück, il quale sperava di evitare in questo modo il ripetersi della maledizione delle sorelle omicide. La vera Evelyn però non è partita per l'America, come viene fatto credere a Tobias, ma lavora nello stesso atelier di Ketty con l'identità di Rosemary Muller. Franziska, che conosce la verità, svela a Rosemary la leggenda della dama rossa, la spinge a drogarsi e a far rivivere la maledizione indossando una cappa rossa e una maschera bianca e a uccidere tutti coloro che venivano a conoscenza della sua identità e con lo scopo ultimo di eliminare la stessa ignara Ketty e intascare anche la sua parte di eredità. La furia omicida di Rosemary però indurrà Franziska, tossicomane, a interrompere la catena dei delitti uccidendo lei stessa la “dama rossa”, in un finale sconvolgente.
Trama complessa e difficile anche da spiegare, ma ben costruita nel suo intreccio di pseudo-soprannaturale e thrilling anni Settanta, con il suo elemento giallo (scoprire chi è l'assassino, in questo caso, chi è la dama rossa) e i suoi efferati delitti (quasi tutti commessi con il pugnale, come vuole la maledizione). La protagonista, Ketty Wildenbrück (interpretata da Barbara Bouchet), è in completa balia degli eventi e convinta che la sua falsa sorella sia morta e di averla uccisa, teme le indagini della polizia e si affida alla complicità e al silenzio di Franziska (Marina Malfatti) che, però, purtroppo per lei, è la sua antagonista assoluta. A sostenere Ketty e a condurre un'indagine parallela a quella dell'ispettore c'è l'industriale Martin Hoffmann (Ugo Pagliai) che, dapprima sospettato per gli omicidi perché impigliato nella losche trame della dama rossa (che a questo punto, nella sua azione intellettiva e spietata non può che definirsi Franziska), finirà con lo scoprire la verità e rivelarla nella scena conclusiva, attraverso la voce testamentaria del defunto Tobias. Interessante l'espediente utilizzato da Miraglia che fa coprire il nome Rosemary Muller con il rumore del traffico per non far capire subito allo spettatore la vera identità di Evelyn.
Anche se non particolarmente amato dalla critica, il film – ispirato ai romanzi gotici tedeschi ma modernissimo per concezione e vicissitudini – non affida questa volta la logica del serial killing ad un'affezione della psiche (tipo un trauma o una malattia) ma ad una logica molto più razionale e non per questo più comprensibile e giustificabile: l'arricchimento. È solo questo che tiene in piedi il teatrino di Franziska e che guida le azioni criminose dei personaggi, alienati sì mentalmente dalla droga che però non ne è la causa prima e patologica, ma un elemento accessorio.
Belle e funzionali le musiche di Bruno Nicolai, con un tema cembalistico dominante che fonde perfettamente l'atmosfera gotica e castellana del film agli umori moderni della società anni Settanta e ai suoi ritmi pop.
Voto: 7,5
(Andrea Natale)