Alien vs Predator: Requiem

Regia: Colin e Greg Strause
Cast: Steven Pasquale, John Ortiz, Reiko Aylesworth, Johnny Lewis, Ariel Gade
Produzione: USA
Anno: 2007
Durata: 90 minuti

TRAMA

Che cosa succederebbe se un “cucciolo” di Alien scegliesse come ospite il corpo di un Predator?
“Alien vs Predator: Requiem” vede il debutto di una nuova creatura, partorita dalla fertile mente dello sceneggiatore Shane Salerno: una regina che è un ibrido tra le due razze, ovvero un Predalien, un Alien con la mascella da Predator ed i dreadlock da Rasta. L’inizio del film si ricollega al finale di “Alien vs Predator”, dove l’astronave dei Predator recuperava il corpo del loro compagno, già infettato da una larva di Alien. Il Predalien ed un manipolo di “facehugger” sterminano tutti i Predator presenti sull’astronave, la quale precipita sulla terra, nei boschi del Colorado. L’ultimo Predator, ormai morente, invece di autodistruggersi come la tradizione vorrebbe, invia un messaggio di avvertimento al suo pianeta di origine per avvisare del disastro. Mentre i graziosi xenomorfi si riproducono a spron battuto alle spese degli sfortunati abitanti della cittadina di Gunnison, arriva sul posto un Predator “che risolve problemi”, con il compito di eliminarli e, nel tempo libero, procurarsi anche qualche trofeo umano. In mezzo al fuoco incrociato si trovano alcuni tra i personaggi più stereotipati visti sullo schermo negli ultimi anni: uno sceriffo che brilla per ottusità, un giovane appena uscito di prigione per motivi imprecisati e persino una soldatessa di ritorno dall’Iraq, che nelle pie intenzioni dello sceneggiatore dovrebbe omaggiare Sigourney Weaver, ma che non è neanche degna di allacciarle le scarpe.

RECENSIONE

E’ risaputo che i sequel sono in genere inferiori all’originale e, considerato che il capostipite dello sciagurato crossover non era esattamente indimenticabile, si rischia di ritrovarsi per le mani questo “Alien vs Predator: Requiem”, ispirato, come il precedente, all’omonima miniserie a fumetti della Dark Horse del 1989-90. Almeno il predecessore poteva vantare una sceneggiatura appena decente di Paul W. S. Anderson, mentre in questo caso, a parte la discutibile idea del Predalien, del tutto ininfluente ai fini del plot, si annaspa nel vuoto più totale. Un gruppo di attori televisivi dall’aspetto assolutamente anonimo, con delle battute che suonerebbero risibili già in un B-Movie di vent’anni fa, deambulano spaesati cercando di sopravvivere sia alla mattanza generale che agli inesistenti snodi narrativi, che saltano con più frequenza delle casse toraciche squarciate dai “chestbuster”. Da un momento all’altro la cittadina, fino ad un attimo prima apparentemente normale, viene evacuata e si trasforma in una città fantasma, riempiendosi di carcasse di auto in fiamme. Dopo qualche minuto è invasa dalla Guardia Nazionale, dando l’impressione di assistere ad una versione di “Planet Terror” (nella scena in cui manca un rullo di pellicola) molto meno divertente e molto più soporifera, data anche l’assoluta ed imbarazzante mancanza di suspense.
I registi Colin e Greg Strause, ribattezzati per ovvi motivi di marketing The Brothers Strause, non saranno mai i Wachowski, ma neanche gli Hughes Brothers (quelli di “From Hell”). La coppia vanta una lunga esperienza nel campo degli effetti speciali (300, X-Men 3, I Fantastici Quattro) ma non ha la più pallida idea di come si diriga un film, e sembra del tutto incapace di donare all’insieme un minimo di coerenza, ammorbandoci con il solito montaggio frenetico ai limiti della comprensibilità e con le soggettive da FPS del Predator, uscite direttamente da un videogioco degli anni ’80. L’unica cosa che funziona nel match intergalattico sono gli effetti speciali, che offrono qualche riuscito momento gore, pur sempre canonico e nei limiti della norma, tanto che il divieto ai minori di 18 anni sembra francamente ridicolo, oltre a destare qualche preoccupazione per l’anacronistica ondata di neopuritanesimo di ritorno. In conclusione, uno spreco del franchise per un prodotto che meglio sarebbe figurato nel purgatorio degli “straight to video”.
Voto: 4
(Nicola Picchi)