Suicide club

Titolo originale: Jisatsu saakuru
Regia: Sono Sion
Cast: Ishibashi Ryo, Maro Akaji, Nagase Masatoshi, Hagiwara Saya, Sako Hideo, Nomura Takashi, Satô Tamao, Hosho Mai, Kamon Yoko, Rolly, Yo Kimiko
Anno: 2002
Nazione: Giappone
Durata: 99 minuti

TRAMA

Un gruppo di studentesse si getta sotto un treno della metropolitana provocando l’inizio di quella che sembra essere una catena di suicidi. Il detective Kuroda, incaricato di seguire le indagini, riceve una strana telefonata da una ragazza, il Pipistrello, che gli indica l’accesso ad un sito in cui su uno strano pallottoliere i numeri variano dopo ogni suicidio, prima che questo venga scoperto dalla polizia. Kuroda decide di seguire la pista e con suo figlio si iscrive alla strana mailing list di quel sito. Intanto i suicidi aumentano, una scolaresca si getta dal tetto della scuola sotto gli occhi esterefatti dei compagni, mentre il Giappne intero sembra impazzito per la musica di un nuovo gruppo pop costuito da adolescenti, le Dessert.

RECENSIONE

“Sono il Charles Manson dell’era informatica!”
Il valore medio della vita in Giappone è considerato molto basso, il singolo individuo da solo non è definibile come unità, ma semmai più come parte di un tutto unico che costituisce la società giapponese e che nel complesso vive attualmente un grosso problema di alienazione. La strada presa dalla società giapponese appare per certi versi senza uscita e il suicidio, che essi vivono come soluzione in realtà è una grossa parte del problema. Suicide club si inserisce a pieno titolo nel filone horror, dal momento che i fatti narrati, all’epoca della realizzazione del film non si erano ancora verificati, ma acquista successivamente un inquietante carattere di critica sociale, considerato che recentemente i suicidi organizzati attraverso la rete sono divenuti una tristissima realtà.
Le dinamiche descritte all’interno del film fanno sorgere il dubbio, nello spettatore occidentale, di essere di fronte a qualcosa di assolutamente alieno, la leggerezza con la quale le ragazzine affrontano il salto finale è quanto di più inquietante si possa immaginare, e solo il fatto di essere di fronte ad un'opera considerata di fantasia, lascia allo spettatore la possibilità di metabolizzare gli eventi narrati. La scena iniziale è di una potenza espressiva che difficilmente potrebbe essere eguagliata, persino il seguito del film ne risulta appannato, le successive scene, per quanto belle ed evocative possano essere, non raggiungeranno mai più quel picco di incredibile poesia indissolubilmente mescolata alla crudezza della rappresentazione. Sono Sion riesce nel difficle compito di portare lo spettatore nel cuore dell’ingranaggio di un’intera società e mostrarne gli intoppi dall’interno. I suicidi sono la punta dell’iceberg, sotto è a stento visibile una traccia di manipolazione, che forse motiverebbe i gesti ma non potrebbe mai spiegarne le cause. Le ragazzine manga/pop che cantano allegramente di suicidi causati dalla mancata collocazione in seno alla società, non sono altro che il segnale di un’alienazione divenuta segno e significante di tutto quello che, represso da secoli non può che esplodere con furia e cancellare l’apparenza placida di un mondo già incrinato. Genesis, il “Charles Manson dell’era informatica” richiama l’attenzione sull’emergere di un fenomeno sociale che, mascherato dall’apparenza ludica, striscia dietro le spalle di un’intera società e, anni dopo rispetto al resto del mondo, ne raccoglie l’eredità distruttiva ritorcendola violentemente contro l’idea stessa di normalità. Il fascino androgino di Genesis è solo l’aspetto sociale della follia negata per secoli ed esplosa nel quotidiano senza una sola motivazione apparente, e oltretutto non essendo causa nè motore del cambiamento in atto, se ne appropria e lo cavalca come fosse una nuova moda. Mitsuko, la ragazzina il cui fidanzato si suicida cadendole addosso da un piano alto di un palazzo, è l’emblema della passività sociale, ma non dell’accettazione che spinge tutti, compreso il detective, al suicidio. Lei troverà la chiave di accesso, che era sfuggita alla polizia e, tramite il codice scoperto quasi per caso, potrà almeno provare a cambiare le cose. Seppur labile, è proprio nella figura di Mitsuko che possiamo individuare il filo della speranza del regista in un futuro che non sia quello passivo di accettazione, ma semmai il segnale di un cambiamento che può avvenire solo dall’interno, poichè soltanto chi conosce gli ingranaggi di un sistema può decidere di usarli per cambiarlo.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)