Resident Evil: Apocalypse

Regia: Alexander Witt
Cast: Milla Jovovich, Sienna Guillory, Oded Fehr, Thomas Kretschmann, Iain Glen, Sophie Vavasseur, Raz Adoti, Jared Harris, Sandrine Holt, Zach Ward, Mike Epps
Soggetto e sceneggiatura: Paul W.S. Anderson
Fotografia: Christian Sebalt, Derek Rogers
Montaggio: Eddie Hamilton
Colonna sonora: Jeff Danna
Scenografia: Paul D. Austerberry
Costumi: Mary McLeod
Produzione: Germania / USA / Gran Bretagna
Anno: 2004
Durata: 97 minuti

TRAMA

Raccon City è nel caos: il Virus T, devastante arma biologica in grado di trasformare gli uomini in morti viventi, fuoriesce dal super-segreto laboratorio sotterraneo della Umbrella, seminando morte e terrore nella piccola cittadina americana.
Alice (Milla Jovovich), giovane agente di sicurezza scampata al disastro, insieme ad un piccolo gruppo di sopravvissuti, tra cui Jill Valentine (Sienna Guillory) e Carlos Oliveira (Oded Fehr), tenterà in tutti i modi di fuggire dalla città prima della sua “sanitarizzazione”, fissata per l’alba.
Ma una nuova mostruosa minaccia, nata dal contagio, cercherà di fermarli ad ogni costo: Nemesis.

RECENSIONE

Era l’estate del 2002, quando a scuotere dal torpore l’ormai stanco panorama cinematografico horror, infestato da improbabili videocassette assassine e finti cellulari omicidi, giunse Resident Evil, ispirato ad una delle serie più redditizie ed amate del mondo videoludico.
Morti che tornavano in vita, esperimenti misteriosi, sangue, belle donne... un cocktail di sana violenza che si rivelò presto come uno dei campioni d’incassi di quell’anno.
Protagonista indiscussa del film era senza dubbio Milla Jovovich, bellissima dea androgina candidata a pieno titolo come nuova eroina del cinema d’azione, soppiantando un’ormai fuori moda Sigourney Weaver.
Nonostante la pellicola si presentasse nelle sale con non pochi difetti (primo fra tutti la quasi totale assenza di una vera e propria storia), l’idea di riportare il cinema orrorifico ai fasti sanguinari della Vecchia Scuola scosse la coscienza di molti ed in men che non si dica si scatenò una vera e propria “zombie mania”, con relativo proliferare di prodotti più o meno validi: L’Alba dei morti viventi, Undead, Zombie Honeymoon e chi più ne ha più ne metta.
A completare il circo di efferatezza grandguignolesche, che tanto devono al caro e vecchio Romero, ci pensa questo Resident Evil: Apocalypse, considerato (a ragione) come uno dei film più attesi della stagione 2005.
La struttura narrativa è pressoché rimasta immutata: gli eventi seguono fedelmente quelli descritti nel precedente episodio e in più di una occasione servono a chiarire quei (pochi) dubbi che ci erano stati inculcati molto astutamente dagli altrettanto astuti sceneggiatori.
Alla testa della carneficina è stata richiamata la “nostra” avvenente caccia-zombi Milla, nei panni di una Alice vittima di oscuri esperimenti genetici ad opera degli scienziati della multinazionale senza scrupoli Umbrella: esperimenti che ne hanno modificato la struttura muscolare, i riflessi, la forza, rendendola una perfetta macchina da guerra senza rivali (forse solo uno...).
Ad affiancarla troviamo due new entry molto care al pubblico degli appassionati della controparte virtuale, ovvero Jill Valentine, ultimo brandello del corpo d’élite della polizia, e Carlos Oliveira, mercenario al soldo della Umbrella con l’obiettivo di recuperare e porre al sicuro quegli scienziati rimasti ancora nell’instabile perimetro cittadino.
Ad interpretare la prima troviamo una magnifica Sienna Guillory (Love Actually, Eragon), perfetta nei panni della coraggiosa poliziotta dai modi spicci ed un po’ bruschi, in grado di piantare, senza pensarci due volte, un proiettile in testa a chiunque la faccia minimamente innervosire.
È stupendo vedere con quanta abilità riesca a bucare gli zombie... e lo schermo!
Il ruolo del mercenario dal cuore d’oro tocca invece ad Oded Fehr, già visto ne La mummia e nel successivo La mummia: il ritorno; un’interpretazione senza infamia e senza lode la sua.
Tornano anche gli zombie, vero cuore pulsante della saga, e questa volta dilagano senza pietà: il contagio, dall’Alveare, si è diffuso fino a toccare l’intera popolazione di Raccon City ed intere legioni di non morti si riversano lungo le strade a caccia di carne viva.
Ma non saranno da soli... nossignore.
Questa volta a dar filo da torcere agli sparuti combattenti ancora in vita, infatti, non ci saranno solo morti cannibali e “lickers”, ma nientedimeno che Nemesis, antica conoscenza di ogni appassionato che si rispetti.
Per ricreare questo enorme “bestione”, l’attore e body builder Matthew G. Taylor è stato costretto ad indossare una pesante tuta di cuoio, poliuretano, silicone ed acciaio, ma il risultato finale è veramente notevole.
Oltre al cast, le principali novità riguardano essenzialmente la regia, passata all’esordiente Alexander Witt (già acclamato direttore di seconde unità per film come Hollywood Homicide e Black Hawk Dawn), dopo la decisione di Paul W.S. Anderson, regista del precedente Residente Evil e contemporaneamente impegnato sul set di Alien Vs Predator, di abbandonare la “direzione” per dedicarsi esclusivamente alla sceneggiatura.
Una scelta per molti versi “felice” che, fin dai primissimi minuti, privilegia il ritmo, l’azione frenetica e lo splatter-gore tipico dei primi anni ’80 a quella tensione da sci-fiction che aveva invece caratterizzato la prima pellicola della serie.
Ed allora giù con arti marziali, double-gun fights, sangue a fiotti e cadaveri in abbondanza, il tutto condito con una buona dose di humor (nero... anzi no, nerissimo) ed un montaggio da videoclip che ha ben poco da reclamare.
Virtuosismi che raramente risultano inutili e banali, ma che invece contribuiscono, in maniera esponenziale, a coniugare il classico action movie tutto fumo e niente arrosto con le più tipiche atmosfere del cinema horror.
Merito anche di una scenografia eccelsa, affidata all’esperto Austerberry (autore anche degli scenari del recente Highway Man e di Assault on Precint 13), “padre” di una Raccon City tetra e decadente, ormai ridotta ad un putrido vicolo buio senza via d’uscita (con particolare merito della fotografia curata dall’affiatata coppia Sebalt & Rogers), che sostituisce quegli ambienti freddi e sterili già visti nel prequel.
Musiche, come sempre più spesso accade nel cinema horror contemporaneo (vedi Underworld e Blade), affidate alla crème della scena metal ed estrema, tra cui i “vampiri” di sua Maestà, i Cradle of Filth, e gli italianissimi Lacuna Coil.
In finale, un sequel al di sopra di ogni più rosea aspettativa, davvero superbo nel non perdersi mai nel ridicolo e nel déjà vu (anche se molte sono le citazioni illustri), ma soprattutto nell’evitare quei clichè e quelle macchiette che troppo hanno sminuito (e che continuano a farlo) il nostro genere preferito.
La visione è obbligatoria.
Voto: 8
(Stefano Ricci)