Il club Dumas

di Arturo Perez-Reverte - pagine 382 - euro 7,90 - Net

Romanzo scritto dallo spagnolo Perez-Reverte e trasposto sul grande schermo nel 1999 da Roman Polanski, col titolo “La nona porta”. Si tratta di un thriller paranormale con venature ironiche ottimamente calibrate.
La storia prende le mosse quando Lucas Corso, un bibliofilo che ha come unico valore il denaro, viene ingaggiato da un collezionista per verificare l’autenticità di un capitolo manoscritto dei “Tre moschettieri” di Dumas. L’uomo però deve anche decifrare l’enigma che si cela fra le pagine de “Le nove porte”, libro che la leggenda vuole scritto da Aristide Torchia sotto dettatura del Demonio. Le indagini porteranno Corso dalla Spagna alla Francia, tra omicidi e personaggi inquietanti dediti al satanismo.

Il Club Dumas” è un’opera davvero interessante che si diversifica (in meglio) dal lavoro di Polanski, proponendo due storie distinte che si intersecano tra loro, in un intreccio che stimola il lettore a divorare le pagine. Infatti il regista di origine polacche, insieme al suo sceneggiatore, fonderà in un’unica storia il lavoro di Perez-Reverte, eliminando ogni riferimento al manoscritto de “I tre moschettieri” e mescolando i personaggi coinvolti in questo spaccato di storia nell’altra (due esempi evidenti sono costituiti dalla vedova Telfer e dal suo scagnozzo ossigenato). Profondamente diversa anche tutta la parte finale (anche a seguito dell’eliminazione di ogni riferimento a Dumas).
Fascinoso il soggetto, con un “detective di libri” (così viene denominato dalla vedova Telfer) che, munito di lente di ingrandimento e taccuino, cerca di sciogliere enigmi secolari, sotto la protezione di una ragazza misteriosa che lo conquisterà giorno dopo giorno.
Particolare nota di merito va anche per lo stile adottato dal romanziere; uno stile che non scade nel commerciale, ma riesce a pennellare in modo decisamente buono, regalando descrizioni di effetto. Sotto questo punto di vista, non si può non menzionare il bellissimo il finale visionario (difforme da quello del film).
Ottima la caratterizzazione dei personaggi, in particolare quella del Diavolo (o meglio Diavolessa) raffigurato come esaltazione delle virtù umane (si evitano dunque le banalità dettate da un figura solitamente stereotipata).
Si segnala che le raffigurazioni che si vedono nel corso del film di Polanski e che sono oggetto di studio del detective sono raffigurate all’interno dell’opera.
In conclusione, siamo alle prese con un bel romanzo di cui consiglio l’acquisto a tutti coloro che sono appassionati di un certo sottofilone (quello esoterico), ma anche a chi ama una certa narrativa (quella elegante). Non aspettatevi però un romanzo dell’orrore, piuttosto un ottimo esperimento di ironia e thrilling.
Voto: 8,5
[Matteo Mancini]

Incipit
Il lampo di luce proiettò la sagoma dell’impiccato sulla parete. Penzolava immobile da una lampada al centro e man mano che il fotografo gli si muoveva attorno, facendo scattare l’otturatore, l’ombra provocata dal flash si delineava via via sui quadri, vetrine piene di porcellana, scaffali coperti di libri e tende aperte su grandi finestre, dietro le quali cadeva la pioggia.
Il giudice istruttore era giovane. Aveva pochi capelli, scompigliati e ancora umidi, come l’impermeabile che si era tenuto sulle spalle mentre dettava il rapporto al segretario seduto sul divano, con la macchina da scrivere portatile appoggiata su una sedia.