Dario pulp

di Strumm - pagine 271 - euro 12,40 - Edizioni XII

Diario Pulp è un’esperienza.
Difficile trovare altri termini che possano esplicitare l’universo strummiano a chi ancora è un verginello della Roma pulp che ci è narrata. Pulp, certo, ma non solo. Noir e thriller, anche. E umorismo, violenza, sadismo, volgarità. Continuiamo? Non serve. Bisogna leggere, per forza.
Diario Pulp è strutturato in cinque lunghi racconti intrecciati tra loro, che si beffano di una linearità temporale, ma che si sottomettono a una stupefacente coerenza sensoriale, che rende di fatto la loro lettura una continua metamorfosi di genere verso un progressiva e cupa discesa negli inferi.

Dallo spensierato ed esilarante mattatoio de La strage di San Violentino si passerà al più crudo Poker d’ossi, dove la componente umoristica lascerà piano piano posto a una triste e inusuale digressione psicologica. Alla volta di Rotule e rotelle si viene travolti da un noir purissimo, che torna a sporcarsi di pulp nel successivo Baldracche e burattini, per finire in bellezza con il duro e rivelatore Il martirio ha l’oro in bocca.
Personaggi bizzarri, dialoghi stralunati, situazioni imprevedibili: in Diario Pulp tutto è esagerato eppure tenuto sotto controllo da una scrittura sempre fresca e movimentata. E non chiedetemi come sia possibile. Ci troviamo da qualche parte tra un tarantinismo esasperato e una ricerca chirurgica della realtà, dove ogni tassello scivola lentamente ma con intelligenza al suo posto. Non c’è niente di fuori posto o di improvvisato. Tutto quello che accade ha un suo preciso perché, in questa spirale di gangster, morti, torture, tradimenti, giochi d’azzardo, fagioli, sigari, prostitute e detective che ci porterà, infine, a scoprire chi sia il misterioso Imperatore che controlla la Malavita a Roma - Strumm è perfido nel mostrare false piste di tutti i tipi e tenere alta la tensione fino alla rivelazione conclusiva.
Diario Pulp è un’esperienza, dicevo. E sarebbe una buona cosa se la provaste anche voi.
Voto: 8
[Simone Corà]

Incipit (dal racconto "La strage di San Violentino")
Vado a casa del Sellero, dobbiamo organizzare una manovra per domani sera. Il Sellero abita in un bilocale al terzo piano di una vecchia palazzina alla Garbanza. Di solito lo trovo spalmato sul divano a mangiare fagioli direttamente dalla scatola, canottiera bisunta e ciabatte infradito anche d’inverno. È magro come un foglio, non c’ha un pelo neanche disegnato, eppure riesce a stare in tenuta estiva anche a Gennaio.
Suono il campanello e aspetto. Sento le ciabatte strascicate avvicinarsi oltre la porta e mi viene da pensare che il Sellero non cambierà mai. Neanche nei momenti in cui ha avuto un po’ di grana per le mani l’ho visto ripulirsi. Non ho idea di cosa faccia del denaro, di certo non ci compra saponette e lametta da barba.
Il Sellero spalanca la porta, ovviamente indossa una canottiera lurida e le infradito. Avanzo di un paio di passi sul pavimento ingombro di schifezze. La televisione è accesa col volume a zero, delle zannute disperate si dimenano dietro un enorme numero telefonico. Sul divano una scatola di fagioli aperta.
«Vuoi da bere?» mi fa.
Ignoro il caos, tanto è inutile. «Certo!» Ma lui è già steso sul divano e infilza fagioli.
«Di là in cucina, dovrebbe esserci una birra in frigo.»
Conosco la strada e vado da solo, ma quando entro in cucina, cazzo, non posso evitare di sbroccare!